TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

Nell’ambito del vivace dibattito che si è instaurato in merito alle conseguenze della mancata vaccinazione anti-Covid-19 da parte del lavoratore, a mio avviso, occorre soffermarsi, fulmineamente, su un aspetto: vale a dire quale sia la norma da cui possano scaturire, in mancanza di obbligo legale, tali conseguenze.
È a tutti noto che il problema vada affrontato in una duplice prospettiva: da un lato, quella dei lavoratori per i quali sussiste un obbligo vaccinale, introdotto dall’art. 4, d.l. 1 aprile 2021, n. 44, e, dall’altro, quella per i lavoratori non rientranti nelle categorie destinatarie individuate dal legislatore. Per i primi, la riserva di legge dell’art. 32, comma 2, Cost. è stata adempiuta e, quindi, questi soggetti devono vaccinarsi; il loro diritto all’autodeterminazione al trattamento sanitario incontra un limite esplicito nell’obbligo legale, che ne prevede, conseguentemente, degli effetti in caso di mancato adempimento. Quali sono questi soggetti ce lo dice il legislatore, secondo me, in via tassativa e, dunque, senza alcuna possibilità di estensione di tale obbligo ad altre categorie di soggetti. Anzi, l’art. 1, comma 1, l. 28 maggio 2021, n. 76, che ha convertito in legge il d.l. n. 44/2021, ha specificato che “gli operatori di interesse sanitario” - qualora si fosse potuta leggere estensivamente tale espressione - sono soltanto quelli “di cui all’articolo 1, comma 2, della legge 1° febbraio 2006, n. 43” e, dunque, quei profili di operatori di interesse sanitario individuati dalle Regioni e non rientranti nelle professioni sanitarie definite dalla legge.
Al di là dell’individuazione dei soggetti rientranti nel campo di applicazione, l’art. 4, d.l. n. 44/2021 struttura l’obbligo di vaccinazione in tre fasi e, come tale, suddivide i soggetti obbligati in tre status: 1. chi si è già vaccinato e, quindi, ha risolto il problema anche sul piano del rapporto di lavoro; 2. chi sta per vaccinarsi e, quindi, è in una fase in fieri della vaccinazione; e 3. chi, invece, rifiuta la vaccinazione. Tralasciando, in questa sede, il primo e il terzo, per il secondo status, cioè chi è in fieri secondo le modalità e le tempistiche indicategli dalla ASL, la legge non prevede alcuna conseguenza.
La norma non dice che l’operatore sanitario in attesa di vaccinazione vada sospeso ovvero vada messo in ferie, bensì, almeno per la mia personale interpretazione in assenza di indicazioni del legislatore, è un soggetto che continua a svolgere la propria mansione. Dunque, è un soggetto che è obbligato a vaccinarsi; ha, però, dei tempi di attesa dovuti alla vaccinazione, e, così, continua a svolgere il proprio lavoro nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, nelle parafarmacie e negli studi professionali, venendo, presumibilmente, a contatto con possibili soggetti vulnerabili al contagio.
Detto questo, in tema di onere della prova derivante da responsabilità sanitaria, la giurisprudenza ha sancito che spetta al paziente, che agisce per il risarcimento del danno, dimostrare il nesso di causalità tra l’insorgere della patologia - in questo caso il contagio da Covid-19 - e l’azione o l’omissione della struttura sanitaria ovvero dell’operatore; laddove il danneggiato abbia assolto tale onere, la struttura deve dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato frutto di un impedimento imprevedibile ed inevitabile secondo l’ordinaria diligenza.
Dunque, mi domando: per chi non sussiste l’obbligo di vaccinazione perché ci devono essere delle conseguenze sul piano del rapporto di lavoro? L’obbligo deve essere previsto da una legge e se non c’è una legge, in base a cosa si dice che il soggetto non tenuto alla vaccinazione - quindi non rientrante nel campo di applicazione dell’art. 4, d.l. n. 44/2021 e, così, anche tutti quei lavoratori non sanitari che, però, operano nelle strutture sanitarie - può andare incontro a sanzioni disciplinari ovvero alla sospensione non retribuita ovvero al licenziamento per impossibilità della prestazione? Quale sarebbe l’impossibilità della prestazione? Questi soggetti sono tenuti a svolgere le proprie mansioni secondo le indicazioni dei protocolli adottati dalle parti sociali e recepiti dal legislatore. Protocolli che non hanno, a mio avviso, un adattamento interpretativo perché altrimenti non sarebbe stato necessario il loro aggiornamento. Aggiornamento che, tra l’altro, non ha previsto la vaccinazione tra le misure di sicurezza anti-Covid-19 che il datore è tenuto ad adottare e che il lavoratore è tenuto a rispettare. E l’ordinaria diligenza richiamata dalla giurisprudenza in tema di onere probatorio estintivo della pretesa creditoria credo vada riferita alle misure dei protocolli. Misure cui, comunque, devono continuare ad attenersi anche i lavoratori, sanitari e non, che hanno aderito alla campagna vaccinale e il cui mancato adempimento comporterebbe, legittimamente, l’irrogazione di una sanzione disciplinare.
Questo, secondo me, è un punto emblematico: per chi non trova applicazione l’obbligo di vaccinazione, non ci possono essere conseguenze sul piano del rapporto di lavoro e, in questo senso, credo che qualora un terzo o un lavoratore dovesse lamentare il contagio contratto all’interno di un’impresa in presenza di lavoratori non vaccinati, basterà, a mio avviso, che la stessa fornisca la prova di aver adottato in maniera scrupolosa e, naturalmente, vigilato sul corretto rispetto da parte di tutto il personale impiegato delle misure previste dai protocolli. In questo caso, sarebbe, a mio avviso, dimostrato il caso fortuito del contagio da Covid-19 all’interno dell’impresa e, dunque, la non imputabilità del danno alla stessa.
Occorre, inoltre, tener conto delle indicazioni dell’EMA e dell’AIFA sull’efficacia del vaccino sul contagio da Covid-19. La prima afferma che “the impact of vaccination on the spread of the SARS-CoV-2 virus in the community is not yet known. It is not yet known how much vaccinated people may still be able to carry and spread the virus”. La seconda che “gli studi per stabilire se le persone vaccinate, infettate in modo asintomatico, possano contagiare altre persone sono in corso. Poiché è possibile che, nonostante l’immunità protettiva, in qualche caso il virus possa persistere nascosto nella mucosa nasale, le persone vaccinate e quelle che sono in contatto con loro devono continuare ad adottare le misure di protezione anti COVID-19”. Appare, dunque, evidente che, ad oggi, non è possibile considerare la vaccinazione, secondo l’esperienza e la tecnica , una misura di sicurezza e, pertanto, pretenderne il rispetto, rectius l’adesione, da parte del lavoratore, pena possibili conseguenze sul piano della continuità del rapporto.
Di fronte a questo, credo che per chi non sussiste l’obbligo, non possa sussistere conseguenza alcuna, nell’ambito lavorativo, in caso di mancata vaccinazione. Tenendo, anche, presente questa ulteriore specificazione: per chi, invece, sussiste l’obbligo ed è nello status in fieri, perché deve attendere le tempistiche della campagna vaccinale, la legge non dà alcuna indicazione e non prevede alcuna conseguenza. Quindi potrei avere un operatore sanitario che deve vaccinarsi, che però è in attesa (perché mancano le dosi, perché il suo nome è in fondo alla lista, ecc.) e, in questo caso, la legge non prevede alcuna sospensione dalla prestazione lavorativa. Quest’operatore sanitario continuerà a lavorare a contatto con soggetti possibilmente vulnerabili al contagio, seguendo, ritengo, le misure stabilite dai protocolli. Nient’altro.

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