TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

SENTENZA CGUE 765 21 OBBLIGHI VACCINALI COVID

ORDINANZA DI RIMESSIONE DEL TRIB. DI  PADOVA

1. I quesiti del Tribunale di Padova.
L’avvento improvviso della pandemia da covid 19 ha coinvolto tutti gli aspetti della vita del nostro Paese, come di tutti gli altri nel mondo intero, sociale, economico, giuridico ed anche giudiziario.
Nella prima fase della pandemia, quando più numerosi erano gli episodi infettivi con esiti pesanti e spesso letali, e conseguentemente più forte l’allarme sociale, abbiamo assistito ad una straordinaria compattezza della giurisprudenza, civile ed amministrativa, nell’ attribuire rilevanza preminente all’interesse pubblico, e quindi a sostegno della legislazione emergenziale, in particolare per quanto riguarda l’ obbligo di vaccino .
Successivamente, verso la fine dell’anno 2021, quando la virulenza dell’agente patogeno si era attenuata, sono iniziati i primi dubbi, che si sono canalizzati verso tre direzioni; a) alcune sentenze, in verità sporadiche , hanno accolto le istanze dei no vax, ritenendo che la legislazione emergenziale confligga con la centralità della persona, valore che prevale su qualsiasi altro; oppure che competa a questa, e non alle istituzioni centrali, la scelta delle misure precauzionali; b) la massima parte dei provvedimenti giudiziari si è rivolta però, correttamente, all’organo istituzionale deputato a risolvere i conflitti tra legge ordinaria e legge costituzionale . La Corte, con le tre sentenze nn. 14, 15 e 16 del 9 febbraio 2023 ha dichiarato inammissibili o non fondate ben 11 ordinanze di rimessione su vari aspetti della legislazione emergenziale ; c) iI Tribunale di Padova ha scelto la via del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
Con ordinanza 7 dicembre 2021, in fattispecie di infermiera professionale in servizio presso reparto ospedaliero, già contagiata e guarita da Covid 19, renitente per questa ragione al vaccino, ha rivolto domanda di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea su 7 quesiti:
1. Se l’autorizzazione condizionata emessa su parere favorevole EMA in relazione ai vaccini in commercio possa essere considerata valida alla luce dell’art. 4 Regolamento n. 507/2006 ;
2. se possa ritenersi sussistente una deroga all’ obbligo di vaccino valida nei confronti di quegli operatori sanitari guariti dal Covid 19 e, pertanto, divenuti immuni;
3. se, in ragione del carattere condizionato dell’autorizzazione dei vaccini, i sanitari obbligati possano opporsi alla inoculazione fintantoché non sarà accertato che non vi siano controindicazioni e che i benefici siano superiori a quelli degli altri farmaci anti-covid oggi in commercio;
4. se sia legittima la sospensione dal posto di lavoro senza diritto alla retribuzione per il sanitario non vaccinato, o se sia necessario prevedere una gradualità delle misure sanzionatorie, in ossequio al principio fondamentale di proporzionalità;
5. se la verifica della possibilità di utilizzazione in forma alternativa del lavoratore debba avvenire nel rispetto del contradditorio e quando ciò non avvenga, se ai sensi dell’art. 41 della Carta di Nizza si configuri il diritto al risarcimento danni;
6. se alla luce del regolamento 953/2021, che vieta qualsiasi discriminazione tra il vaccinato ed il non vaccinato, sia legittima una disciplina nazionale che consente al
sanitario esentato dall’ obbligo di vaccino di poter esercitare la propria attività anche in contatto con il paziente, mentre il non vaccinato per scelta è automaticamente sospeso;
7. se infine sia compatibile con il richiamato reg. 953/2021 la disciplina di uno stato membro che imponga il vaccino anti-covid a sanitari provenienti da altri stati membri e presenti in Italia .

2. La risposta della Corte di giustizia dell’Unione europea: irricevibile.
La Corte, con sentenza 13 luglio 2023, seconda sezione, ha dichiarato irricevibili tutte le questioni proposte, per carenza dei requisiti richiesti dall’art. 94. Lett. c) del regolamento di procedura .
La Corte ha preliminarmente respinto l’istanza di procedimento accelerato ai sensi dell’art. 105 del regolamento di procedura . Ha ricordato la propria giurisprudenza secondo cui il procedimento accelerato costituisce uno strumento procedurale destinato a rispondere a una situazione di urgenza straordinaria. Ha quindi rilevato che Il giudice del rinvio non ha fornito tutti gli elementi che consentano di valutare la portata del rischio rappresentato dalla sospensione della infermiera ricorrente per la sua sussistenza finanziaria, tenuto conto in particolare della durata limitata della sospensione.
La Corte passa quindi all’esame del primo quesito, con il quale, come cennato, il giudice del rinvio si interroga sulla validità, in relazione all’articolo 4 del regolamento n. 507/2006 , delle autorizzazioni all’immissione in commercio condizionate concesse per i vaccini destinati a prevenire l’infezione da e la diffusione del COVID-19, nonché la gravità delle manifestazioni di tale patologia, per il motivo che cure alternative efficaci contro il COVID-19 e meno pericolose per la salute erano già state approvate, a tale data, in diversi Stati membri.
La Corte rileva che il giudice del rinvio non ha identificato concretamente dette autorizzazioni né ha preso in esame il loro contenuto alla luce dei requisiti di validità derivanti dall’art. 4 del regolamento n. 507/2006. Egli si è limitato a esporre la propria personale valutazione secondo la quale non pare «irragionevole» nutrire dubbi quanto alla validità di dette autorizzazioni, senza tuttavia approfondire in alcun modo la natura concreta di tali dubbi.
La Corte ha quindi concluso per la irricevibilità del primo quesito.
Ha poi esaminato congiuntamente i motivi da 2 a 5, che la Corte così riassume:
a)se il regolamento n. 507/2006 debba essere interpretato nel senso che esso osta a che possano essere utilizzati vaccini che sono stati oggetto di un’autorizzazione condizionata;
b) e ciò anche nella situazione in cui i soggetti in parola abbiano sviluppato l’immunità al virus che causa tale malattia;
c) se la sanzione inflitta al personale sanitario in caso di inosservanza dell’obbligo in parola possa, in considerazione, eventualmente, dell’articolo 41 della Carta, consistere nella sospensione dal lavoro senza retribuzione anziché in misure sanzionatorie graduali, adottate conformemente al principio di proporzionalità e al principio del contraddittorio.
La Corte risponde: le questioni dalla seconda alla quinta si fondano sulla premessa secondo cui il regolamento n. 507/2006 o le autorizzazioni condizionate concesse ai sensi dello stesso, riguardano le condizioni che disciplinano l’imposizione, nel diritto interno, di un obbligo vaccinale, basato facendo uso di vaccini oggetto di una siffatta autorizzazione condizionata.
Ma la premessa, dice la Corte, è errata, perché l’articolo 168, paragrafo 7, TFUE non enuncia alcuna prescrizione relativa alla vaccinazione obbligatoria a carico degli Stati membri. E’ ben vero che nell’esercizio di tale competenza gli Stati membri devono rispettare il diritto dell’Unione, ma il giudice del rinvio non ha spiegato in cosa consista il collegamento tra il principio generale del diritto dell’Unione relativo al diritto a una buona amministrazione (oggetto dell’art. 41 della Carta invocato) e l’attuazione dell’obbligo vaccinale previsto all’art. 4 del decreto legge n. 44/2021, non avendo dimostrato che l’ultima disposizione costituisce un’attuazione del diritto dell’Unione.
Con la sesta questione il giudice del rinvio denuncia la disparità di trattamento tra sanitari che non possono sottoporsi al vaccino per controindicazioni mediche, cui l’art. 4, commi 2 e 11, d.l. 1 aprile 2021 n. 44, conv. in l. 28 maggio 2021 n. 76, consente di proseguire nella loro attività, salva sempre l’osservanza di misure precauzionali, e coloro che si rifiutano per libera scelta, che sono invece sanzionati con la sospensione dall’attività e la perdita della retribuzione, ciò alla luce del regolamento 953/2021, che vieta qualsiasi discriminazione tra il vaccinato ed il non vaccinato, ed i principi di proporzionalità e non discriminazione con il richiamato reg. 953/21.
Con la settima invoca lo stesso regolamento sotto il profilo che osterebbe ad una disciplina nazionale applicabile anche ai cittadini di altri Stati membri che lavorano in Italia.
La Corte li tratta congiuntamente, e li dichiara entrambi irricevibili.
Le è facile rilevare che la ricorrente è una cittadina italiana che ha lavorato sempre in Italia, e quindi il regolamento 953/2021, che riguarda i rapporti transfrontalieri, è invocato a sproposito.
Ma prima di ciò, afferma che anche questi due quesiti non soddisfano i requisiti dell’art. 94, e sono pertanto irricevibili, perché il regolamento invocato è intitolato “Regolamento (UE) 2021/953 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2021 su un quadro per il rilascio, la verifica e l'accettazione di certificati interoperabili di vaccinazione, di test e di guarigione in relazione alla COVID-19 (certificato COVID digitale dell'UE) per agevolare la libera circolazione delle persone durante la pandemia di COVID-19” e pertanto, come precisa il considerando 36 del medesimo, non può essere interpretato nel senso che esso istituisce un diritto o un obbligo ad essere vaccinato.
Che dire di questa sentenza così tranchante?

3. Alcune considerazioni sulla sentenza.
A nostro modesto avviso, la pronuncia di irricevibilità costituisce una stroncatura che maschera un giudizio di non fondatezza. Ed in effetti l’ordinanza del Tribunale di Padova è ricca di argomentazioni e riferimenti alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea applicati al caso di specie. Vi è però un passo che tradisce il significato della ordinanza: Scrive il giudice rimettente: “alla luce della sterminata letteratura in subiecta materia e del dibattito scientifico finanche sovrabbondante, non appare pensabile o anche solo ragionevole che questo Tribunale possa farsi carico, magari attraverso una consulenza tecnica, di risolvere il punto sub judice della maggiore rischiosità del vaccino rispetto al possibile contagio, anche a causa di eventuali ricadute della malattia da parte della ricorrente, della preferibilità/opzionabilità di cure diverse, oggi comunque disponibili in ambiente ospedaliero” (cure alternative che in effetti indica singolarmente). E allora esso ammette espressamente che la ricorrente, nonostante la guarigione, possa subire delle ricadute, e che la scelta tra vaccino e cure alternative costituisce una valutazione medico scientifica, e non giuridica, che il Tribunale chiede alla Corte di effettuare, al posto suo. Ed in effetti sotto questo profilo è irricevibile, per mancanza dell’accertamento del presupposto costituito dalla preferibilità delle cure alternative, non solo sotto il profilo della loro maggiore efficacia, ma anche della praticabilità in un quadro di tutela collettiva della salute.
Benché la sentenza della Corte si svolga su un piano processuale, contiene però affermazioni relative alla interpretazione delle norme comunitarie che difficilmente consentono la riproposizione dei medesimi quesiti in forma più articolata di quella già ampia della ordinanza di rimessione, e rispondente ai requisiti dell’art. 94 del regolamento di procedura.
Il Tribunale di Padova non ha correttamente individuato le norme comunitarie di possibile conflitto perché semplicemente queste non esistono. E difatti, delle norme invocate:
-a monte di tutto, l’art. 168, par. 7, TFUE, non enuncia a carico degli Stati membri, alcuna prescrizione relativa alla vaccinazione obbligatoria (punto 40 della sentenza in esame);
-l’art. 41 della Carta di Nizza si rivolge alle istituzioni comunitarie e non agli stati membri (punto 43) ;
-il regolamento 2921/953 riguarda le operazioni a valle di rilascio del certificato interoperabile e non quella a monte del vaccino, che rimane nella disponibilità della legislazione nazionale (punto 47).
L’unica norma di possibile coinvolgimento è l’art. art. 4 regolamento 507/2006 sul rilascio di autorizzazione condizionata, ma su questo si è già detto, e si sono parimenti pronunciate le sentenze delle alte Corti straniere citate al par. seguente.

4. La confluenza con le decisioni delle altre Alte Corti.
Si può ricordare che anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, nella sua composizione a grande camera, ha respinto con la sentenza Vavřička dell’8 aprile 2021 , i dubbi sulla obbligatorietà del vaccino dei minori nella Repubblica ceca, affermando il principio che gli Stati hanno l’obbligo di porre l’interesse superiore del bambino, ed anche dei bambini come categoria, al centro di tutte le decisioni che riguardano la loro salute ed il loro sviluppo.
Identiche le decisioni delle altre Alte Corti dei Paesi europei.
Le stesse obiezioni giuridiche e fattuali del Tribunale di Padova sono state poste alla giustizia amministrativa del nostro Paese, la quale vi ha replicato con la sentenza del Consiglio di Stato 20 ottobre 2021 n. 7045 , che con motivazione ampia, approfondita ed esaustiva copre tutto l’arco delle tesi contrarie al vaccino. Sulla sua scia, la sent. 28 febbraio 2022 n. 1376 entra nel merito dei dubbi sulla affidabilità del vaccino, che la Corte di giustizia in commento ha dichiarato irricevibili, riportando le parole del rapporto AIFA relativo all’osservazione del periodo 27.12.2020-26.12.2021, secondo cui “nel caso specifico di questi vaccini, nessuna Autorità Regolatoria a livello globale ha concesso deroghe significative alle varie fasi della sperimentazione richieste dalla normativa per tutti i farmaci e vaccini. Va infatti sottolineato con estrema chiarezza che nessuna delle fasi dello sviluppo pre-clinico e clinico (test di qualità, valutazione dell’efficacia e del profilo di sicurezza) dei vaccini è stata omessa e il numero dei pazienti coinvolti negli studi clinici è lo stesso di vaccini sviluppati con tempistiche standard. Lo sviluppo clinico in tempi molto rapidi è stato possibile grazie a grandi investimenti economici e di know-how, che hanno permesso alle aziende farmaceutiche e alle istituzioni accademiche e di ricerca pubblica di affiancare temporalmente le diverse fasi di sviluppo clinico e di arruolare negli studi di fase 3 un numero molto elevato (decine di migliaia) di partecipanti. Alla rapida disponibilità dei vaccini anti-Covid-19, inoltre, ha contribuito in maniera rilevante la celerità del processo autorizzativo dei prodotti da parte di tutte le Autorità Regolatorie. A livello dell’EMA, in particolare, si è ricorsi allo strumento della revisione ciclica (rolling review), che ha permesso di valutare i dati contestualmente alla loro raccolta, con la conseguente compressione dei tempi burocratici di autorizzazione. Analogamente, l’AIFA, che direttamente partecipa alle valutazioni di procedure centralizzate europee, ha accelerato il processo di ratifica dell’approvazione EMA per rendere questi medicinali velocemente disponibili nel nostro Paese (entro 24 ore dalla autorizzazione dell’EMA)”.
La Bundesverwaltungsgericht (Corte federale amministrativa tedesca), con decisione del 7 luglio 2022, nel caso BVerwG 1 WB 2.22, ha respinto il ricorso di un appartenente alla forza aerea contro il regolamento emesso dal Ministro federale della difesa il 24 novembre 2021 che includeva il vaccino anti-covid nella lista dei vaccini obbligatori per tutti gli appartenenti alle forze armate. Il militare ricorrente deduceva che gli effetti collaterali dei vaccini mRNA erano sproporzionati rispetto ai loro benefici. La Corte, premesso che il Ministro della difesa era il soggetto legittimato secondo l’ordinamento tedesco a emettere siffatto ordine, che le condizioni operative dei militari in ambiente ristretto potevano facilitare il contagio, sì che erano legittime misure dirette a preservare la loro salute secondo l’art. 33 della costituzione federale, ha concluso che il Ministero ben poteva fare affidamento sulle istituzioni scientifiche federali per i vaccini e i rimedi biomedicali al fine di valutare il rischio della vaccinazione .
Il Conseil d’État francese, con decisione del 14 febbraio 2022 n. 460891, si è pronunciato sulla specifica questione della proporzionalità della dose di richiamo del vaccino. Adito da una stagista ospedaliera, il Conseil, premesse le fonti internazionali sui diritti dell’uomo, le fonti europee e quelle nazionali, ha dichiarato la dose di richiamo misura appropriata, necessaria e proporzionata, sulla base delle indicazioni delle istituzioni sanitarie ufficiali, più affidabili degli articoli di giornale prodotti dalla ricorrente. Si è soffermato in particolare sull’argomento solito del carattere condizionato dell’autorizzazione, negandone il carattere sperimentale.
Rimane il nodo della risoluzione della Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa 27 gennaio 2021 n. 2361, che sembra andar in direzione opposta alle decisioni riportate. Infatti essa recita:
7.3 Per quanto riguarda la garanzia dell’assunzione del vaccino su vasta scala:
7.3.1 fare in modo che i cittadini siano informati del fatto che la vaccinazione non è obbligatoria e che nessuno subisce pressioni politiche, sociali o d’altro genere per farsi vaccinare, se non è la persona stessa a volerlo;
7.3.2 garantire che nessuno sia discriminato per non essere stato vaccinato, a causa di un eventuale rischio per la salute o per non essersi voluto vaccinare.
Il contrasto si risolve osservando che si tratta appunto di una risoluzione, atto privo di valore vincolante, emanata da una istituzione distinta da quelle comunitarie, e che non ha impedito alla Corte competente, la Corte Europea dei diritti dell’uomo, di pronunciarsi affermativamente sulla obbligatorietà del vaccino anti-covid con la sentenza Vavřička citata.

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