Testo integrale con note e bibliografia

La sentenza CGUE in C/282/19 del 13 gen 2022.

Con la sentenza del 13 gennaio 2022 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea torna ad occuparsi del precariato scolastico nell’ordinamento italiano, in specie affrontando la questione della conformità al diritto sovranazionale della disciplina del rapporto di lavoro degli insegnanti di religione cattolica assunti a tempo determinato nella scuola pubblica.
La pronuncia del Giudice dell’Unione, sollecitata da un’ordinanza di rimessione del Tribunale di Napoli, contiene non affermazioni realmente innovative, quanto una grande “ricapitolazione” di principi già dettati in altre decisioni in materia di precariato nel lavoro pubblico.
La vicenda su cui la Corte era chiamata a pronunciarsi riguardava diversi insegnanti di religione cattolica, assunti dal Ministero dell’istruzione con una serie di contratti a tempo determinato, per tutti aventi durata complessiva superiore ai trentasei mesi,che avevano lamentato la discriminatorietà del trattamento loro riservato in quanto non avrebbero potuto beneficiare dei meccanismi di immissione in ruolo previsti dalla legge italiana per i docenti precari di altre materie. Avevano chiesto quindi la conversione dei loro rapporti di lavoro in rapporti a tempo indeterminato o, in ipotesi, la condanna dell’amministrazione al risarcirli del danno loro cagionato dalla reiterazione abusiva dei contratti a termine.

1. Il sistema generale di reclutamento del personale della scuola pubblica. Una (brevissima) sintesi.

Un esame, anche sommario, delle questioni poste dall’ordinanza di rimessione e poi dalla decisione della Corte non può prescindere tuttavia da una, seppure molto sintetica, ricostruzione della complessa disciplina del reclutamento del personale docente della scuola pubblica in generale e più specificamente degli insegnanti di religione cattolica.
Quanto al primo tema è noto come il D.L. 357/89, convertito nella legge 417/89, avesse regolato l’accesso in ruolo del personale scolastico a mezzo del sistema definito del “doppio canale”, incentrato in via alternativa sull’assunzione a tempo indeterminato di coloro che avessero maturato un’esperienza predeterminata come supplenti e sul concorso aperto all’esterno per titoli ed esami.
Trasfuso detto meccanismo nel D.L.gs. 297/94(cosiddetto Testo Unico dell’istruzione), esso era tuttavia rimastoin effetto inoperante per gran parte degli anni Novanta, per non avere l’amministrazione mai bandito in quegli anni alcun concorso ordinario.
La materia era stata quindi ridisciplinata dalla legge 124/99, che rese permanenti le graduatorie di accesso all’impiego per soli titoli, stabilì le regole per conseguire l’abilitazione ai fini dell’inserimento in tali graduatorie ed estese le disposizioni in materia di supplenze anche al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario.
Più specificamente, per quanto qui di interesse, l’art. 399 D.L.gs. 297/94disponeva: “1. L'accesso ai ruoli del personale docente della scuola materna, elementare e secondaria, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, ha luogo, per il 50 per cento dei posti a tal fine annualmente assegnabili, mediante concorsi per titoli ed esami e, per il restante 50 per cento, attingendo alle graduatorie permanenti di cui all'articolo 401.
2. Nel caso in cui la graduatoria di un concorso per titoli ed esami sia esaurita e rimangano posti ad esso assegnati, questi vanno ad aggiungersi a quelli assegnati alla corrispondente graduatoria permanente. Detti posti vanno reintegrati in occasione della procedura concorsuale successiva [..]”.
E ancora, secondo il successivo art. 400: “01. I concorsi per titoli ed esami sono indetti su base regionale con frequenza triennale, con possibilità del loro svolgimento in più sedi decentrate in relazione al numero dei concorrenti. L'indizione dei concorsi è subordinata alla previsione del verificarsi nell'ambito della regione, nel triennio di riferimento, di un'effettiva disponibilità di cattedre o di posti di insegnamento, tenuto conto di quanto previsto dall'articolo 442 per le nuove nomine e dalle disposizioni in materia di mobilità professionale del personale docente recate dagli specifici contratti collettivi nazionali decentrati, nonché del numero dei passaggi di cattedra o di ruolo attuati a seguito dei corsi di riconversione professionale. Per la scuola secondaria resta fermo quanto disposto dall'articolo 40, comma 10, della legge 27 dicembre 1997, n. 449”.
L’art. 401 del T.U.era dedicato specificamente alle graduatorie permanenti e, in esito all’entrata in vigore dell’art. 1, comma sesto della L. 124/99,recitava come segue: “1. Le graduatorie relative ai concorsi per soli titoli del personale docente della scuola materna, elementare e secondaria, ivi compresi i licei artistici e gli istituti d'arte, sono trasformate in graduatorie permanenti, da utilizzare per le assunzioni in ruolo di cui all'articolo 399, comma 1.
2. Le graduatorie permanenti di cui al comma 1 sono periodicamente integrate con l'inserimento dei docenti che hanno superato le prove dell'ultimo concorso regionale per titoli ed esami, per la medesima classe di concorso e il medesimo posto, e dei docenti che hanno chiesto il trasferimento dalla corrispondente graduatoria permanente di altra provincia. Contemporaneamente all'inserimento dei nuovi aspiranti è effettuato l'aggiornamento delle posizioni di graduatoria di coloro che sono già compresi nella graduatoria permanente.
[..]”.
Inoltre ex art. 4 della L. 124/99: “1. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l'intero anno scolastico, qualora non sia possibile provvedere con il personale docente di ruolo delle dotazioni organiche provinciali o mediante l'utilizzazione del personale in soprannumero, e sempreché ai posti medesimi non sia stato già assegnato a qualsiasi titolo personale di ruolo, si provvede mediante il conferimento di supplenze annuali, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale docente di ruolo.
2. Alla copertura delle cattedre e dei posti di insegnamento non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell'anno scolastico si provvede mediante il conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche. Si provvede parimenti al conferimento di supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche per la copertura delle ore di insegnamento che non concorrono a costituire cattedre o posti orario.
3. Nei casi diversi da quelli previsti ai commi 1 e 2 si provvede con supplenze temporanee.
4. I posti delle dotazioni organiche provinciali non possono essere coperti in nessun caso mediante assunzione di personale docente non di ruolo.
5. Con proprio decreto da adottare secondo la procedura prevista dall'articolo 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Ministro della pubblica istruzione emana un regolamento per la disciplina del conferimento delle supplenze annuali e temporanee nel rispetto dei criteri di cui ai commi seguenti.
6. Per il conferimento delle supplenze annuali e delle supplenze temporanee sino al termine delle attività didattiche si utilizzano le graduatorie permanenti di cui all'articolo 401 del testo unico, come sostituito dal comma 6 dell'articolo 1 della presente legge.
7. Per il conferimento delle supplenze temporanee di cui al comma 3 si utilizzano le graduatorie di circolo o di istituto. [..]
10. Il conferimento delle supplenze temporanee è consentito esclusivamente per il periodo di effettiva permanenza delle esigenze di servizio. La relativa retribuzione spetta limitatamente alla durata effettiva delle supplenze medesime.
11. Le disposizioni di cui ai precedenti commi si applicano anche al personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA). [..]”.
E al personale ATA si applicava altresì la norma già sopra detta in materia di frequenza triennale dei concorsi di accesso, ex art. 552 del D.L.gs. 297/1994.
Con distinti decreti ministeriali (il n. 201/2000 per il personale docente ed educativo e il n. 430/2000 per il personale ATA)l’amministrazione aveva poi dettato le disposizioni attuative dell’art. 4 della L. 124/99, fissando i termini di scadenza delle diverse tipologie di contratti.
In particolare il termine era (ed è) stabilito: al 31 agosto di ogni anno per le supplenze “annuali” di cui all’art. 4 primo comma della L. 124/99, al giorno indicato per ciascun anno dal calendario scolastico come termine finale delle attività didattiche per le supplenze “temporanee fino al termine delle attività didattiche” previstedal secondo comma dell’art. 4 e infine all’ultimo giorno di effettiva permanenza delle esigenze di servizio per le supplenze temporanee disposte nei “casi diversi” di cui dice l’art. 4, terzo comma.
Successivamente l’art. 1 del D.L. 134/2009, convertito in l. 167/2009, ha aggiunto un comma 14-bis all’art. 4 l. 124/99, disponendo che “i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze previste dai commi 1, 2 e 3, in quanto necessari per garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo, possono trasformarsi in rapporti di lavoro a tempo indeterminato solo nel caso di immissione in ruolo, ai sensi delle disposizioni vigenti e sulla base delle graduatorie previste dalla presente legge e dall'articolo 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n.296, e successive modificazioni”.
Richiamo quest’ultimo alla norma (l’art. 1, comma 605, lett. c, della L. 296/2006) che ha trasformato le graduatorie permanenti, di cui all’art. 401 del T.U. in graduatorie ad esaurimento “in un’ottica di contenimento della spesa pubblica e di assorbimento del precariato”, e ha così precluso l’inserimento di nuovi aspiranti prima che sia completata l’immissione in ruolo dei lavoratori già inseriti in quelle graduatorie.
Ancoral’art. 9 comma 18 del D.L. 13.5.2011, n. 70 convertito con L. 12.7.2011, n. 106, ha aggiunto all’art. 10 d.lgs. 368/2001 il comma 4bis, che ha escluso l’applicazione della disciplina generale del contratto a termine a “i contratti a tempo determinato stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA, considerata la necessità di garantire la costante erogazione del servizio scolastico ed educativo anche in caso di assenza temporanea del personale docente ed ATA con rapporto di lavoro a tempo indeterminato ed anche determinato. In ogni caso non si applica l'articolo 5, comma 4-bis, del presente decreto”.
Infine, la disciplina è stata ulteriormente modificata dalla legge 13 luglio 2015 n. 107 che, oltre a prevedere un piano straordinario di assunzioni del solo personale docente per l’anno scolastico 2015/2016 suddiviso in tre fasi, ha disposto la definitiva perdita di efficacia delle graduatorie ad esaurimento effettivamente esaurite, ha ribadito la cadenza triennale dei concorsi (da indire su base regionale tenendo conto del fabbisogno espresso dalle istituzioni scolastiche nel piano dell’offerta formativa), ha previsto che le graduatorie concorsuali abbiano efficacia pure triennale, ha inserito un limite alla reiterazione delle supplenze, prevedendo che a decorrere dal 1° settembre 2016 i contratti a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili non possano superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi, disposizione quest’ultima abrogata dall’art. 4 bis del D.l. 87/2018, convertito nella L. 96/2018.
Il generale sistema di reclutamento del personale scolastico che si è sommariamente descritto è stato poi oggetto di plurimi interventi del Giudice di legittimità, della Corte Costituzionale e della Corte di Giustizia, i cui approdi, almeno allo stato, devono dirsi riassunti nelle decisioni nn. 22552-2258 del 7.11.2016 della Corte di Cassazione, emesse in esitoalle statuizioni contenute nella sentenza della CGUE del 26.11.2014 (Mascolo + altri vs Miur e Comune di Napoli) e in quella della Corte costituzionale 20.7.2016, n.187.
La ricostruzione del quadro normativo operata dalla richiamata giurisprudenza di legittimità può riassumersi nei termini che seguono:
a)la disciplina che si è sopra descritta costituisce un sistema “in sé compiuto. Vi si trovano regolati i criteri di formazione degli organici (artt. 441 segg., 520 segg., 548, 581 e 582 t.u., 2 e 4 l. 124/99), i presupposti soggettivi (art. 402 segg., 420, 553, 554 e 584 t.u.) ed oggettivi (art. 377 segg. e 395-397 t.u.), il procedimento (artt. 400, 404, 414-416, 421 t.u.), le graduatorie (artt. 417, 423 t.u.), le forme di mobilità (artt. 460 segg. t.u. e 8 l. 124/99)” (così testualmente Trib. Genova, 25.3.2011, tra le prime decisioni di merito a concludere nel senso appena detto). Così che non è di norma consentito integrarne le disposizioni con la disciplina generale del contratto a termine contenuta nell’ordinamento interno.
b)D’altro canto, la materia del contratto a tempo determinato è regolata dal diritto dell’Unione a mezzo della direttiva 1999/70/UE, pacificamente applicabile anche ai rapporti di lavoro a termine con amministrazioni pubbliche (in tal senso cfr. Corte Giust. 4 luglio 2006, grande sez., in causa c-212/04, Adeneler; e Corte giust. UE, sez. II., 7 settembre 2006, c-53/03, Marrosue Sardinoe da ultimo26 novembre 2014, Mascolo, di cui infra).
Ed è noto come la clausola 5 dell’accordo quadro, cui la direttiva 1999/70 è diretta a dare attuazione, disponga che “per prevenire gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri, previa consultazione delle parti sociali a norma delle leggi, dei contratti collettivi e della prassi nazionali, e/o le parti sociali stesse, dovranno introdurre, in assenza di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi e in un modo che tenga conto delle esigenze di settori e/o categorie specifici di lavoratori, una o più misure relative a:
a) ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b) la durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi;
c) il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti”.
c)La Corte di Giustizia, richiesta (anche) dalla Corte Costituzionale italiana di pronunciarsi sulla compatibilità comunitaria della disciplina nazionale di reclutamento del personale scolastico con contratti a termine per la copertura di posti vacanti e disponibili, con la sentenza 26.11.2014, Mascolo, ha affermato che la normativa nazionale italiana sottoposta al suo esame (e quindi previgente la L. 13 luglio 2015 n. 107) non prevede alcuna delle misure dirette a evitare la reiterazione abusiva dei contratti a termine di cui al punto 1, lettere b) e c) della clausola 5, né alcuna misura equivalente, e ha di conseguenza ritenuto decisivo in tali circostanze “che il rinnovo di siffatti contratti di lavoro sia giustificato da una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro”, ribadendo (come già in Adeneler e a., punto 67, nonché in Fiamingo e a., punto 58) come “l’uso di contratti di lavoro a tempo determinato basato su ragioni obiettive sia un mezzo per prevenire gli abusi”.
Facendo applicazionedi tali principi alla fattispecie sottoposta alla sua cognizione la Corte ha quindi rilevato come “una normativa nazionale che consenta il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per sostituire, da un lato, personale delle scuole statali in attesa dell’esito di procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo nonché, dall’altro, personale di tali scuole che si trova momentaneamente nell’impossibilità di svolgere le sue funzioni non è di per sé contraria all’accordo quadro. Infatti, la sostituzione temporanea di un altro dipendente al fine di soddisfare, in sostanza, esigenze provvisorie del datore di lavoro in termini di personale può, in linea di principio, costituire una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), di tale accordo quadro (v., in tal senso, sentenze Angelidaki e a., , punti 101 e 102, nonché Kücük, , punto 30)”.
D’altro canto, prosegue la pronuncia, “nell’ambito di un’amministrazione che dispone di un organico significativo, come il settore dell’insegnamento, è inevitabile che si rendano spesso necessarie sostituzioni temporanee a causa, segnatamente, dell’indisponibilità di dipendenti che beneficiano di congedi per malattia, per maternità, parentali o altri. La sostituzione temporanea di dipendenti in tali circostanze può costituire una ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, che giustifica sia la durata determinata dei contratti conclusi con il personale supplente, sia il rinnovo di tali contratti in funzione delle esigenze emergenti, fatto salvo il rispetto dei requisiti fissati al riguardo dall’accordo quadro (v., in tal senso, sentenza Kücük, EU:C:2012:39, punto 31)”.
Mentre “l’insegnamento è correlato a un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione della Repubblica italiana che impone a tale Stato l’obbligo di organizzare il servizio scolastico in modo da garantire un adeguamento costante tra il numero di docenti e il numero di scolari”, un adeguamento che dipende “da un insieme di fattori, taluni dei quali possono, in una certa misura, essere difficilmente controllabili o prevedibili, quali, in particolare, i flussi migratori esterni ed interni o le scelte di indirizzi scolastici da parte degli scolari”.
Così che si deve ammettere che “fattori del genere attestano, nel settore dell’insegnamento di cui trattasi nei procedimenti principali, un’esigenza particolare di flessibilità che, .., è idonea, in tale specifico settore, a giustificare oggettivamente, alla luce della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, il ricorso a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato per rispondere in maniera adeguata alla domanda scolastica ed evitare di esporre lo Stato, quale datore di lavoro in tale settore, al rischio di dover immettere in ruolo un numero di docenti significativamente superiore a quello effettivamente necessario per adempiere i propri obblighi in materia”.
Non di meno prosegue la Corte “l’osservanza della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro richiede … che si verifichi concretamente che il rinnovo di successivi contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato miri a soddisfare esigenze provvisorie, e che una disposizione nazionale quale l’articolo 4, comma 1, della legge n. 124/1999, letta in combinato disposto con l’articolo 1 del decreto n. 131/2007 non sia utilizzata, di fatto, per soddisfare esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro in materia di personale (v., in tal senso, sentenza Kücük, EU:C:2012:39, punto 39 e giurisprudenza ivi citata)”.
Mentre “il solo fatto che la normativa nazionale di cui trattasi nei procedimenti principali possa essere giustificata da una «ragione obiettiva» ai sensi di tale disposizione non può essere sufficiente a renderla ad essa conforme, se risulta che l’applicazione concreta di detta normativa conduce, nei fatti, a un ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato”.
E dagli elementi di fatto fornitigli dalle parti la Corte ha concluso nella specie che la disciplina interna, per il caso di supplenze annuali, non ponga alcun termine preciso “per l’organizzazione e l’espletamento delle procedure concorsuali che pongono fine alla supplenza e, pertanto, del limite effettivo con riguardo al numero di supplenze annuali effettuato da uno stesso lavoratore per coprire il medesimo posto vacante”, così “da consentire, in violazione della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato al fine di soddisfare esigenze che, di fatto, hanno un carattere non già provvisorio, ma, al contrario, permanente e durevole, a causa della mancanza strutturale di posti di personale di ruolo nello Stato membro considerato”.

c) In esito alla sentenza del Giudice dell’Unione, come è noto, con la sentenza n. 187 del 2016 la Corte Costituzionale ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione, dell’art. 4, commi 1 e 11, della legge 3 maggio 1999, n. 124, nella parte in cui autorizza, in mancanza di limiti effettivi alla durata massima totale dei rapporti di lavoro successivi, il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza che ragioni obiettive lo giustifichino”.
Il Giudice delle Leggi ha d’altra parte ritenuto di dovere integrare il dictum del giudice comunitario e ha esaminato la questione oggetto dei giudizi nei quali era stato sollevato l’incidente di costituzionalità alla luce dello iussuperveniens, costituito dalla legge n. 107 del 2015, per desumerne la sopravvenuta introduzione di una delle misure rispondenti ai requisiti richiesti dalla Corte di giustizia limitatamente ai docenti, ai quali le procedure privilegiate di assunzione previste dalla legge del 2015 assicurerebbero serie e indiscutibili chances di immissione in ruolo.
Ha di contro ritenuto che, non essendo stato previsto per il personale ATA alcun piano straordinario di assunzione, dovesse trovare applicazione la misura ordinaria del risarcimento del danno, misura del resto prevista dal comma 132 dell’art. 1 della legge n. 107 del 2015 (di cui infra).

d) Con le decisioni n. 22552-2258 del 7.11.2016, sopra richiamate, la Corte di Cassazione ha in primo luogo ritenuto che, per essere la decisione del Giudice delle Leggi una pronuncia di accoglimento, l’art. 4 c. 1 e 11 della legge 3 maggio 1999 n. 124, avesse cessato di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione dichiarativa della sua illegittimità costituzionale, così che esso non poteva trovare applicazione con riferimento a tutti i rapporti non ancora esauriti, come quelli oggetto delle controversie sottoposte al suo esame.
Quanto ad essi quindi il Giudice di legittimità,all’esito dei giudizi nei quali è stata risolta la questione della doppia pregiudizialità, ha individuato le condizioni in presenza delle quali deve dirsi sussistente, nella scuola pubblica, l’abusiva reiterazione delle assunzioni precarie e indicato quale debba essere in tali casi la sanzione dell’abuso.

e)E quindi, quanto alla sussistenza della reiterazione abusiva, la Corte ha affermato che di essa può farsi in via generale questione solo quanto alle supplenze su posti vacanti e disponibili (cioè relative a posti dell’organico di diritto, sui quali sia la CGUE, sia la Corte Costituzionale erano state chiamate a pronunciarsi) disposte dopo il 10.7.2001 (termine previsto dall’art. 2 della Direttiva 1999/70/CE per l’adozione da parte degli stati membri delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla Direttiva) e che adeguato indice dell’abuso sia il protrarsi dell’occupazione precaria oltre il termine triennale previsto per l'indizione delle procedure concorsuali (dall’art. 400 del T. U., come modificato dall'art. 1 legge n. 124 del 1999, cadenza prevista anche dalla disposizione relativa ai futuri concorsi contenuta nel comma 113 dell’art. 1, legge n. 107 del 2015). Un termine la cui ragionevolezza è, secondo la Corte, confermata dalla previsione (all’epoca delle decisioni del novembre 2016) di un analogo limite massimo all’impiego legittimo del lavoro precario nel settore privato (così l’art. 5, comma 4-bis, del D.L.gs. 368/2001, introdotto dalla legge 247 del 2007 e l’art. 19 comma 2 D.L.gs. 81 del 2015 nel testo previgente le modifiche introdotte dal D.L. 87/2018, convertito nella L. 96/2018, che ha ridotto a 24 mesi i termini massimi di durata dei contratti a termine nell’impiego privato). Così che “la complessiva durata massima di trentasei mesi costituisce un parametro tendenziale del sistema delle assunzioni a tempo determinato che porta ad allineare, ferma la specialità del d.lgs. n. 165/01, il settore privato e il settore pubblico se pur esclusivamente in ordine al limite temporale oltre il quale è configurabile l'abuso” (così Cass., 22552/2016).

f) Quanto alle supplenze su organico di fatto (e quindi avvenute su posti non vacanti, ma disponibili), attesa la peculiarità del settore dell’istruzione pubblica (richiamata anche dal Giudice dell’Unione nei passi sopra riportati della sentenza Mascolo), che in linea di principio non esclude che la reiterazione di assunzioni precarie possa essere determinata da esigenze in fatto transitorie (quali quelle determinate dalla sostituzione di personale assente o da altre contingenze), non può darsi reiterazione abusiva “salvo che non sia allegato e provato da parte del lavoratore che, nella concreta attribuzione delle supplenze della tipologia in esame, vi sia stato un uso improprio o distorto del potere di organizzazione del servizio scolastico, delegato dal legislatore al Ministero, e quindi prospettandosi non già la sola reiterazione ma le condizioni concrete della medesima (quali il susseguirsi delle assegnazioni presso lo stesso Istituto e con riguardo alla stessa cattedra)” (così testualmente ancora Cass., 22552/2016).

g) Ove sia ritenuto il carattere abusivo della reiterazione, non prevedendo la direttiva 1999/70 una sanzione specifica, spetta alle autorità nazionali adottare misure che devono rivestire un carattere non solo proporzionato, ma anche sufficientemente energico e dissuasivo, per garantire la piena efficacia delle norme superprimarie. La misura sanzionatoria deve, infatti, presentare garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente l’abuso e “cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione” (sentenza Mascolo cit. par. 77-79; sentenza 15.4.2008, C-268/06, Impact; sentenza 23.4.2009, cause riunite da C-378/07 a C-380/07, Angelidaki ed altri).
Deve escludersi tuttavia che, nel lavoro pubblico, una tale sanzione consista nella conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, attesa la disposizione dell’art. 36 del D. Lgs. n. 165 del 2001, espressione del generale principio del normale accesso ai pubblici impieghi solo per concorso contenuto nell’art. 97 Cost., e disposizione della quale la Corte di Giustizia ha più volte escluso la contrarietà al diritto dell’Unione (ex multis CGUE sentenze 7 settembre 2006, Marrosu e Sardino, C-53/04; 7 settembre 2006, Vassallo, C‑180/04; 4 luglio 2006, Adeneler e altri, C‑212/04; ordinanza 1 ottobre 2010, Affatato, C-3/10; sentenza 3 luglio 2014, Fiamingo, C-362/13, C-363/13 e C-407/13 - riunite).
Così che, in linea di principio, l’abusiva reiterazione di assunzioni precarie nel lavoro pubblico dovrà trovare sanzione e adeguata riparazione nel risarcimento del danno ex art. 36 dello stesso D.L.gs. 165/2001, determinato secondo i criteri individuati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella pronuncia 15.3.2016, n. 5072.
Decisione nella quale, come è noto, si afferma che “nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36, comma 5, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall'onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, e quindi nella misura pari ad un'indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8”.

2. Il reclutamento dei docenti di religione cattolica nella scuola pubblica e le questioni poste alla Corte di Giustizia.

Se, pur all’esito di un percorso assai accidentato, la disciplina generale relativa al reclutamento del personale precario della scuola pubblica ha raggiunto un assetto ragionevolmente stabile dopo le decisioni della Corte di Cassazione del novembre 2016, le questioni relative specificamente ai docenti di religione cattolica sono rimaste più a lungo controverse. Infatti l’applicabilità anche a questa categoria di docenti dei principi affermati dalla giurisprudenza, in materia di assunzioni, per la generalità del personale scolastico non era così scontata, giacché, non solo il reclutamento, ma anche diversi e qualificanti aspetti del rapporto di lavoro, dei docenti di religione cattolica sono regolati da una diversa normativa, contenuta nella L. 186/2003.
Essaprevede due “distinti ruoli regionali, articolati per àmbiti territoriali corrispondenti alle diocesi, del personale docente e corrispondenti ai cicli scolastici previsti dall'ordinamento” (così l’art. 1), disciplina l'accesso ai ruoli mediante concorso per titoli ed esami, avente cadenza triennale,determina “la consistenza della dotazione organica degli insegnanti di religione cattolica, articolata su base regionale, … nella misura del 70 per cento dei posti d'insegnamento complessivamente funzionanti” (art. 2), prevedendo che il residuo 30% di tali posti sia coperto con contratti a termine, di durata annuale, rinnovabili, dispone infine che condizione per l’assunzione degli insegnanti di religione, con qualsiasi tipologia di rapporto di lavoro, e per la conservazione del rapporto medesimo, sia il riconoscimento di idoneità rilasciato dall’ordinario diocesano competente per territorio. E, a norma dell’art. 3 nono comma, la revoca di tale idoneità comporta la cessazione del rapporto (a tempo indeterminato e a termine), salva la possibilità, riservata ai soli docenti assunti con contratto a tempo indeterminato, di fruire della mobilità professionale “con le modalità previste dalle disposizioni vigenti e subordinatamente al possesso dei requisiti prescritti per l'insegnamento richiesto” (così l’art. 4) edi partecipare alle procedure di diversa utilizzazione e di mobilità collettiva previste dall’art. 33 del D.L.gs. 165/2001.
Secondo il Tribunale di Napoli una tale disciplina avrebbe precluso agli insegnanti di religione cattolica assunti con contratto a tempo determinato di accedere al piano straordinario di assunzioni previsto dalla L. 107/2015 e non conterrebbe alcuna, diversa misura effettivamente sanzionatoria del ricorso abusivo alla reiterazione dei contratti a termine, in quanto, per effetto delle disposizioni dell’art. 10 comma 4 bis del D.Lgs. 368/2001 e dell’art. 29 comma 2 del D.L.gs. 81/2015, al personale della scuola non potrebbe applicarsi la norma dell’art. 36 comma 5 del D.L.gs. 165/2001.
D’altra parte, ad avviso del Tribunale, il rapporto di lavoro degli insegnanti di religione cattolica si distinguerebbe certamente da quello degli altri docenti della scuola pubblica, per essere condizionato, sia quanto all’instaurazione, sia quanto alla permanenza del rapporto, dall’idoneità rilasciata dall’ordinario diocesano.
Il remittente ha chiesto quindi alla Corte di Giustizia:
1) “Se il diverso trattamento riservato ai soli insegnanti di religione cattolica, quali gli istanti [nel procedimento principale], costituisca discriminazione per motivi religiosi, ai sensi dell’articolo 21 della Carta (...) e della direttiva [2000/78] ovvero se la circostanza che [l’]idoneità già in possesso del lavoratore possa essere revocata sia ragione giustificatrice idonea perché solo gli insegnanti di religione cattolica, quali gli istanti [nel procedimento principale], siano trattati diversamente dagli altri docenti, non beneficiando di alcuna misura ostativa prevista dalla Clausola 5 dell’accordo quadro (...);
2) in ipotesi di ritenuta sussistenza di discriminazione diretta, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [2000/78], per motivi religiosi (articolo 1), nonché ai sensi della Carta (...), deve interrogarsi la Corte circa gli strumenti che [il remittente] può adoperare per eliminarne le conseguenze, tenuto conto che tutti i docenti diversi dagli insegnanti di religione cattolica sono stati destinatari del piano straordinario di assunzioni di cui alla legge 107/15, ottenendo la immissione in ruolo con conseguente contratto di lavoro a tempo indeterminato, e, dunque, se [il giudice del rinvio] debba costituire un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con la Amministrazione convenuta [nel procedimento principale];
3) se la clausola 5 dell’accordo quadro (...) debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale, come quella di cui trattasi, in forza della quale le norme di diritto comune disciplinanti i rapporti di lavoro, intese a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato tramite la conversione automatica del contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato qualora il rapporto di lavoro perduri oltre una data precisa, non sono applicabili al settore scuola, con specifico riferimento ai docenti di religione cattolica, in modo tale da consentire una successione di contratti di lavoro a tempo determinato per un periodo di tempo indefinito; in particolare se possa costituire ragione obiettiva ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro la necessità d’intesa con l’ordinario diocesano, ovvero, di contro, debba ritenersi una discriminazione vietata ai sensi dell’articolo 21 della [Carta];
4) in ipotesi di risposta positiva al quesito sub 3 se l’articolo 21 della [Carta], la clausola 4 dell’accordo quadro (...) e/o l’articolo 1 della direttiva [2000/78] consentano la disapplicazione [delle] norme che impediscono la conversione automatica di un contratto a tempo determinato in un contratto a tempo indeterminato qualora il rapporto di lavoro perduri oltre una data precisa”.
La Corte, nel rispondere ai quesiti, dopo aver affermato la propria competenza , ha in primo luogo e del tutto condivisibilmente, escluso che nella specie si faccia questione di discriminazione per ragioni di religione, giacché“dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta che la normativa nazionale di cui al procedimento principale priva gli insegnanti di religione cattolica degli istituti di istruzione pubblica, …, della possibilità di convertire il loro contratto di lavoro a tempo determinato in un contratto di lavoro a tempo indeterminato e/o di ottenere un risarcimento per il danno subìto a causa della successione di contratti a tempo determinato non già in considerazione della loro religione, bensì, al pari degli altri docenti di tali istituti, per il fatto che essi rientrano nel settore dell’insegnamento pubblico” (punto 64 della sentenza).
Del pari non è in dipendenza della religione da loro praticata che i docenti di religione cattolica, a differenza degli insegnanti precari di altre materie, non hanno potuto beneficiare delle procedure previste dall’art. 399del Testo Unico né del piano straordinario di assunzioni previsto dalla legge n. 107/2015, bensì in ragione della durata annuale dei loro contratti, che non ne aveva consentito l’inserimento nelle graduatorie permanenti, indispensabili per le immissioni in ruolo secondo le disposizioni appena richiamate. D’altro canto, sottolinea ancora la Corte, non vi è alcuna relazione tra il rilascio dell’idoneità e la professione di fede necessari per l’insegnamento della religione cattolica e il tipo del rapporto di lavoro prescelto dall’amministrazione (a termine o a tempo indeterminato), “giacché tali elementi riguardano anche gli insegnanti di religione cattolica assunti a tempo indeterminato” (ancora il punto 64 della sentenza).
Piuttosto, secondo la Corte, deve valutarsi se la disciplina nazionale censurata contrasti con le disposizioni della direttiva 1999/70 e dell’accordo quadro da essa recepito, quanto cioè al rispetto del principio di non discriminazione previsto dal diritto derivato dell’Unione in favore dei lavoratori assunti a tempo determinato e in rapporto alle tutele assicurate dalla disciplina interna dello Stato al personale assunto a tempo indeterminato comparabile.
E qui la Corte fornisce la risposta ai quesiti del remittente sulla base dei suoi consolidati principi.
Ribadisce quindi, l’applicabilità anche al lavoro pubblico e in specie al rapporto di lavoro dei docenti della scuola pubblica dell’accordo quadro; ricorda poi come la clausola 4 di tale accordo assuma il principio di non discriminazione dei lavoratori assunti a termine rispetto quelli assunti a tempo indeterminato comparabili, così che non rilevano, ai fini dell’accordo e della direttiva che lo recepisce, differenze di trattamento tra lavoratori tutti assunti a termine (come sarebbel’esclusione dei docenti di religione dalla possibilità di accedere a forme di stabilizzazione del rapporto, quali il reclutamento straordinario previsto dalla L. 107/2015, invece consentite ai docenti precari di altre materie).
Ancora la Corte rammenta (ai punti 78-84 della sentenza) i principi più volte affermati dalla sua giurisprudenza quanto alla portata applicativa della clausola 5 dell’accordo quadro, ricordando come, in forza di tale previsione, gli Stati membri siano tenuti all’ “adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure che essa elenca, qualora il loro diritto interno non contenga norme equivalenti” e di come tuttavia essi dispongano al riguardo di un margine di discrezionalità, “purché essi non rimettano in discussione lo scopo o l’effetto utile di tale accordo quadro”.
L’accordo quindi non obbliga gli Stati ad adottare una specifica sanzione in caso di abuso nel ricorso ai contratti a tempo determinato, non in specie la trasformazione di tali rapporti in rapporti a tempo indeterminato, essendo sufficiente che siano comunque adottate “misure che siano non soltanto proporzionate, ma altresì sufficientemente effettive e dissuasive da garantire la piena efficacia delle norme adottate in attuazione dell’accordo quadro”.
La Corte dice poi dell’applicazione di tali principi alla fattispecie sottoposta al suo esame ed esamina in particolare il rilievo da attribuirsi, ai fini della specialità del rapportodei docenti di religione cattolica, all’idoneità rilasciata dall’ordinario diocesano, per escludere che essa costituisca una ragione obiettiva come intesa dalla clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, che con essa “si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato” (punto 93 della sentenza).
Rileva infatti in proposito come, una tale condizione, espressione del “legame di speciale fiducia che deve esistere tra l’insegnante di religione cattolica e il vescovo diocesano” riguardi anche i docenti assunti a tempo indeterminato, così che essa non può essere invocata“per giustificare il ricorso abusivo ai contratti a tempo determinato” (punto 100 della decisione, e già prima il punto 64 e di seguito punti 111-115).
La Corte ritiene invece che il carattere facoltativo dell’insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica possa richiedere“un costante adeguamento tra il numero di lavoratori ivi impiegati e il numero di potenziali utenti, … il che comporta, per il datore di lavoro, esigenze provvisorie in materia di assunzione. In tal senso, l’assunzione temporanea di un lavoratore al fine di soddisfare le esigenze provvisorie e specifiche del datore di lavoro in termini di personale può, in via di principio, costituire una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro”.
Può darsi quindi, secondo la Corte “nel settore dell’insegnamento di cui trattasi nel procedimento principale, un’esigenza particolare di flessibilità che, …, è idonea, in tale specifico settore, a giustificare oggettivamente, alla luce della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, il ricorso a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato per rispondere in maniera adeguata alla domanda scolastica ed evitare di esporre lo Stato, quale datore di lavoro in tale settore, al rischio di dover immettere in ruolo un numero di docenti significativamente superiore a quello effettivamente necessario per adempiere i propri obblighi in materia”.
Tuttavia, anche in tal caso ribadendo principi già affermati, la sentenza prosegue affermando che “non si può invece ammettere che contratti di lavoro a tempo determinato possano essere rinnovati per la realizzazione, in modo permanente e duraturo, di compiti che rientrano nella normale attività del settore dell’insegnamento”, così che “l’osservanza della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro esige … che sia verificato concretamente che il rinnovo di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi miri a soddisfare esigenze provvisorie, e che una disposizione nazionale come quella di cui al procedimento principale non sia utilizzata, di fatto, per soddisfare esigenze permanenti e durevoli del datore di lavoro in materia di personale”.
Nella specie al contrario, secondo la Corte, i contratti di lavoro intercorsi tra i lavoratori ricorrenti e l’amministrazione non sembrano rispondere a esigenze solo provvisorie del datore di lavoro, avendo i lavoratori svolto mansioni del tutto simili, se non identiche, per vari anni “cosicché si può ritenere che tali rapporti di lavoro abbiano soddisfatto un fabbisogno non già provvisorio, bensì, al contrario, duraturo, circostanza che spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare” (punto 110 della sentenza).
Con la conseguenza che, salvo che sia accertata dal giudice del rinvio, l’esistenza nell’ordinamento interno dello Stato, di norme equivalenti per la prevenzione degli abusi“una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale nel settore dell’insegnamento pubblico della religione cattolica non è idonea a prevenire o a sanzionare gli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato”.
Così che spetterà al giudice adito interpretare e applicare “le pertinenti disposizioni di diritto interno in modo da sanzionare debitamente tale abuso e da eliminare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione”, anche eventualmente facendo applicazione delle norme di diritto interno che impongono la conversione in rapporti a tempo indeterminato dei rapporti a termine che superino una determinata durata.
A quest’ultimo proposito la Corte aggiunge tuttavia, anche in tal caso richiamandosi alla propria costante giurisprudenza, come la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sia priva di effetto diretto, così che essa non può essere fatta valere al fine di escludere l’applicazione di una disposizione di diritto nazionale ad essa contraria. Resta tuttavia l’obbligo di interpretazione conforme, inerente al sistema del Trattato FUE, che impone ai giudici nazionali di interpretare il diritto interno “quanto più possibile alla luce del testo e dello scopo della direttiva in questione, onde conseguire il risultato perseguito da quest’ultima”(punto 121 della sentenza). Ciò tuttavia nei limiti dei principi generali del diritto, in particolare in quelli di certezza del diritto e di non retroattività, non essendo comunque consentita un’interpretazione contra legem del diritto nazionale.
La Corte ha quindi risposto alle questioni pregiudiziali affermando che “la clausola 5 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso, da un lato, che essa osta a una normativa nazionale che esclude gli insegnanti di religione cattolica degli istituti di insegnamento pubblico dall’applicazione delle norme dirette a sanzionare il ricorso abusivo a una successione di contratti a tempo determinato, qualora non esista nessun’altra misura effettiva nell’ordinamento giuridico interno che sanzioni detto ricorso abusivo, e, dall’altro, che la necessità di un titolo di idoneità rilasciato da un’autorità ecclesiastica al fine di consentire a tali insegnanti di impartire l’insegnamento della religione cattolica non costituisce una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a), dell’accordo quadro, nella misura in cui tale titolo di idoneità è rilasciato una sola volta, e non prima di ogni anno scolastico che dà luogo alla stipulazione di un contratto di lavoro a tempo determinato”.
3. Per un’ipotesi di soluzione del caso concreto.
All’esito del giudizio di compatibilità comunitaria, spetterà quindi al giudice nazionale individuare la sanzione di eventuali abusi nella successione di rapporti a termine intrattenuti dall’amministrazione scolastica con i docenti di religione.
Sembra a chi scrive che una tale sanzione non possa certo ravvisarvi nella conversione del rapporto di lavoro, non imposta dalla disciplina dell’Unione (come ribadito dalla Corte di Giustizia anche nella decisione che si commenta) ed esclusa, non solo dalla disposizione dell’art. 36 del D.L.gs 165/2001 (della cui compatibilità con il diritto dell’Unione si è già detto), ma prima dal principio del necessario accesso per concorso ai pubblici impieghi di cui all’art. 97 Cost.
Piuttosto non sembrano esservi ostacoli all’applicazione anche i docenti precari di religione dei principi già affermati dalla giurisprudenza di legittimità a proposito dell’abusivo ricorso al lavoro a termine del residuo personale scolastico e sopra ricordati.
Così potrebbe essere ragionevole ritenere indicativa della stabilità delle esigenze organizzative realizzate con le assunzioni precarie la circostanza che il rapporto sia proseguito per oltre i trentasei mesi indicati anche dalla L. 186/2003 (come dall’art. 400 del T. U.e dall’art. 1 comma 113 della L. 107/2015)come frequenza ordinaria dei concorsi per le assunzioni a tempo indeterminato e assunti come utili, ai fini delle cosiddette stabilizzazioni, da numerose disposizioni relative ad altri comparti del pubblico impiego(cfr. l’art. 1, comma 558, l. n. 296/2006, relativo alla stabilizzazione negli enti locali,; stabilizzazione dei dipendenti della Croce Rossa Italiana, loc. ult. cit., comma 519).
Del pari alla prosecuzione del rapporto oltre tale termine dovrebbero seguire le medesime sanzioni ritenute adeguate dalla giurisprudenza di legittimità per il restante personale scolastico precario e quindi il risarcimento del danno ex art. 36 del D.Lgs. 165/2001, quantificato con richiamo all’art. 32 comma 5 della L. 183/2010, secondo i principi affermati dallagià ricordata pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 5072 del 15.3.2016.
Si tratterebbe di un esito ragionevole e insieme, ad avviso di chi scrive, discretamente prevedibile alla luce già della precedente giurisprudenza del Giudice dell’Unione.

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