testo integrale con note e bibliografia

1. Premessa

Il decreto legge 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, tra i vari settori di intervento, al Capo II si occupa anche di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori (artt.14-18-bis).
È indubbio che non si tratta del tratto caratterizzante della riforma del lavoro; tuttavia, alcune sensibili innovazioni positive recate, ad esempio, alla nomina e alle competenze del medico competente, alla programmazione dell’attività ispettiva, alla formazione e all’addestramento specifico del datore di lavoro, all’estensione della tutela assicurativa degli studenti e del personale del sistema di istruzione, meritano una prima riflessione, sebbene uno sguardo di insieme alle modifiche introdotte impone una doverosa premessa: i risultati, le valutazioni, cui in questa sede si approderà, non potranno che esprimere un senso di insoddisfazione .
Ciò dipende dall’essersi il legislatore affrancato dalla soluzione di ulteriori e, ben più, delicate questioni che restano ad oggi sospese e che avrebbero invece meritato analogo interesse. Per comprendere appieno tale sensazione è necessario fare un passo indietro.
Dopo la travagliata vicenda epidemiologica da Covid-19, l’approvazione della Convenzione OIL n. 190 del 2019 , l’emanazione del d.l.. 21 ottobre 2021, n. 146 (convertito con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215), era lecito nutrire la speranza di una più organica riforma in materia antinfortunistica con riguardo, ad esempio, al contenuto dell’obbligo di tutela della salute dei lavoratori impegnati nei sistemi tecnologici e digitali ; alle individuazione di tecniche di prevenzione sulla violenza e molestie di genere; alla speculare progressiva riduzione dell’aerea di predominio cautelativo del datore di lavoro a favore di nuove forme di svolgimento delle prestazioni lavorative (si pensi al lavoro agile e al difficile equilibro tra responsabilità e cooperazione) o alla successione nel tempo della posizione di garanzia tra soggetti diversi ; all’esternalizzazione della manutenzione e ai rischi dovuti alle interferenze nell’ambiente di lavoro; all’adozione di decreti (richiamati nel T.U ma) ancora in attesa di essere attuati.
Il senso di insoddisfazione non si esaurisce però con quanto si poteva fare e non si è fatto, ma anche nell’offrire all’interprete un quadro di modifiche normative al TU affatto rigorose e chiare, con la sensazione di aver acceso un cerino che passa ora nelle mani dei giudici o, più auspicabilmente, che ritorna nelle mani del legislatore. La disciplina prevista appare, dunque, cauta, imprecisa e, soprattutto, incompleta .
Ciò puntualizzato, la riforma ha dettato un insieme di regole di rilevanza sistematica che ha riguardato quattro aree di intervento: prevenzionistica, formativa, indennitaria/assicurativa e di vigilanza.
Scendendo nel dettaglio, ma rimanendo entro i limiti dell’economia del presente saggio, verranno esaminati di seguito alcuni punti salienti in cui le linee direttrici di ciascun ambito emergono con maggior forza.

2. Il primo ambito di intervento

Nel filone prevenzionistico, le modifiche introdotte hanno riguardato: a) la nomina e le competenze del medico competente; b) gli obblighi di tutela per i componenti dell’impresa familiare e dei lavoratori autonomi con specifico riferimento al settore edile; c) l’obbligo delle imprese, iscritte al registro nazionale per l’alternanza studio-lavoro, di integrare il documento di valutazione dei rischi.

2.1. Il medico competente e la sorveglianza sanitaria

L’art. 14, co. 1, d.l. n. 48/2023, modifica l’art. 18, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 81/2008 ed interviene sui casi per i quali è prevista l’attivazione della sorveglianza sanitaria , stabilendone l’obbligo alla presenza di rischi espressamente individuati dal TU, alla stregua dell’art. 41, co. 1, “e qualora richiesto dalla valutazione dei rischi di cui all’art. 28”.
Da una prima lettura la norma si presenta opportuna perché risponde all’esigenza di garantire la diffusività dell’obbligo di sorveglianza sanitaria sulla base delle esigenze effettive richiamate dalla valutazione dei rischi, anziché su un’esplicita indicazione di natura formale . All’invero non è una novità, considerato che il D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303 imponeva l’attivazione della sorveglianza sanitaria in tutti i casi in cui nel processo produttivo ci fosse la presenza di un agente di rischio.
Di tutta evidenza è l’implicito riferimento al canone di effettività, non da intendere quale regola privilegiata (e non formalizzata) comunemente impiegata nell’individuazione dei soggetti passivi cui ricondurre il debito di prevenzione – facendo riferimento alle concrete assegnazioni dei compiti e al contingente svolgimento di attività sul singolo luogo di lavoro – quanto piuttosto come applicazione di diritto sostanziale che trova la propria fonte di disciplina nella valutazione dei rischi.
Si transita, dunque, da un modello tassativo (e astratto) di sorveglianza sanitaria ad un altro libero (e concreto), caratterizzandosi quest’ultimo “(…) per il superamento di un approccio legislativo volto a definire in modo tassativo le ipotesi in cui espletare le attività di controllo sullo stato di salute dei lavoratori” .
Prima della modifica operata dal legislatore, la possibilità di estendere la sorveglianza sanitaria alla presenza di rischi non contemplati dal TU era fortemente compromessa dal ruolo (assolutamente) nevralgico, ancorché vincolante, assunto dal principio di tassatività e dal divieto, mutuato dal diritto penale, di applicazione analogica.
Tuttavia, dal processo valutativo si riscontravano rischi di entità affatto trascurabile (quali, ad esempio, lo stress termico, i lavori pesanti, i lavori con movimenti ripetitivi, ecc.) che, sebbene non vincolassero il datore di lavoro ad assolvere il suo debito di sorveglianza sanitaria, non si prestavano ad essere ridotti per il tramite delle sole misure tecniche prevenzionali.
D’altra parte, si notava che la sorveglianza sanitaria non fosse mirata solamente all’identificazione di segni e di sintomi precoci di malattia, come accadeva nella maggior parte dei casi nei quali essa era attivata, bensì dovesse essere finalizzata all’identificazione, in chiave preventiva, di condizioni in grado di incrementare il rischio di infortunio, assolvendo una funzione segnatamente “di promozione della salute”. Tale era la ragione per la quale si erano diffuse pratiche aziendali nelle quali i lavoratori, informati sull’utilità della sorveglianza sanitaria, convenivano di essere inseriti nello specifico programma di prevenzione sanitaria.
Ebbene, la nuova formulazione dell’art. 18, co. 1, lett. a), TU ha riconosciuto, prima facie, l’importanza e la centralità che la figura del medico competente ha progressivamente assunto nel sistema della sicurezza dell’ambiente di lavoro, mostrandosi sensibile agli indirizzi giurisprudenziali consolidati negli ultimi anni nei quali la Suprema Corte – occupandosi dell’individuazione delle condizioni in presenza delle quali un luogo di lavoro, sottoposto a sorveglianza sanitaria, può considerarsi “sicuro” – ha affermato che, ove sia assente il medico competente, il luogo di lavoro non può mai essere considerato sicuro .
In effetti, il processo di responsabilizzazione del medico competente nel campo della valutazione dei rischi ha condotto ad affermare che al sanitario compete “l’esauriente sottoposizione al datore di lavoro dei rilievi e delle proposte in materia di valutazione dei rischi che coinvolgono le sue competenze professionali in materia sanitaria (...) in una con le contromisure sanitarie ritenute necessarie” e che, a tal fine, egli è tenuto a valutare tutti i “profili di rischio che egli doveva e poteva conoscere di scienza propria, in virtù dei canali ufficiosi di acquisizione dei dati” . E ciò risponde sicuramente ad una chiara esigenza, quella di coinvolgere attivamente ed integrare sempre di più il professionista sanitario nel tessuto prevenzionistico aziendale.
Tuttavia, la novella non ha sgombrato il terreno da alcuni equivoci che originano da una sua (attenta) lettura e (rigorosa) interpretazione.
In primo luogo, sul piano ermeneutico giova dare conto della presenza della congiunzione “e” nella nuova formulazione dell’art. 18, co. 1, lett. a) del d.lgs. n. 81/2008: fermo restando i casi per i quali sorge l’obbligo di nominare il medico competente alla presenza di uno o più rischi riconducibili alle previsioni dell’art. 41, co. 1, d.lgs. n. 81/2008, è ora necessario che la sorveglianza sanitaria sia richiesto anche dalla valutazione dei rischi? Oppure si può prospettare una interpretazione che sia coerente con l’idea di estendere la nomina del medico competente, non più soltanto ai casi previsti dallo stesso d.lgs. n. 81/2008, ma anche a quelli in cui ciò sia “richiesto dalla valutazione dei rischi”, ancorché sia assente una specifica previsione nell’art. 41, co. 1, d.lgs. n. 81/2008?
Ebbene, al cospetto di un prevedibile cortocircuito, è auspicabile che il legislatore proponga a breve un intervento chiarificatore cosi da ritenere obbligatoria la nomina sia nei casi in cui il rischio è normato sia nel caso in cui il rischio è prescritto dalla valutazione dei rischi .
È indubbio che ove si ritenesse superata tale incoerenza, resta poi da domandarsi se sia sufficiente che il fattore di rischio sia semplicemente identificato e riportato all’interno del documento di valutazione dei rischi, oppure se esso deve essere effettivamente misurato e, comunque, ritenuto di entità tale da legittimare il controllo sanitario come strumento di prevenzione aggiuntivo (e complementare) rispetto alle misure tecniche già in atto.
La questione, a ben guardare, non è affatto marginale perché se si giungesse ad avvalorare tale seconda prospettazione ben potrebbe il datore di lavoro, o il servizio di prevenzione e protezione che lo coadiuva nella valutazione, ritenere che un fattore di rischio, pur identificato come tale nel documento di valutazione, non imponga anche il ricorso alla sorveglianza sanitaria e, finanche, escludere che per esso esiste un metodo di sorveglianza sanitaria in grado di ridurre il medesimo rischio e, dunque, di produrre benefici in chiave prevenzionale .
A nostro avviso, la ratio della norma esige che la decisione di avviare, o di non avviare, la sorveglianza sanitaria venga presa sulla base degli elementi tecnici ricavati dalle prime fasi del processo valutativo ricorrendo ad una accurata e trasparente misurazione dei livelli e della durata di esposizione dei rischi. Ciò anche considerando che compito del medico competente è anche di svolgere funzioni di consulenza sanitaria, di consiglio e di stimolo, con un importante ruolo attivo nell’identificazione dei possibili rimedi .
Sono difetti che meritano di essere attentamente tracciati, anche in vista di possibili future correzioni di rotta, senza che essi incrinino la congruità, di massima, del quadro complessivo, che, come si è detto, offre risposte attese a domande anche opportune.
Se il d.l. n. 48/2023 devolve dunque al medico competente un contributo sostanziale al miglioramento della salute pubblica, oltreché alla cultura del lavoro controllando tutti i rischi professionali, anche quelli non ancora normati e promuovendo la salute del lavoratore secondo il principio dell’integrazione della promozione nella prevenzione, non risolve però il dubbio, sempre più radicato se, nel sistema di valutazione dei rischi differentemente dalla sorveglianza sanitaria ,,il suo ruolo, anche dopo la novella, resti confinato nella mera collaborazione , senza assumere alcuna responsabilità da posizione per fatto proprio .
Spostando l’attenzione su un’altra disposizione, l’art. 14, d.l. n. 49/2023 aggiunge all’art. 25, co. 1, la lett. e-bis) d.lgs. n. 81/2008. stabilendo che “in occasione della visita medica preventiva o della visita medica preventiva in fase pre-assuntiva di cui all'art. 41, richiede al lavoratore di esibire copia della cartella sanitaria e di rischio rilasciata alla risoluzione del precedente rapporto di lavoro e ne valuta il contenuto ai fini della formulazione del giudizio di idoneità, salvo che ne sia oggettivamente impossibile il reperimento».
Il termine “visite preventive” – da collegare alla fase preassuntiva di cui all’art. 41, co. 2, lett. e-bis), d.lgs. n. 81/2008 e utilizzato nella versione adottata in sede di conversione al decreto legge – in luogo di “visite di assunzione”, tiene conto della differenza esistente tra le due tipologie di sorveglianza medica e, dunque, considera la competenza affatto simmetrica tra le due figure di sanitari. Ove non fosse stata operata tale correzione, il medico competente avrebbe potuto fondare il suo giudizio di idoneità partendo da un esame obiettivo non riferito al solo ambiente di lavoro e alle mansioni alle quali fosse stato adibito il lavoratore, bensì da una valutazione generale delle condizioni di salute che, oltre ad esulare dalle proprie competenze, avrebbe potuto essere fonte di comportamenti discriminatori.
Si tratta di una novità da accogliere con favore, dal momento che una corretta sorveglianza sanitaria deve iniziare e concludersi con una visita di idoneità che rispetti i canoni classici della semeiotica, dalla raccolta approfondita dell’anamnesi, all’esecuzione di un attento e mirato esame obiettivo. L’obbligo del lavoratore di esibire copia della cartella sanitaria e di rischio rilasciata alla risoluzione del precedente rapporto di lavoro risponde, dunque, a tale condivisibile obiettivo.
Resta, tuttavia, un punto non chiarito dalla norma di conversione, dal momento che lascia aperta la possibilità di un mancato “oggettivo” reperimento della copia della cartella sanitaria. Non si può non riconoscere l’esistenza di una tensione tra questa previsione e l’altra, contenuta nell’art. 25, co.1, lett. e), peraltro sanzionata, secondo cui il medico competente: “consegna al lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, copia della cartella sanitaria e di rischio, e gli fornisce le informazioni necessarie relative alla conservazione della medesima (…)”.
Peraltro, l’assenza della copia della cartella sanitaria, a causa del mancato oggettivo reperimento, lascia comunque aperta la possibilità che il medico possa comunque rifiutarsi di formulare il giudizio di idoneità con possibile dilatazione dei tempi di assunzione del lavoratore.
Infine, l’art. 14, d.l. n. 49/2023 aggiunge la lett. n-bis) all’art. 25, co. 1, del d.lgs. n. 81/2008, stabilendo che “in caso di impedimento per gravi e motivate ragioni, comunica per iscritto al datore di lavoro il nominativo di un sostituto, in possesso dei requisiti di cui all’art. 38 per l’adempimento degli obblighi di legge durante il relativo intervallo temporale specificato”.
Anche in tale ambito rimane però indefinito l’ambito delle “gravi e motivate ragioni” che possono legittimare la sostituzione. La previsione pare ammettere la possibilità di sostituzione anche per ragioni non solo ricollegabili all’assenza per malattia ma anche per altri impedimenti, sia pure gravi e motivati, del medico competente.
La sostituzione non presuppone la nomina ad opera del datore di lavoro , sebbene la natura strettamente fiduciaria e l’assolvimento degli obblighi e l’individuazione di responsabilità personali esigono la formalizzazione dell’incarico.
Circa le competenze devolute, la giurisprudenza di legittimità aveva in precedenza chiarito , già durante la vigenza dell’art. 16 del d.lgs. n. 626/1994, che il sostituto non risponde dell’obbligo di effettuare gli accertamenti preventivi e periodici previsti - che incombono, data la necessità di un’organizzazione in fabbrica, al titolare dell’incarico - bensì dell’obbligo di disporre gli accertamenti sanitari necessari una volta che vi sia la richiesta del lavoratore (consistente anche nella denunzia di una sintomatologia), affinché anche fuori dai controlli periodici le visite e gli accertamenti medici opportuni vengano espletati.
Tale orientamento, a nostro avviso, dovrà essere conseguentemente aggiornato, dal momento che la formulazione della norma devolve al sostituto le competenze proprie del medico titolare durante il periodo di sostituzione: ragion per cui il sostituto, nell’eventualità di controlli sanitari periodici già programmati, deve provvedere non solo all’effettuazione della visita, ma anche al rilascio del certificato di idoneità alla mansione, assumendosi la piena responsabilità della valutazione operata.

2.2. I componenti delle imprese familiari e i lavoratori autonomi
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Il d.l. n. 48/2023 modifica l’art. 21, co. 1, lett. a), aggiungendo, dopo le parole “Titolo III“, nonché idonee opere provvisionali in conformità alle disposizioni di cui al titolo IV”.
Come è noto, l’art. 21, d.lgs. n. 81/2008 impone due obblighi di sicurezza ai componenti dell’impresa familiare, ai lavoratori autonomi che compiono opere o servizi, ai coltivatori diretti del fondo, ai soci delle società semplici operanti nel settore agricolo, agli artigiani e ai piccoli commercianti: a) l’utilizzo delle attrezzature di lavoro in conformità alle norme del Titolo III, Capo I, d.lgs. n. 81/2008; b) la dotazione di dispositivi di protezione individuale e il loro impiego conformemente alle norme del Titolo III, Capo II, d.lgs. n. 81/2008.
Trattandosi di un settore di attività – quello delle costruzioni, all’interno dei cantieri edili – che espone i lavoratori a rischi particolarmente elevati, il legislatore ha sancito per tali soggetti l’obbligo di utilizzare “idonee opere provvisionali” in conformità alle disposizioni previste per i cantieri temporanei e mobili nei quali si svolgono lavori edili o di ingegneria civile .
Si tratta di una norma (anch’essa) opportuna perché tali lavoratori, che esercitano essi stessi un'attività professionale in un cantiere, possono con le loro attività mettere in pericolo la sicurezza e la salute dei lavoratori. L’obbligo di munirsi di idonee opere provvisionali diventa ora strettamente connesso alla disciplina degli appalti, stante l’obbligo per il datore di lavoro committente di verificare l’idoneità tecnico-professionale dei soggetti a cui affidare i lavori (ai sensi dell’art. 26, co. 1, lett. a), d.lgs. n. 81/2008).
Tale (indubbia) carica innovativa avrebbe potuto ricevere, tuttavia, un maggiore impatto, dal momento che il legislatore aveva finalmente la possibilità di dare concreta attuazione a quanto stabilito dall’art. 27, d.lgs. n. 81/2008, il quale prevede che, tramite decreto del Presidente della Repubblica, siano individuati settori e criteri “finalizzati alla definizione di un sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi, con riferimento alla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, fondato sulla base della specifica esperienza, competenza e conoscenza, acquisite anche attraverso percorsi formativi mirati”.
Stante lo strumento scarsamente impiegato per il comparto edile della patente cd. a punti, una tale previsione avrebbe fornito, al pari di quanto già avviene in alcuni paesi dell’Unione (l’esempio è alla Danimarca), un’immediata percezione della corretta applicazione delle norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro, oltre a fornire una informazione utile per l’accesso ad eventuali benefici e norme premiali.

2.3. L’alternanza scuola-lavoro

Ulteriore modifica apportata dal decreto in questione attiene all’art. 1, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, posto che dopo il comma 784 aggiunge il comma 784 -quater stabilendo che “Le imprese iscritte nel registro nazionale per l’alternanza integrano il proprio documento di valutazione dei rischi con un’apposita sezione ove sono indicate le misure specifiche di prevenzione dei rischi e i dispositivi di protezione individuale da adottare per gli studenti nei percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento. L’integrazione al documento di valutazione dei rischi è fornita all’istituzione scolastica ed è allegata alla Convenzione”.
L’ambito di applicazione soggettivo della disposizione attiene agli studenti impiegati nei percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, ma non anche agli studenti chiamati allo svolgimento del tirocinio curriculare per i quali andranno invece applicate le norme contenute nell’art. 1, co. 720-726, della legge n. 234/2021.
Sull’efficacia di una tale previsione non vi è dubbio, come del resto si può evincere dagli arresti della giurisprudenza di legittimità secondo la quale “(....) nella specifica ipotesi in cui presso un’azienda siano presenti soggetti che svolgano tirocini formativi, il datore di lavoro sarà tenuto ad osservare tutti gli obblighi previsti dal TUSL al fine di garantire la salute e la sicurezza degli stessi” .
In prospettiva sanzionatoria, l’inadempimento – in assenza di una esplicita indicazione – potrà essere ricondotto nell’alveo del mancato aggiornamento e rielaborazione del documento di valutazione dei rischi (ex art. 29, co. 3, d.lgs. n. 81/2008).

3. Il secondo ambito di intervento

Nel secondo filone di intervento possiamo ricomprendere gli obblighi: a) di garantire il monitoraggio dell’applicazione degli accordi in materia formativa (nonché il controllo sulle attività formative); b) del datore di lavoro, che fa uso di attrezzature, di provvedere alla propria formazione e al proprio addestramento specifico.

3.1. Il monitoraggio delle attività formative

Il d.l. n. 48/2023 inserisce la lett. b-bis) all’art. 37, co. 2, in materia di formazione dei lavoratori, secondo cui “il monitoraggio dell’applicazione degli accordi in materia di formazione, nonché il controllo delle attività formative e sul rispetto della normativa di riferimento, sia da parte dei soggetti che erogano la formazione sia da parte dei soggetti destinatari della stessa”.
L’obiettivo di una generale sicurezza dell’ambiente di lavoro ha indotto il legislatore ad intervenire sulla materia della formazione, devolvendo all’Accordo per la formazione, che avrebbe dovuto essere emanato entro il 30 giugno 2022, di monitorarne l’applicazione, le attività formative e il rispetto da parte degli enti formatori e dei discenti.
La disposizione persegue l’obiettivo, condivisibile, di smascherare comportamenti e condotte illecite compiute al fine di simulare l’attività di formazione con conseguente rilascio di attestazioni non veritiere.
Dalla lettura della nuova lett. b-bis) si può rilevare come restano irrisolti problemi che il legislatore avrebbe potuto affrontare e risolvere già con questa riforma.
Il primo è di non intervenire in ordine al termine entro il quale il nuovo accordo, chiamato ad accorpare, rivisitare e modificare i precedenti accordi in materia di formazione, previa consultazione delle parti sociali, avrebbe dovuto essere concluso: il termine assegnato alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano non è, dunque, stato differito ad una data successiva.
Il secondo, attiene al controllo delle attività formative svolte dagli enti formativi, posto che lascia inalterato l’attuale assetto regolatorio che non stabilisce alcuna sanzione in caso di inadempienza da parte dei soggetti formatori nei casi in cui questi ultimi, contravvenendo alle norme dettate dal TU, dagli Accordi Stato-Regioni e dai decreti attuativi forniscano un contributo causale alla realizzazione di un delitto di omicidio colposo o di lesione personale colposa in danno del lavoratore infortunato .

3.2. La formazione e l’addestramento del datore di lavoro

Il d.l. n. 48/2023 aggiunge il comma 4-bis all’art. 73 secondo cui “il datore di lavoro che fa uso delle attrezzature di lavoro che richiedono conoscenze particolari di cui all’art. 71, co. 7, provvede alla propria formazione e al proprio addestramento specifico al fine di garantirne l’utilizzo delle attrezzature in modo idoneo e sicuro”.
Come è noto, prima della riforma, tale obbligo vigeva solo per il datore di lavoro che svolgeva la funzione di responsabile del servizio di prevenzione e protezione. La modifica impone dunque al datore di lavoro, se fa uso di tali attrezzature come operatore, di provvedere alla propria formazione e al proprio addestramento specifico, al fine di garantire l’utilizzo delle attrezzature in modo idoneo e sicuro. La modifica si presenta funzionale, specie avendo a mente le differenziazioni esistenti tra formazione e addestramento allorquando al datore di lavoro è richiesto un’attività non meramente formale, ma pratica ed efficace.
Anche in quest’ambito, la norma fa proprio quanto la giurisprudenza ha in diverse occasioni evidenziato: il datore di lavoro “non può esimersi da responsabilità adducendo una propria incapacità tecnica” .
Conseguentemente l’omessa o carente formazione (e addestramento) in capo al datore di lavoro sarà sanzionata, alla stregua della modifica apportata all’art. 87, co. 2, lett. c), d.lgs. n. 81/2008, mediante la pena prevista dell’arresto da tre a sei mesi o con l’ammenda da 3.071,27 a 7.862,44 euro. È così colmata la lacuna posta in evidenza dall’Interpello n. 1 del 23 gennaio 2020 che aveva vietato l’utilizzo di qualsiasi attrezzatura di lavoro, per la quale era prevista una specifica abilitazione, da parte di qualsiasi “operatore”, compreso il datore di lavoro che ne fosse privo, escludendo che lo stesso potesse essere sanzionato penalmente a norma dell’art. 87, co. 2, lett. c), del d.lgs. n. 81/2008 .
Occorre poi rammentare che la violazione dell’obbligo di addestramento legittima, nel caso in cui sia assente anche la formazione, l’adozione da parte dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro di un provvedimento di sospensione dell'attività imprenditoriale (cfr. Allegato I, punto 3, D.lgs. n. 81/2008) .

3.3. L’obbligo dei noleggiatori e dei concedenti

L’art. 14, d.l. n. 48/2023 sostituisce l’art. 72, co. 2, con il seguente “Deve altresì acquisire e conservare agli atti per tutta la durata del noleggio, o della concessione dell’attrezzatura, una dichiarazione autocertificativa del soggetto che prende a noleggio, o in concessione in uso, o del datore di lavoro, che attesti l’avvenuta formazione e addestramento specifico, effettuati conformemente alle disposizioni del presente Titolo, dei soggetti individuati per l’utilizzo”.
La norma esige che i noleggiatori e i concedenti devono acquisire e conservare agli atti, per tutta la durata del noleggio o della concessione in uso dell’attrezzatura, una dichiarazione autocertificativa del soggetto, che prende a noleggio o in concessione in uso, che attesti l’avvenuta formazione e addestramento specifico, erogati conformemente alle disposizioni del D.lgs. n. 81/2008, al fine di essere dichiarati come idonei all’uso dell’attrezzatura.
La locuzione “dichiarazione autocertificativa” va letta come dichiarazione sostitutiva di certificazione, alla stregua dell’art. 46, co. 1, lett. n), D.P.R. n. 445/2000 , della qualifica professionale, del titolo di specializzazione, di abilitazione, di formazione, di aggiornamento e di qualificazione tecnica. Tuttavia, va rammentato che i privati, ancorché non possano richiedere certificazioni, hanno (ancora) la facoltà di accettare quelle spontaneamente prodotte dal cittadino. La norma sconta l’errore noto della semplificazione per enunciazioni generali poco utile, senza interventi sui singoli procedimenti.
Ci si domanda allora se il ricorso a tale modalità, alla luce della delicatezza della dichiarazione da rendere, sia o meno appropriato. Perché è vero, senza volere invadere ambiti diversi da quello di studio, che la disciplina dell’autocertificazione e tutte le novità in essa introdotte dal legislatore sono state negli anni teleologicamente orientate a rendere il più agevole possibile il conferimento dei dati necessari per lo svolgimento dell’attività amministrativa anche nei rapporti tra privati – alla stregua del recente art. 30-bis del d.l. n. 76/2020, convertito con modificazioni in legge n. 120/2020 – ma è altresì vero che, nel caso di specie, sembra abbia privilegiato più l’aspetto della semplificazione e meno quello della certezza pubblica.

4. Il terzo ambito di intervento

Nel terzo ambito di intervento si segnalano: a) la previsione di un Fondo a favore delle familiari degli studenti delle scuole deceduti a seguito di infortuni occorsi durante le attività formative; b) l’estensione della tutela assicurativa sugli infortuni e sulle malattie professionali agli studenti e agli insegnanti.

4.1. Il Fondo per i familiari degli studenti vittime di infortuni

L’art. 17, d.l. n. 48/2023 riconosce un sostegno economico ai familiari degli studenti di scuole o istituti d’istruzione, di ogni ordine e grado, anche privati, comprese le strutture formative per i percorsi di istruzione e formazione professionale e le università, deceduti a seguito d’infortuni occorsi in occasione o durante le attività formative, avvenuti in data successiva al 1° gennaio 2018, con la sola esclusione degli infortuni in itinere..La dotazione del Fondo è pari a 10 milioni di euro per l’anno 2023 e 2 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2024.
Con il D.I. del 25 settembre 2023 sono state definite le modalità per l’accesso al Fondo e i criteri di determinazione delle prestazioni. Le somme erogate, fino a 200 mila euro, non sono assoggettate a tassazione e sono cumulabili con l’assegno una tantum INAIL per gli assicurati ai sensi dell’art. 85, co. 3, del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 .
La procedura di accertamento è effettuata dai competenti organi di vigilanza i quali, all’esito della stessa, sono tenuti a trasmettere apposita relazione all’INAIL. All’esito dell’accertamento, dal quale risulti che il decesso sia riconducibile ad infortunio mortale verificatosi in occasione o durante le attività formative e interventi di revisione dei percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento, l’Istituto provvede alla erogazione del sostegno economico.

4.2. L’estensione della tutela assicurativa agli studenti e al personale del sistema di istruzione

Azzardando una facile previsione, appare probabile che la disposizione, di cui ci si aggiunge a commentare, incontri una unanimità di consensi in ordine alla sua introduzione, in termini positivi si intende, trattandosi di una delle più significative novità introdotte dal d.l. n. 48/2023.
L’art. 18 d.l. n. 48/2023, estendendo la tutela assicurativa obbligatoria a favore degli studenti e del personale del sistema nazionale di istruzione e formazione, della formazione terziaria professionalizzante e della formazione superiore oltre l’ambito di applicazione stabilito dall’art. 1, co. 3, n. 28 e dall’art. 4, co. 1, n. 5 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 , ricomprende ora anche gli infortuni occorsi in occasione delle lavorazioni rischiose previste dall’art. 1 del TU, configurandosi tale copertura come un “rischio in aula”. Sono peraltro assicurati anche gli alunni della scuola dell’infanzia, finora esclusi dall’assicurazione.
Precisamente, la tutela assicurativa, riconosciuta a favore degli alunni e degli studenti delle scuole del sistema nazionale di istruzione e delle scuole non paritarie, per l’anno scolastico 2023/2024, è prevista “limitatamente agli eventi verificatisi all’interno dei luoghi di svolgimento delle attività didattiche o laboratoriali, e loro pertinenze, o comunque avvenuti nell’ambito delle attività inserite nel Piano triennale dell’offerta formativa e nell’ambito delle attività programmate dalle altre Istituzioni già indicate” (art. 18, co. 2, lett. f) . Quanto invece agli allievi dei corsi di qualificazione o riqualificazione professionale o di addestramento professionale anche aziendali, o dei cantieri scuola, comunque istituiti o gestiti, per l’anno scolastico 2023/2024, essi fruiscono della tutela erogata da INAIL per tutti gli infortuni occorsi in ambiente di lavoro senza alcuna limitazione in termini di indennizzo, trattandosi di un’attività assimilabile a quella dei lavoratori presenti nell’impresa.
Resta esclusa per gli studenti la copertura per gli infortuni in itinere, come specificato nella limitazione posta dalla lett. f) dell’art. 18, e in ossequio alla norma generale che, includendo la categoria degli infortuni in itinere nella tutela assicurativa dell’INAIL, fa riferimento esclusivo agli spostamenti da o verso un “luogo di lavoro” .
Vale la pena rammentare che la tutela pubblicistica non limita la possibilità di sottoscrivere polizze assicurative volontarie a favore degli studenti, posto che esse intervengono su rischi di differente ambito (si pensi, ad esempio, alla responsabilità civile verso terzi) rispetto quelli riconosciuti in sede INAIL in base all’art. 66 del D.P.R. n. 1124/1965.
Oltre agli alunni e agli studenti, sono comprese, alla stregua dell’art. 18, co. 2, alcune categorie di lavoratori prima escluse: a) il personale scolastico delle scuole del sistema nazionale di istruzione e delle scuole non paritarie, nonché il personale del sistema di istruzione e formazione professionale (IeFP), dei percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS), dei percorsi di formazione terziaria professionalizzante (ITS Academy) e dei Centri provinciali per l’istruzione degli adulti (CPIA); b) gli esperti esterni comunque impiegati nelle attività di docenza; c) gli assistenti addetti alle esercitazioni tecnico scientifiche e alle attività laboratoriali; d) il personale docente e tecnico-amministrativo, nonché ausiliario, delle istituzioni della formazione superiore, i ricercatori e i titolari di contratti o assegni di ricerca; e) gli istruttori dei corsi di qualificazione o riqualificazione professionale o di addestramento professionale anche aziendali, o dei cantieri-scuola, comunque istituiti o gestiti, nonché i preparatori; f) gli alunni e gli studenti delle scuole del sistema nazionale di istruzione e delle scuole non paritarie nonché del sistema di istruzione e formazione professionale (IeFP), dei percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS), dei percorsi di formazione terziaria professionalizzante (ITS Academy) e dei Centri provinciali per l’istruzione degli adulti (CPIA), g) gli studenti delle Università e delle istituzioni dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica (AFAM), limitatamente agli eventi verificatisi all’interno dei luoghi di svolgimento delle attività didattiche o laboratoriali, e loro pertinenze, o comunque avvenuti nell’ambito delle attività inserite nel Piano triennale dell’offerta formativa e nell’ambito delle attività programmate da altre istituzioni; h) gli allievi dei corsi di qualificazione o riqualificazione professionale o di addestramento professionale anche aziendali, o dei cantieri scuola, comunque istituiti o gestiti .
Conclusivamente la disposizione suscita almeno due perplessità. Per un verso, il carattere sperimentale dell’intervento con la previsione di una finestra temporale di riferimento oltremodo breve (un anno). Per un altro, restano escluse alcune tipologie di tirocini (si pensi a quelli previsti nell’ambito delle professioni ordinistiche) dall’obbligo di assicurazione.

5. Il quarto ambito di intervento

L’ultimo ambito di intervento ha riguardato: a) il rafforzamento e il potenziamento della programmazione delle attività ispettiva; b) i soggetti privati abilitati alle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro; c) i requisiti professionali del coordinatore per la progettazione (e del coordinatore per l’esecuzione).

5.1. Le attività informativa- istituzionale

L’art. 15, d.l. n. 48/2023 dispone che, al fine di orientare l’azione ispettiva nei confronti delle imprese che evidenziano fattori di rischio in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, di lavoro irregolare ovvero di evasione od omissione contributiva, nonché di poter disporre con immediatezza di tutti gli elementi utili alla predisposizione e definizione delle pratiche ispettive, gli enti pubblici e privati condividano gratuitamente, anche attraverso cooperazione applicativa, le informazioni di cui dispongono con l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (INL).
Tali informazioni sono rese disponibili alla Guardia di finanza, anche attraverso cooperazione applicativa, con apposita convenzione da stipulare con l’INL, ai fini dello svolgimento dei controlli ispettivi sull’assegno di Inclusione introdotto dal d.l. n. 48/2023.
Con l’art. 16, d.l. n. 48/2023, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, nell’ambito del personale in servizio, potrà individuare un contingente di personale ispettivo adeguatamente qualificato che, avvalendosi delle strutture messe a disposizione dall’INPS e dall’INAIL, sia impiegato, al fine di potenziare le attività di polizia giudiziaria in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, di rapporti di lavoro e di legislazione sociale, sul territorio della Regione Sicilia.

5.2. I soggetti abilitati alle visite periodiche delle attrezzature di lavoro

L’art. 14, d.l. n. 48/2023 sostituisce l’art. 71, co. 12, d.lgs. n. 81/2008, stabilendo che “I soggetti privati abilitati acquistano la qualifica di incaricati di pubblico servizio e rispondono direttamente alla struttura pubblica titolare della funzione di vigilanza nei luoghi di lavoro territorialmente competente”.
Come è noto, le verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro sono finalizzate ad accertare la conformità alle modalità di installazione previste dal fabbricante nelle istruzioni d’uso, lo stato di manutenzione e conservazione, il mantenimento delle condizioni di sicurezza previste in origine dal fabbricante e specifiche dell’attrezzatura di lavoro nonché l’efficienza dei dispositivi di sicurezza.
La precedente versione del comma 12 dell’art. 71 TU prevedeva che per l’effettuazione delle verifiche periodiche delle attrezzature di lavoro, di cui allegato VII, le ASL potessero avvalersi del supporto di soggetti pubblici o privati abilitati .
La novella esclude dunque tale possibilità per le ASL, differentemente da quanto è stabilito per l’INAIL (si v. l’art. 71, co. 11, d.lgs. n. 81/2008).
L’ultima parte dell’art. 14 prevede che i soggetti privati abilitati sono sottoposti alla diretta vigilanza delle amministrazioni di cui all’art. 13, d.lgs. n. 81/2008 (in primis l’Azienda Sanitaria Locale e l’Ispettorato nazionale del lavoro, competenti per territorio), invece che, come precedentemente previsto, sotto la struttura pubblica titolare della funzione di verifica periodica (l’INAIL e le ASL o, ove ciò sia previsto con legge regionale, l’ARPA).
Si rammenta che al soggetto privato abilitato che è incaricato di pubblico servizio , è riservata una particolare tutela giuridica: l’art. 336 c.p. disciplina infatti il reato di violenza e minaccia a pubblico ufficiale e l’art. 337 c.p. quello di resistenza a pubblico ufficiale.

5.3. I requisiti professionali del coordinatore per la progettazione (e del coordinatore per l’esecuzione dei lavori)

Le lavorazioni all’interno dei cantieri temporanei e mobili vengono spesso affidate a diverse imprese che si ritrovano a lavorare all’interno dello stesso luogo. Per garantire l’incolumità dei lavoratori presenti e per mantenere efficienti le misure di sicurezza, è necessaria la presenza del coordinatore della sicurezza, sia in fase di progettazione che in fase di esecuzione.
Il d.l. n. 48/2023 aggiunge all’art. 98, co. 1, lett. b) del TU, che regola i requisiti del Coordinatore per la progettazione dei lavori, le seguenti parole: “laurea conseguita nelle seguenti classi L7, L8, L9, L17, L23, di cui al predetto decreto ministeriale in data 16 marzo 2007, ovvero laurea conseguita nelle classi 8, 9, 10, 4, di cui al decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica in data 4 agosto 2000, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 245 del 19 ottobre 2000, ovvero laurea conseguita in Tecniche della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro, della classe L/SNT/4, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 17 gennaio 1997, n. 58, e del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 19 febbraio 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 119 del 25 maggio 2009, nonché attestazione, da parte di datori di lavoro o committenti, comprovante l'espletamento di attività lavorative nel settore delle costruzioni per almeno due anni;”.
La novella inserisce, quindi, tra i titoli di studio abilitanti alla funzione di coordinatore per la progettazione e di coordinatore per l’esecuzione dei lavori nei cantieri temporanei e mobili la laurea triennale in “Tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro”.
Si tratta di una previsione legittima, trattandosi di un corso di laurea abilitante che ha lo scopo di preparare professionisti sanitari, dotati di solide conoscenze di base e che possiedono i fondamenti del metodo epidemiologico, come strumento di indagine descrittiva e analitica, finalizzato ad una corretta raccolta, elaborazione e interpretazione dei dati finalizzati alla promozione e alla tutela della salute.

6. Brevi osservazioni conclusive

L’analisi della disciplina con nel d.l. n. 48/2023 consente di esporre alcune valutazioni conclusive.
Quello attuale non è un intervento organico in materia di tutela della salute e della sicurezza, ma si compone di numerose micro-disposizioni alcune delle quali indubbiamente opportune, ma non sempre rigorose e puntuali.
Pur in presenza di alcune innovazioni apprezzabili nella logica di una generale sicurezza dell’ambiente di lavoro, nel complesso, la sensazione è quella di una marcata distanza tra ambizioni e risultati: da un lato, ne risulta incrementato lo stock normativo; dall’altro, alcune norme sollevano una serie di dubbi su aspetti fondamentali che incideranno sulla loro applicazione.
È però lo stesso strumento della decretazione d’urgenza – reso, nella specie, ineludibile dalla necessità di fare fronte alla necessità di ridurre il tasso degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali – a presentare, per le sue caratteristiche, limiti per interventi profondi negli effetti che avrebbero richiesto una tempistica adeguata sia per una corretta impostazione del provvedimento, sia per un accurato coordinamento e redazione delle singole disposizioni, sia, infine, per una valutazione dell’effettivo impatto delle nuove regole.

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