TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Obbligo legale: efficacia temporale, destinatari ed esclusi. – L’art. 4, comma 1, d.l. 1 aprile 2021, n. 44 ha sancito, in conformità con quanto disposto dall’art. 32, comma 2, Cost. , l’obbligo «a sottoporsi a vaccinazione gratuita per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2». Tale obbligo viene posto dal Governo, come riconosciuto dalla medesima norma, per una finalità specifica e non generale: vale a dire «al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza». Il Governo indica, così, un interesse pubblico , per rendere obbligatorio il sottoporsi al trattamento sanitario, diverso rispetto a quello generale stabilito dal legislatore nell’adozione del piano strategico nazionale dei vaccini per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2. L’art. 1, comma 457, l. 30 dicembre 2020, n. 178 ha, infatti, dichiarato l’interesse pubblico all’attuazione della campagna vaccinale «per garantire il più efficace contrasto alla diffusione del virus SARS-CoV-2», dunque un interesse generale ed indirizzato verso l’intera compagine sociale. Di fronte alla apparente discrasia tra le due finalità, occorre, però, sottolineare che, ai fini del dettato costituzionale, ciò che rileva è il solo interesse pubblico dichiarato dall’art. 4, comma 1, d.l. n. 44/2021 poiché è questa, e solo questa (per ora), la norma che stabilisce l’obbligo vaccinale. Va, inoltre, notato che tale interesse è strettamente collegato a quello del piano strategico nazionale di vaccinazione poiché, come specifica la norma, lo stesso sussiste «fino alla completa attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n.178, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021».
Sorge, qui, un primo evidente problema: la correlazione, infatti, viene comunque meno allo scadere dell’ultimo giorno dell’anno sia che la campagna vaccinale possa (come spero) dirsi conclusa sia che la stessa sia ancora in corso. Duole constatare che i ritardi nella somministrazione dei vaccini, a causa di mancate consegne delle dosi ovvero di malfunzionamenti dei sistemi sanitari regionali, potrebbero far ritenere, allo stato, il termine del 31 dicembre 2021 come già “incombente” sull’interesse pubblico che sancisce l’obbligo di vaccinazione. Né, altrimenti, potrebbe ritenersi slegato tale termine dalla «completa attuazione del piano» vaccinale, dato che il Governo, nel formulare l’art. 4, comma 1, d.l. n. 44/2021, ha utilizzato una espressione particolarmente puntuale in tal senso: «e comunque non oltre» il 31 dicembre 2021. Di guisa che non può sussistere l’interesse pubblico all’obbligatorietà del vaccino al di là di tale data, indipendentemente dalla felice o meno attuazione del piano vaccinale. Tenuto anche conto, come riportato dalla stessa norma, che «la vaccinazione è somministrata nel rispetto delle indicazioni fornite dalle regioni, dalle province autonome e dalle altre autorità sanitarie competenti, in conformità alle previsioni contenute nel piano»: dunque senza alcuna accelerazione rispetto a quanto ivi previsto, salvo le categorie prioritarie di cui si dirà a breve.
Ora, il Governo ha, altresì, individuato in maniera specifica i destinatari dell’obbligo di vaccinazione ne «gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali»; stabilendo, inoltre, che «la vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati». Occorre, innanzitutto, capire quali soggetti rientrano nelle professioni sanitarie e quali tra gli operatori di interesse sanitario, specificando, però, che l’obbligo vaccinale sussiste solo per quelli di loro che svolgono l’attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali.
Per i primi, la precisazione sulla vaccinazione quale requisito essenziale per l’esercizio della professione aiuta certamente ad individuare gli stessi negli iscritti agli ordini professionali che operano nel settore sanitario e sui quali il Ministero della salute esercita la vigilanza ; e quindi: Ordine dei Medici Chirurghi e Odontoiatri; Ordine Veterinari Italiani; Ordine Farmacisti Italiani; Ordine professioni Infermieristiche; Ordine della Professione di Ostetrica; Ordine dei Tecnici sanitari di radiologia medica e delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione; Ordine Psicologi; Ordine nazionale Biologi; Ordine dei Chimici e dei Fisici.
Per i secondi, pur non sussistendo un albo professionale di iscrizione e considerato che il vaccino è comunque requisito essenziale non per l’esercizio della professione, bensì per lo svolgimento della prestazione lavorativa, ritengo bisogna riferirsi al D.M. 29 marzo 2001 che include le diverse figure professionali sanitarie nelle fattispecie definite dagli artt. 1 , 2 , 3 e 4 della l. 10 agosto 2000, n. 251, e dunque : infermiere; infermiere pediatrico; ostetrica ; podologo; fisioterapista; logopedista; ortottista-assistente di oftalmogia; terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva; tecnico della riabilitazione psichiatrica; terapista occupazionale; educatore professionale ; tecnico audiometrista; tecnico sanitario di laboratorio biomedica; tecnico sanitario di radiologia medica; tecnico di neurofisiopatologia ; tecnico ortopedico; tecnico audioprotesista; tecnico della fisiopatologia cardiocircolatoria e perfusione cardiovascolare; igienista dentale; dietista ; tecnico della prevenzione nell’ambiente e nei luoghi di lavoro; assistente sanitario .
A queste professioni, si aggiungono gli operatori di interesse sanitario riconosciuti dal Ministero della salute ; vale a dire: operatore socio-sanitario e assistente di studio odontoiatrico . Così come gli ulteriori profili di operatori di interesse sanitario, tra cui quello di massofisioterapista, individuati dalle regioni a norma dell’art. 1, comma 2, l. 1 febbraio 2006, n. 43.
Nel campo di applicazione dell’obbligo legale dovrebbero, a mio avviso , rientrare anche le arti ausiliarie delle professioni sanitarie, poiché il loro ruolo ausiliario è comunque funzionalmente collegato alle professioni sanitarie e, inoltre, anche gli appartenenti alle stesse (massaggiatore capo bagnino stabilimenti idroterapici ; odontotecnico ; ottico ; puericultrice ) operano sulla base di una licenza prevista dalla legge (seppur risalente nel tempo).
Nel prosieguo, per indicare i soggetti appartenenti a tutte tali categorie, si utilizzerà la formula “operatore sanitario”: «inteso come il personale sanitario che, a vario titolo (anche di volontariato), svolge attività di assistenza ai pazienti sia in ambito comunitario che di ricovero, inclusi medici, infermieri, operatori socio-sanitari, tecnici di laboratorio e tecnici di radiologia» .
Ebbene, l’obbligo di vaccinazione sussiste unicamente per i soggetti rientranti nelle professioni suindicate e per nessun altro. Il Governo ha, così, dato conferma del fatto che non è rinvenibile nell’ordinamento, al di là di una legge impositiva secondo il dettato costituzionale, una norma che renda obbligatoria la vaccinazione né la stessa può ricavarsi, sia in via diretta che in via indiretta, dalla normativa in tema di sicurezza sul lavoro .
Restano, pertanto, esclusi tutti i lavoratori che non sono iscritti negli albi professionali sanitari e che non esercitano professioni sanitarie, compresi quelli che, però, lavorano, secondo le diverse tipologie contrattuali possibili, all’interno di strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, nelle farmacie, parafarmacie e studi professionali. Si pensi, ad esempio, all’addetto alla sicurezza agli ingressi delle hub vaccinali regionali ovvero agli addetti alla reception delle strutture sanitarie ed assistenziali od ancora al personale addetto alla pulizia dei locali e ai servizi di mensa e distribuzione pasti. Per queste categorie, il Governo non ha imposto alcun obbligo vaccinale e, quindi, tali soggetti possono esercitare legittimamente il diritto di autodeterminazione, anche negativa, al trattamento sanitario, pur essendo comunque a contatto con il pubblico e con altri lavoratori e, quindi, potenziali diffusori del contagio .
Va dato conto che per gli esercenti una delle professioni sanitarie dianzi elencate, il Governo ha previsto (art. 4, comma 2, d.l. n. 44/2021) che la vaccinazione sia omessa o differita «solo in caso di accertato pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale». Come statuito, infatti, dalla Corte costituzionale «un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili». Di guisa che i soggetti che, pur rientranti in tali categorie, non possono sottoporsi al trattamento sanitario, a fronte di documentata condizione clinica attestata dal medico di base, sono beneficiari dell’esclusione dalla ovvero del rinvio della vaccinazione e, come si vedrà, di un particolare regime di tutela delle condizioni di lavoro in linea con l’interesse alla salute pubblica.

1.1. Responsabilità sanitaria: l’esclusione indipendente dalla vaccinazione. – Prima di procedere all’ulteriore analisi della norma concernente l’imposizione del trattamento sanitario, penso sia utile soffermarsi brevemente su un’altra disposizione posta dal Governo e concernente la responsabilità penale da somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2. L’art. 3, d.l. n. 44/2021 prevede, infatti, la non punibilità per i reati di omicidio colposo (art. 589 c.p.) e di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) derivanti dalla somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2, quando la stessa è effettuata in maniera «conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione».
Ora, come può agevolmente notarsi, la norma non specifica l’ambito soggettivo di efficacia della norma, dovendosi pertanto ritenere che tale esclusione operi nei confronti di tutti gli operatori sanitari che hanno svolto, in virtù del principio del favor rei ex art. 2, comma 2, c.p., ovvero che svolgono la somministrazione della vaccinazione anti-coronavirus. Ciò, a mio avviso, porta a ritenere che il beneficio di non punibilità opera anche nei confronti degli operatori sanitari coinvolti nel procedimento di vaccinazione che decidono, oggi, ovvero hanno già deciso, al momento in cui ricorreva il proprio turno vaccinale, di non effettuare il trattamento sanitario. Né, tanto più, possono escludersi quegli operatori sanitari che, come si vedrà, anche a fronte dell’ulteriore invito alla vaccinazione decidessero di non procedere. Tali soggetti, infatti, finché non sia intervenuta una delle conseguenze che l’art. 4, commi 6, 8 e 9, d.l. n. 44/2021 dispone, continuano a svolgere la propria prestazione, anche di somministrazione del vaccino, e sono comunque beneficiari della regola di non punibilità sancita dall’art. 3, d.l. n. 44/2021. Lo stesso, infatti, non introduce alcuna distinzione tra operatori sanitari vaccinati e non vaccinati; semmai, questi ultimi saranno esclusi dal momento di efficacia dei provvedimenti che l’art. 4, commi 6, 8 e 9, prescrive, poiché è logico ritenere che non saranno, da allora, più addetti alla somministrazione del vaccino. La conseguenza dell’esclusione dal beneficio non è, però, derivante dalla lettura combinata delle due norme, bensì dalla semplice constatazione che non potendo attuare la condotta, non potrà prodursi il nesso causale con l’evento (omicidio colposo ovvero lesioni personali colpose) a cui il Governo riconduce la non punibilità.
Occorre, dunque, constatare che non sussiste alcuna dipendenza o connessione tra obbligo di vaccinazione per gli operatori sanitari e non punibilità per i reati colposi verificatesi a seguito della loro condotta in fase di somministrazione del vaccino.

2. Status vaccinale tra decisione e ripensamento. – L’art. 4, commi 3-6, d.l. n. 44/2021 prevede una articolata procedura di accertamento dello status vaccinale degli operatori sanitari individuati nel comma 1 della norma. Occorre, preliminarmente, dire che il Governo ha inteso tale status in tre accezioni : 1) vaccinato; 2) in progressione di vaccinazione; 3) non vaccinato. Al primo, appartengono i soggetti già vaccinati; al secondo, quelli in attesa di vaccinazione secondo le tempistiche e le modalità della campagna vaccinale in atto; al terzo, quelli che hanno già rifiutato la vaccinazione ovvero che rifiutano la vaccinazione al nuovo invito dell’azienda sanitaria locale.
Tale suddivisione verrà in evidenza nell’illustrazione della procedura, ma, qui, rileva sottolineare come l’obbligo di vaccinazione imposto dal comma 1 dell’art. 4, non deve intendersi come concluso in se stesso (l’obbligo è adempiuto solo se la vaccinazione è avvenuta), bensì in fieri: l’obbligo è adempiuto anche se la vaccinazione non è ancora stata effettuata, ma lo sarà (presto o tardi). Ciò pone in luce un possibile problema di temporaneità nell’adempimento dell’obbligo: se, infatti, l’operatore è in lizza per la vaccinazione, ma le tempistiche della campagna vaccinale si dilatano, per le ragioni a tutti note, allora tale status lo esime egualmente dalle conseguenze dell’inadempimento dell’obbligo, fermo restando il suo possibile ruolo di diffusione del contagio. In questo caso, infatti, la tardività nella vaccinazione è una causa a lui non imputabile e, dunque, non può essere soggetto alle conseguenze del mancato adempimento in quanto indipendente dalla sua volontà.
Occorre, altresì, evidenziare che sorge, poi, un ulteriore problema relativo ai soggetti che rientrano nel terzo status (non vaccinato): questi, infatti, possono aver legittimamente rifiutato la vaccinazione , nel tempo in cui potevano accedere alla stessa, in virtù del diritto all’autodeterminazione al sottoporsi al trattamento sanitario sancito dall’art. 32, comma 2, Cost., sicché dovrebbero aver perso, allo stato, la priorità vaccinale spettante. Ora, stante l’obbligo vaccinale, gli stessi sono legittimati dall’art. 4 a riacquisire tale priorità ? Oppure basterà che cambino idea e rientreranno - immagino con tempi molto più lunghi -, così, nel secondo status (in progressione di vaccinazione)? Per il primo quesito, parrebbe rinvenirsi una risposta nel Piano strategico - Elementi di preparazione e di implementazione della strategia vaccinale , laddove si prevede che «nel corso dell’epidemia si potrà attuare una strategia di tipo adattivo, qualora venissero identificate particolari categorie a rischio o gruppi di popolazione in grado di sostenere la trasmissione dell’infezione nella comunità [...], destinando eventuali scorte di vaccino a strategie vaccinali di tipo “reattivo” (reactive vaccination)». Sennonché, gli operatori sanitari sono già stati individuati come categoria prioritaria per la vaccinazione e, dunque, si tratterebbe di una ulteriore priorità che si riconosce ai medesimi soggetti a fronte dell’intervenuta obbligatorietà della vaccinazione. Di guisa che l’operatore sanitario che ora cambia idea ha, per così dire, una “seconda chance” per vaccinarsi e passare, ai fini dell’adempimento dell’obbligo legale, dallo status 3) allo status 2).
In quest’ultimo senso, sembra orientarsi anche l’Ordinanza n. 6/2021 del Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19, Gen. Figliuolo, del 9 aprile 2021, laddove, dopo aver indicato l’ordine di priorità delle persone da vaccinare, aggiunge «parallelamente alle suddette categorie è completata la vaccinazione di tutto il personale sanitario e sociosanitario, in prima linea nella diagnosi, nel trattamento e nella cura del COVID-19 e di tutti coloro che operano in presenza presso strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private». Ora, l’espressione «è completata» si potrebbe interpretare nel senso che resta ferma la priorità già espressa , non consentendo a chi ha rifiutato la vaccinazione di riacquisire la priorità, ovvero la stessa potrebbe essere letta, anche, nel senso deve completarsi, parallelamente alle categorie prioritarie, e, dunque, prioritariamente rispetto ai soggetti che non rientrano in tali categorie, la vaccinazione «di tutto il personale sanitario e sociosanitario» impegnato nella lotta al Covid-19 o che opera in presenza « presso strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private», consentendo, così, di acquisire una nuova priorità anche a quegli operatori sanitari che avevano rifiutato, in assenza di obbligo di legge, la vaccinazione.
È, altrimenti, vero che il Governo - e l’ordinanza del Gen. Figliuolo non mi pare sciolga il dubbio - potrebbe decidere di non includere tali soggetti nella «strategia adattiva», corrispondendo agli stessi le medesime conseguenze del non sanitario che ha rifiutato il vaccino, ma, ai fini dell’adempimento dell’obbligo vaccinale, il risultato non cambierebbe: l’operatore sanitario passerà comunque allo status “in progressione di vaccinazione”, con l’esclusione dalle conseguenze previste dal decreto legge per l’inadempimento all’obbligo legale.
Tale effetto pone, a mio avviso, una questione di costituzionalità (lesione del principio di eguaglianza) circa il trattamento di quegli operatori che ancora non hanno avuto accesso alla vaccinazione secondo le tempistiche e le modalità del piano vaccinale e che decidano, oggi in presenza dell’obbligo legale, di non vaccinarsi. Per gli stessi, infatti, la norma, come si vedrà, riconduce precise conseguenze in via diretta e - si badi - senza “diritto al ripensamento” che, invece, pare riconosciuto, dalla procedura che ora si illustrerà, a coloro che, come visto, avevano in precedenza rifiutato la vaccinazione. Mi sembra si possa ravvisare, in questo caso, un trattamento differente di situazioni omogenee laddove per coloro che esprimono ora il rifiuto alla vaccinazione non venga prevista una possibilità di ripensamento come, invece, è stabilito per coloro che già avevano declinato l’invito a vaccinarsi.

3. (Segue) La procedura di accertamento. – Venendo, dunque, al procedimento di accertamento dello status vaccinale, entro il 6 aprile (ma sembra siano tollerati eventuali ritardi) l’Ordine professionale territorialmente competente deve trasmettere alla regione o alla provincia autonoma in cui ha sede l’elenco dei propri iscritti. Entro il medesimo termine, il datore di lavoro degli operatori di interesse sanitario, che operano nelle strutture individuate dal comma 1 dell’art. 4, d.l. n. 44/2021, comunica alla regione o alla provincia autonoma in cui operano «l’elenco dei propri dipendenti con tale qualifica, con l’indicazione del luogo di rispettiva residenza».
Occorre notare che i due elenchi potrebbero non coincidere poiché, come visto , non per tutti gli operatori sanitari esiste uno specifico albo professionale con conseguente obbligo di iscrizione. Ciò non deve, però, portare a ritenere che gli operatori sine ordine possano ritenersi esclusi dall’obbligo vaccinale poiché, in tal caso, il procedimento omette unicamente le comunicazione da e per l’ordine professionale, restando fermo tutto il resto.
Va, inoltre, constatato che per il datore di lavoro la comunicazione riguarda «i propri dipendenti». A questa espressione si possono dare due diverse letture: 1) i lavoratori subordinati; 2) i lavoratori subordinati e coloro che svolgono la propria attività nella struttura, al di là quindi della tipologia contrattuale.
La prima lettura è certamente quella più giuridicamente corretta e fedele al dato letterale.
La seconda tiene, però, conto anche delle “mutazioni espressive” della norma. Il comma 6, infatti, relativo all’adozione dell’atto di accertamento parla di «comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza». Ebbene: l’interessato può essere sia un lavoratore subordinato che un autonomo. Ma la questione più rilevante ritengo sia un’altra: per un lavoratore autonomo presso una struttura sanitaria che non è iscritto all’ordine professionale, chi fa la comunicazione alla regione o provincia autonoma? Vale dire: chi segnala la sua presenza nella struttura al fine dell’avvio del procedimento di accertamento? Sembrerebbe nessuno dal testo della norma, con il risultato che tale soggetto svolgerebbe la propria attività in strutture sanitarie a contatto con il pubblico, con il rischio di diffusione del contagio.
Inoltre, anche se il lavoratore fosse autonomo ed iscritto all’ordine professionale, in tale caso la ASL comunicherebbe l’accertamento della mancata vaccinazione all’interessato e all’Ordine. Ordine che, secondo la norma, non deve fare comunicazioni alla struttura sanitaria presso cui il lavoratore autonomo opera.
Ritengo, dunque, a fini prudenziali per il datore di lavoro e in una lettura d’insieme della norma, che sarebbe bene inviare l’elenco di tutti i soggetti, rientranti nelle categorie obbligate alla vaccinazione indicate nel comma 1, che operano presso le strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali. Operando diversamente, si correrebbe il rischio di avere presso la propria struttura operatori sanitari non vaccinati che svolgono prestazioni di cura e assistenza, con un conseguente aggravio di responsabilità , in caso di contagio o malattia COVID-19, per il titolare della struttura nei confronti degli altri soggetti che ivi operano e dei pazienti.
Entro dieci giorni dalla data di ricezione di tali elenchi - quindi, considerato il periodo pasquale, molto presumibilmente entro il 16 aprile, ma anche qui sembra tollerata la mancanza di puntualità -, la regione o la provincia autonoma accerta, per il tramite dell’anagrafe vaccinale, lo status vaccinale di ciascun soggetto riportato negli elenchi. Qualora risulti che il soggetto non sia vaccinato o non abbia ancora effettuato la prenotazione secondo le modalità del piano vaccinale, segnala il nominativo all’azienda sanitaria locale di residenza. La stessa invita quindi l’interessato a produrre, entro cinque giorni dalla ricezione dell’invito, la documentazione che attesti : a) l’effettuazione ovvero la presentazione della richiesta di vaccinazione, in caso di errore nell’anagrafe vaccinale; b) le condizioni cliniche, certificate dal medico di base, che richiedano l’omissione o il differimento della vaccinazione; c) la non appartenenza alle categorie soggette all’obbligo di vaccinazione.
Se tale documentazione non viene presentata entro il termine previsto - termine che deve ritenersi riferito alla ricezione e non alla spedizione, escludendosi così il caso fortuito - l’azienda sanitaria locale «invita formalmente l’interessato a sottoporsi alla somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2», indicandone le relative modalità e termini di adempimento. Qualora l’interessato risponda a tale invito con l’invio della documentazione attestante la richiesta di vaccinazione, lo stesso dovrà trasmettere, entro tre giorni dalla somministrazione, «la certificazione attestante l’adempimento all’obbligo vaccinale».
Su questo fitto scambio di comunicazioni, va sottolineato che la norma non specifica alcun requisito formale; sicché deve ritenersi, considerati anche i termini piuttosto stringenti, che per le stesse viga il principio della libertà della forma, salvo indicazioni contrarie o specifiche delle regioni o delle province autonome. Inoltre, va notato che in caso di mancata comunicazione da parte del datore ovvero dell’Ordine professionale degli elenchi, non viene prevista alcuna conseguenza, se non quella (logica) dell’impossibilità di avvio del procedimento.
Diverso è, invece, il caso di mancato invio della documentazione richiesta da parte dell’operatore sanitario: a tale deficienza consegue, infatti, l’invito formale da parte dell’azienda sanitaria locale a sottoporsi alla vaccinazione. A tale invito, l’interessato deve dar risposta nelle modalità e nei termini indicati nello stesso al fine dell’adempimento all’obbligo di vaccinazione. Decorsi inutilmente tali termini, l’azienda sanitaria locale adotta l’atto di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale e ne dà comunicazione immediata in forma scritta all’interessato, al datore di lavoro e, se sussiste obbligo di iscrizione, all’Ordine professionale di appartenenza.

4. Effetti sul rapporto di lavoro: (duplice) sospensione e ius variandi. – All’accertamento dello status “non vaccinato” dell’operatore sanitario, l’art. 4, comma 6, d.l. n. 44/2021 fa conseguire «la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2». Tale sospensione interviene, così, sul rapporto contrattuale che lega l’operatore con la struttura sanitaria, interrompendo lo svolgimento di prestazioni o mansioni che pongano lo stesso a contatto con altri soggetti sia lavoratori che terzi. Occorre notare che la sospensione discende dalla legge e che, pertanto, non si verifica nessun intervento da parte del datore di lavoro. Non può, quindi, parlarsi di sospensione cautelare a seguito dell’esercizio del potere disciplinare né di sanzione disciplinare a seguito dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale. Si tratta, invece, di un effetto legale che la legge riconduce a tale inadempimento.
Bisogna, allora, comprendere se questo effetto possa inscriversi nelle cause di impossibilità sopravvenuta della prestazione ex art. 1256 c.c. È bene, innanzitutto, ricordare che l’art. 4, comma 1, d.l. n. 44/2021 ha prescritto la vaccinazione come «requisito essenziale» per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative degli operatori sanitari individuati dalla medesima norma, sicché in assenza della stessa si potrebbe ricadere in una delle ipotesi di inidoneità alla mansione che darebbe luogo ad un’impossibilità parziale della prestazione ex art. 1464 c.c. con conseguente possibilità, a seguito della manifestazione del datore di lavoro del non interesse alla continuazione del rapporto, di licenziamento per giustificato motivo oggettivo . Ma, come si dirà subito, la norma non arriva a tanto. È bene, altresì, sottolineare che l’inidoneità alla mansione non discende da una valutazione del medico competente, bensì dall’accertamento dello status vaccinale: sicché si evidenzia, ancora, come la normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro non sia in alcun modo vincolante ai fini del sottoporsi o meno al trattamento sanitario.
Vale, inoltre, la pena notare che la sospensione opera, a mio avviso, non solo sul piano del rapporto di lavoro, bensì anche su quella dell’abilitazione alla professione per quegli operatori sanitari che sono tenuti all’iscrizione all’albo professionale. L’art. 4, comma 7, d.l. n. 44/2021 sancisce, infatti, che la sospensione discendente dall’atto di accertamento della mancata vaccinazione da parte dell’azienda sanitaria locale venga «comunicata immediatamente all’interessato dall’Ordine professionale di appartenenza». Il senso di tale ulteriore comunicazione può apparire a prima vista tautologico dato che l’interessato riceve, ex comma 6, già dall’azienda sanitaria locale l’accertamento dello status vaccinale negativo da cui consegue la sospensione. Per evitare la tautologia, a mio avviso, bisogna interpretare la comunicazione da parte dell’ordine nel senso che comporti l’estensione dell’effetto sospensivo non solo al rapporto di lavoro, bensì anche all’iscrizione stessa all’albo professionale. L’ordine, in sostanza, comunica, all’iscritto la sua sospensione dallo stesso per i periodi individuati dalla norma, al termine dei quali opera - in via automatica così come la sospensione - la re-iscrizione, con effetto ex tunc, all’albo.
Va, difatti, precisato che l’art. 4, comma 9, d.l. n. 44/2021 sancisce che la sospensione ha efficacia «fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021»; di guisa che l’impossibilità è solo temporanea poiché ha, nell’ultimo giorno dell’anno, il termine massimo della sua durata. Al 1° gennaio 2022 il lavoratore non vaccinato potrà tornare a svolgere la propria prestazione o mansione che implica contatti interpersonali. Ciò comporta che per il perdurare dell’impossibilità a rendere la prestazione non possa venir meno l’interesse del creditore al perseguimento della stessa, dovendo questi, invece, conservare comunque il posto di lavoro all’operatore sanitario non vaccinato. Si verifica, qui, una evidente discrasia con il disposto dell’art. 1256, comma 2, c.c. che consente, invece, al creditore di recedere dal rapporto obbligatorio se viene meno l’interesse al conseguimento della prestazione.
Inoltre, l’art. 4, comma 8, d.l. n. 44/2021 stabilisce che, «ove possibile», il datore di lavoro adibisca il lavoratore «a mansioni, anche inferiori» che non implichino contatti interpersonali o che non comportino, in qualsiasi forma, il rischio di diffusione del contagio. Sicché, la prestazione non è sic et simpliciter impossibile, bensì la stessa può essere, a seguito dell’esercizio del potere direttivo del datore, mutata. Ritengo, quindi, che anche la qualificazione dell’impossibilità sopravvenuta debba essere scartata poiché troppi elementi differiscono dalla fattispecie dell’art. 1256 c.c. Direi che si tratti, più semplicemente, di un periodo di aspettativa non retribuita, con conseguente venir meno non solo della retribuzione, ma anche di ogni altro trattamento diretto, indiretto e differito , cui l’operatore sanitario non vaccinato viene sottoposto.
Tale “pesante” conseguenza non appare, però, a mio avviso, inderogabile. Il Governo, come già ricordato, ha previsto (art. 4, comma 8), infatti, la possibilità di adibizione del lavoratore ad altre mansioni, anche inferiori, che non comportino rischio di diffusione del contagio, introducendo, così, fino al 31 dicembre 2021 (termine massimo di efficacia della sospensione ex art. 4, comma 9) una ulteriore ipotesi di ius variandi (verticale in peius) rispetto a quelle stabilite dall’art. 2103, commi 2 e 4 c.c., senza, in questa nuova ipotesi, il diritto alla conservazione del trattamento retributivo in godimento. Occorre notare che, invece, l’operatore sanitario non vaccinato demansionato è comunque titolare del diritto alla conservazione del livello di inquadramento poiché, stante la temporaneità della sospensione ex art. 4, comma 9, lo stesso, al verificarsi di uno di tali termini, deve essere nuovamente adibito alle mansioni di provenienza, tornando a godere del relativo trattamento.
Né può escludersi una soluzione di maggiore (temporanea) garanzia della mansione e dei trattamenti goduti dal lavoratore, e dunque di miglior favore rispetto alla sospensione ex lege, come quella prospettata dal Tribunale di Belluno nella nota ordinanza del 19 marzo u.s. : messa in ferie coatta dei lavoratori non vaccinati.
Insomma, mi pare che la sospensione prevista dal Governo debba essere letta come una misura di extrema ratio , cui non può conseguirne, a mio avviso, altra ben più grave quale quella del licenziamento per g.m.o. In tal senso, come già detto, il termine massimo della misura (31 dicembre 2021) non consente il venir meno dell’interesse creditorio al proseguimento del rapporto obbligatorio. Tale interesse, del resto, non patendo i costi della prestazione, può trovare comunque soddisfazione, ove possibile (penso soprattutto nel settore privato), in nuove assunzioni magari a termine per il periodo di operatività della sospensione.

5. Vaccinazione omessa o differita e rapporto di lavoro. – L’art. 4, commi 10 e 11, d.l. n. 44/2021 prevede particolari misure per gli operatori sanitari le cui documentate condizioni cliniche sconsigliano o differiscono la vaccinazione. Come rilevato da attenta Dottrina , la norma non prevede alcuna comunicazione da parte dell’azienda sanitaria locale al datore di lavoro e all’Ordine professionale dello status di impossibilità (temporanea o definitiva) alla vaccinazione di tali soggetti, sicché non è ben chiaro come gli interventi cautelari che si vanno a descrivere possano, sine cognitione status, essere adottati dal datore di lavoro ovvero dall’ordine professionale.
In linea con il principio solidaristico, il Governo ha, infatti, stabilito che - ferme restando le tutele per i lavoratori fragili ex art. 26, commi 2 e 2-bis, d.l. 17 marzo 2020, n. 18 per i periodi di assenza dal servizio, per lo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità agile e per l’adibizione a diversa mansione ricompresa nella medesima categoria o livello di inquadramento - tali soggetti, per il periodo in cui la vaccinazione è omessa o differita e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, sono adibiti «a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio».
In questo caso, dunque, lo ius variandi può attuarsi solo in via orizzontale con il mantenimento del trattamento retributivo integrale, inclusa quindi anche la parte c.d. “dinamica” dello stesso, della mansione di provenienza per il tempo indicato dalla norma al fine di evitare il rischio di diffusione del contagio.
L’art. 4, comma 11, d.l. n. 44/2021 sancisce, invece, l’adozione delle misure di prevenzione igienico-sanitarie, indicate da uno specifico protocollo di sicurezza adottato, entro il 21 aprile (ma ad oggi ancora vacante), con decreto del Ministro della salute, di concerto con i Ministri della giustizia e del lavoro e delle politiche sociali, da parte degli operatori sanitari, a cui la vaccinazione è omessa o differita, «nell’esercizio dell’attività libero-professionale». La norma non si riferisce, quindi, alla prestazione lavorativa resa in regime di subordinazione , bensì all’attività che l’operatore sanitario svolge in maniera autonoma come libero professionista . Lo stesso sarà, dunque, tenuto, e sarà responsabile in tal senso anche verso i pazienti, ad adottare le misure che saranno emanate - ritengo - al fine di evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2 e che dovranno, però, garantire, in considerazione dello stato di fragilità dell’operatore sanitario, la possibilità di svolgimento dell’attività libero-professionale. Tale attività risulta, invece, sospesa per gli operatori il cui status vaccinale negativo è stato accertato dall’azienda sanitaria locale poiché l’art. 4, comma 11, trova espressa applicazione solamente nei confronti de«i soggetti di cui al comma 2» e, dunque, non è, a mio avviso, suscettibile di estensione.

6. Diritto all’indennizzo: una previsione mancante. – Il Governo nel formulare l’art. 4, d.l. n. 44/2021 pare aver dimenticato - ma sul punto mi auguro intervenga il legislatore in fase di conversione - una disposizione di rinvio concernente il diritto all’indennizzo a seguito dell’obbligatorietà della vaccinazione. Anzi, il comma 12 della norma sembra operare in senso decisamente contrario, laddove puntualizza che dall’attuazione della stessa «non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».
Ora, come statuito dall’art. 1, comma 1, l. 25 febbraio 1992, n. 210: «chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente della integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato». Tale norma non ha, però, un’applicazione diretta e, dunque, non garantisce in caso di qualsiasi vaccinazione obbligatoria per legge il diritto all’indennizzo, ma occorre che il suo ambito di efficacia sia esteso dalla norma impositiva del trattamento sanitario. La Corte costituzionale ha, infatti, dichiarato più volte incostituzionale tale disposizione, nella parte in cui non ha previsto l’indennizzo, alle condizioni ivi stabilite, di coloro che si siano sottoposti a vaccinazione obbligatoria, od anche solo raccomandata, contro varie patologie. L’indennizzo, del resto, non opera automaticamente, ma occorre l’accertamento della sussistenza di un nesso causale tra la somministrazione del vaccino e il danno alla salute verificatosi, sussistenza che può essere valutata anche secondo la regola della preponderanza dell’evidenza .
La “dimenticanza” del Governo non può, del resto, trovare giustificazione nel modulo di consenso informato che viene fornito al paziente prima della vaccinazione anti-coronavirus. Per il vaccino Pfizer-BioNTech, l’allegato 1 al modulo di consenso, punto 10 , afferma che «non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza». Per i vaccini AstraZeneca e Moderna, l’allegato al modulo di consenso si limita a prevedere che «se [il paziente] manifesta un qualsiasi effetto indesiderato, anche se non elencati di sopra, si rivolga al medico curante o contatti il centro vaccinale» ovvero ad invitare il paziente ad indicare gli effetti indesiderati tramite il sistema nazionale di segnalazione. La non conoscenza degli effetti, rectius danni, a lungo termine ovvero l’invito a rivolgersi al medico di base o al centro vaccinale non mi sembra siano degli esimenti per l’indennizzo da vaccinazione. Né il modulo di consenso informato contiene alcun riferimento in tal senso, riferimento che qualora fosse inserito avrebbe, a mio avviso, un connotato “quasi-vessatorio”.
Ritengo, pertanto, che il legislatore dovrà intervenire, in fase di conversione, a colmare l’omissione governativa poiché la stessa può essere tacciata di incostituzionalità tanto più se si considera l’obbligatorietà della vaccinazione. Il diritto all’indennizzo non può, infatti, essere escluso neanche per i soggetti che non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 4, d.l. n. 44/2021 e che riportino, a seguito della somministrazione del vaccino, lesioni o infermità dalle quali derivi una menomazione permanente della integrità psico-fisica. La Consulta ha, infatti, statuito che «la ragione che fonda il diritto all’indennizzo del singolo non risiede quindi nel fatto che questi si sia sottoposto a un trattamento obbligatorio: riposa, piuttosto, sul necessario adempimento, che si impone alla collettività, di un dovere di solidarietà, laddove le conseguenze negative per l’integrità psico-fisica derivino da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato che sia) effettuato nell’interesse della collettività stessa, oltre che in quello individuale».
Non può, dunque, negarsi il diritto all’indennizzo a quei soggetti, obbligati o non, che riportino danni permanenti a seguito della vaccinazione anti-coronavirus poiché è, indubbio, che tale trattamento sanitario sia votato alla salvaguardia dell’interesse collettivo alla salute costituzionalmente sancito.

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