TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Un po’ di storia: la specialità del procedimento ex art. 28 St. lav. prima della novella del 1973
Un focus sui cinquant’anni del processo del lavoro non può prescindere da una riflessione su una norma – l’art. 28 dello Statuto dei lavoratori (d’ora in poi art. 28) – che solo tre anni prima della novella del 1973 introduceva nel nostro ordinamento un inedito strumento processuale, di portata straordinaria, che ancora oggi possiamo considerare la «chiave di volta» del sistema di tutele predisposte dalla l. n. 300/1970 (e non solo), il «vero cardine della tutela dell’azione sindacale» .
La grande novità è rappresentata, sul piano sostanziale, dal fatto che la norma accorda espressamente tutela giurisdizionale a situazioni di vantaggio a dimensione collettiva (superando la tradizionale ottica individualistica) e rendendo giustiziabili situazioni riconducibili – anche o soltanto – al sindacato.
Non meno rilevanti le novità sul piano processuale e su più versanti.
Innanzitutto, sul versante della legittimazione ad agire, attribuita, per la prima volta, al soggetto collettivo portatore dell’interesse superindividuale protetto («gli organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse»); in secondo luogo, per la particolare efficacia del provvedimento con cui il giudice ordina («con decreto motivato e immediatamente esecutivo») la cessazione della condotta antisindacale e la rimozione degli effetti e, infine, per la natura sommaria e urgente della procedura.
È bene rammentare che il procedimento sommario di cui all’art. 28 interveniva in un momento storico in cui la durata media dei processi era, in primo grado, di due anni e mezzo e, nei procedimenti di appello, di circa un anno e mezzo, finendo per negare la garanzia giurisdizionale e per colpire gravemente le esigenze di tutela dei soggetti deboli del rapporto di lavoro .
La previsione di una procedura d’urgenza – volta a reprimere «nei due giorni successivi», «i comportamenti diretti a impedire o limitare l’esercizio della libertà e dell’attività sindacale nonché del diritto di sciopero» –, fino a quel momento relegata in un àmbito marginale della giustizia del lavoro, ha avuto una efficacia «dirompente» nel cosmo della giustizia del lavoro (come pure nella giustizia civile tout court ), con un messaggio chiaro: la tutela cui il processo è funzionalizzato «può essere assicurata con prontezza, incisività ed effettività» .
Non a caso, uno dei padri dello Statuto dei lavoratori, a vent’anni dalla sua entrata in vigore, così scriveva: «Se… nello statuto non fosse presente l’art. 28, molto probabilmente lo statuto stesso, nonostante le buone intenzioni degli interpreti, si sarebbe arenato nella secche di una procedura civile che all'epoca era lentissima, che lenta è ancora ma che, proprio per l'influenza indiretta esercitata dallo statuto, è stata riformata nel 1973, segnando un progresso rispetto al processo civile» .
Da quel momento, anche grazie alla prima intensa esperienza applicativa , emerge con chiarezza come la tutela sommaria possa rappresentare un momento essenziale dell’effettività della garanzia giurisdizionale , specie ove si consideri che la materia del lavoro si caratterizza per la disuguaglianza economica delle parti, oltre che per la presenza di situazioni sostanziali spesso a contenuto non patrimoniale di rango costituzionale.
Tanto è vero che sull’onda dell’esperienza applicativa dell’art. 28, nei decenni più recenti si sono moltiplicate procedure speciali, non di rado affidate sempre a soggetti collettivi e a tutela di diritti “nuovi”. Il procedimento sommario dello Statuto dei lavoratori diventa, così, un modello – come si dirà meglio più innanzi – che il legislatore utilizza in altre situazioni nelle quali ravvisa la necessità di un tutela giurisdizionale differenziata con le stesse esigenze di celerità ed efficienza.
Certo è che il procedimento di cui all’art. 28 ha rappresentato, unitamente ad altre coeve procedure speciali, alcune presenti nello stesso Statuto dei lavoratori (l’azione di cui all’art. 18 contro il licenziamento di rappresentanti sindacali aziendali che vede come co-legittimati attivi il lavoratore licenziato e l’associazione sindacale di appartenenza), altre più risalenti nel tempo (il potere attribuito al giudice dall’art. 6, l. n. 604/1966, di decidere di controversie in materia di licenziamenti individuali) un esperienza utile e stimolante per la riforma del 1973, offrendo al diritto processuale civile un prototipo regolativo .

2. L’art. 28 St. lav. come ponte per una nuova giustizia del lavoro
Come si è detto, il successo della disposizione statutaria è da imputarsi alla singolare - «esplosiva» , addirittura - combinazione tra la fattispecie aperta, ma teleologicamente determinata, che tipizza il comportamento illegittimo attraverso la direzione in cui si muove la lesione del bene protetto , il riconoscimento della rilevanza degli interessi collettivi del lavoro, attraverso la legittimazione ad agire attribuita direttamente a(gli organismi locali de)lle organizzazioni sindacali nazionali e, infine, un meccanismo processuale agile e di notevole capacità dissuasiva e ripristinatoria .
Nella prospettiva processualistica che in questa sede si è assunta, e ferma restando l’ampia riforma (sostanziale) del diritto del lavoro compiuta dall’intero corpus dello Statuto, il procedimento per la repressione della condotta antisindacale si presenta tanto più significativo perché si pone – come già osservato – quale anticipazione e ispirazione della riforma del rito del lavoro della l. n. 533/1973.
Per un verso, infatti, l’art. 28 ha sancito, con una consapevolezza che sarà maturata meglio ex post, il ruolo primario dell’intervento dei giudici in ambiti, come il conflitto intersindacale e la regolazione del lavoro, fino ad allora rimasti fuori dalle aule giudiziarie. Se già nel 1976 Gino Giugni scriveva che «con l’approvazione dello Statuto si assiste come tendenza generale ad un allargamento del ruolo del giudice», che diventa «un soggetto sempre più attivo del nuovo sistema di relazioni industriali» , un giudizio ancora più netto è stato più di recente formulato da Maria Vittoria Ballestrero in occasione dei cinquant’anni della legge, quale «vera e propria via maestra aperta all’ingresso della giustizia dello Stato nell’anomico sistema italiano di relazioni industriali» .
Ciò che qui pare opportuno sottolineare è che tale ruolo da parte dei giudici non è stato svolto solo nel discernere i confini dell’antisindacalità, ma ancor più nel contestualizzare il procedimento di repressione della condotta antisindacale nel quadro complessivo degli strumenti giudiziali azionabili. Basterà ricordare come la giurisprudenza costituzionale, chiamata a valutare la tenuta del particolare meccanismo selettivo di legittimazione attiva del sindacato nazionale, ne ha invero rimarcato la razionalità nel nome del pericolo di una paralisi dell’attività imprenditoriale, ma allo stesso tempo ne ha qualificato la legittimità quale “corsia preferenziale” e dunque aggiuntiva , aprendo a proficui sviluppi di una piena percorribilità da parte del sindacato del ricorso ex art. 700 c.p.c. e persino dell’azione ordinaria, per quanto più lunga nei suoi tempi, innanzi al giudice del lavoro .
Per altro verso, l’art. 28 ha finito per preludere alla riforma del 1973 nell’ottica della comune esigenza di una «tutela giurisdizionale differenziata» per situazioni soggettive, come quelle afferenti ai rapporti di lavoro, di rilevanza costituzionale. Ed anzi, i due interventi normativi hanno finito per integrarsi e completarsi, pur seguendo strade assai diverse tra di loro: il procedimento per la repressione della condotta antisindacale si è mosso sul versante di una tutela d’urgenza, ma non cautelare, capace di assicurare effettività alla tutela giurisdizionale di interessi collettivi laddove la durata, anche ragionevole, del processo a cognizione piena avrebbe potuto pregiudicarla, mentre il (nuovo) processo del lavoro si è sviluppato in ragione della differenziazione di un rito (speciale) a cognizione piena rispetto al rito ordinario, puntando sulla valorizzazione del giudice monocratico e dei suoi poteri .
Si tratta del «nuovo giudice» a cui ha già guardato lo Statuto dei lavoratori riponendo nelle sue mani lo strumento dell’azione contro le condotte antisindacali, altrettanto nuovo in quei tratti essenziali – la snellezza e la velocità (il termine ordinatorio dei due giorni successivi della fase sommaria, l’ampiezza e l’informalità dei poteri istruttori), la tendenziale definitività del provvedimento finale, se non opposto, e per di più garantito da meccanismi di coazione indiretta all’adempimento (nel riferimento all’art. 650 c.p.) - da apparire da subito distante tanto dal procedimento monitorio quanto da quello cautelare ex art. 700 c.p.c., al punto da affrancare dottrina e giurisprudenza da inquadramenti sistematici impossibili .
Non è possibile in questa sede addentrarsi ulteriormente nei profili procedurali dell’art. 28, ma appare doveroso almeno sottolineare come la sua struttura si contraddistingua per una solidità che poche altre norme dello Statuto hanno conosciuto. È stata, infatti, interessata da due soli interventi “manutentivi”: il primo - la sostituzione del giudice unico del lavoro al pretore, a seguito della riforma del sistema giudiziario italiano -puramente formalistico, il secondo che ha invece visto espandere la sua portata applicativa anche ai comportamenti antisindacali posti in essere dalle pubbliche amministrazioni, ben prima che al giudice del lavoro venisse direttamente attribuita la giurisdizione sui rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti .

3. L’art. 28 St. lav. come archetipo di nuove azioni in giudizio
Il procedimento di repressione della condotta antisindacale ha altresì rappresentato il modello – come già anticipato – su cui costruire ulteriori momenti di accesso alla tutela giurisdizionale.
Innanzitutto, esso ha aperto la strada al riconoscimento della protezione di situazioni super-individuali e/o fatte valere da un soggetto collettivo di rappresentanza degli interessi. A partire dalla l. n. 903/1997, che ambiva a contrastare le discriminazioni di genere, prevedendo, tra l’altro, l’affiancamento sindacale (meglio, la sostituzione per delega) alla lavoratrice discriminata nell’azione speciale dell’art. 15, sino al d.lgs. n. 286/1998 (art. 44), e poi ai dd.lgss. n. 215/2003 (artt. 4 e 5) e n. 216/2003 (artt. 4 e 5), la protezione dai comportamenti discriminatori di carattere collettivo, anche in assenza di vittime individuabili in maniera diretta e immediata, ha trovato – seppure con una legittimazione attiva a geometria variabile (a seconda dei fattori di protezione, Consigliera/e di parità, organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, associazioni ed enti inseriti in un apposito elenco) – ha avuto il merito di riconoscere l’intrinseca rilevanza superindividuale dell’illecito discriminatorio, al pari di quello antisindacale.
Più ancora, è il modello processuale dell’art. 28 ad aver ispirato l’elaborazione di nuovi riti speciali, non solo nell’ambito del diritto antidiscriminatorio, ma in linea generale, nella riforma del procedimento sommario di cognizione (artt. 702 bis, 702 ter e 702 quater c.p.c.) introdotto con la l. n. 69/2009. Come è noto, e contrariamente a quanto il nome induce a ritenere, esso non offre una tutela meramente cautelare : prevedendo comunque il contraddittorio tra le parti e quindi l’accertamento del diritto potenzialmente in riferimento, produce una decisione (nella forma, in questo caso, dell’ordinanza, a differenza del decreto utilizzato nell’art. 28) che acquista l’efficacia di cosa giudicata, se non impugnata, entro 30 giorni dalla sua notificazione o comunicazione.
Peraltro, per effetto di un indovinato, ma non del tutto sorprendente, ritorno, quello stesso procedimento sommario è stato poi chiamato a regolare tutte le controversie avverso le discriminazioni (art. 28, d.lgs. n. 150/2011), ivi comprese, dunque, quelle in ambito lavorativo (con la sola eccezione delle discriminazioni di genere), in un quadro di complessiva riduzione e semplificazione dei procedimenti civili .
Non basta. La norma statutaria ha influenzato anche il c.d. rito Fornero, introdotto dalla l. n. 92/2012 per l’impugnazione del licenziamento individuale, e oggi abrogato dal d.lgs. n. 149/2022 di riforma del processo civile, così come la più recente azione inibitoria collettiva (art. 840 sexiesdecies c.p.c.), laddove prospetta che il giudice ordini la cessazione e il divieto di reiterazione di condotte, commissive o omissive, pregiudizievoli degli interessi – pur non esplicitamente chiamati “collettivi” – riferibili alla pluralità dei componenti della classe. Se la prima delle due misure, mai particolarmente apprezzata da studiosi e addetti ai lavori , non può dirsi un esperimento riuscito, la seconda segnala un più riuscito innesto in ambiti che includono ma non si limitano alla tutela degli interessi del lavoro . Anzi, essa non solo si avvantaggia degli schemi regolativi del più moderno diritto antidiscriminatorio, quando prevede un onere probatorio agevolato (che fa riferimento ai dati statistici e alle presunzioni semplici), ma compie addirittura un salto in avanti nella effettività della protezione, dando al giudice la possibilità di accompagnare l’ordine di cessazione della condotta con il più forte strumento di coazione indiretta delle astreinte ex art. 614 bis c.p.c., di cui le controversie di lavoro non si sono potute sino ad oggi avvalere, per espresso (ma irragionevole, a parere di chi scrive) diniego di legge .
Su questo sfondo, il diritto vivente delle Corti alimenta interessanti contaminazioni che mantengono attuale lo strumento dell’art. 28. In questa sede, sarà possibile citarne solamente due: la prima è rappresentata da quella tendenza, avallata dalla Cassazione, a ritenere applicabile anche al procedimento di repressione della condotta antisindacale l’alleggerimento probatorio dell’art. 28, d.lgs. n. 150/2011 ; la seconda è l’utilizzo della condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali, espressamente prevista dal diritto antidiscriminatorio, quale misura aggiuntiva (e funzionale alla dissuasività dello strumento) all’ordine di cessazione del comportamento antisindacale e di rimozione dei suoi effetti . In entrambi i casi, non si tratta di un’operazione esegetica praeter legem, giacché l’ampia formulazione dell’art. 28 consente pacificamente tali opzioni, ma piuttosto del consolidamento di un quantomai opportuno contributo alla garanzia della più efficace tutela, nel solco della ratio statutaria.

4. Il procedimento ex art. 28 St. lav. a tutela delle nuove fragilità nel mercato del lavoro
Si è già ricordato come la tutela accordata dall’art. 28 si riferisca a diritti collettivi di esclusiva pertinenza sindacale; allo stesso tempo, però, essa concerne situazioni sostanziali, alle quali corrispondono autonomi diritti individuali, tanto da poter affermare che la condotta datoriale è spesso plurioffensiva. Ciò ha contribuito a far sì che nell’uso giurisprudenziale dell’art. 28, anche per la sua configurazione aperta, si sia ampliato di molto il suo raggio d’azione nel corso degli anni, attraendo un imprevedibile numero di questioni che la realtà nel tempo è stata in grado di restituire.
Questo è accaduto innanzitutto grazie alla «plasticità impressa al piano processuale» , proprio mediante l’individuazione della legittimazione collettiva dell’azione, l’informalità della procedura, la celerità del procedimento, il carattere di urgenza e l’attitudine a formare il giudicato (in mancanza di impugnativa del provvedimento).
Ma soprattutto si è andata consolidando la tendenza a utilizzare il procedimento non più e non tanto «in chiave di contropotere sindacale contro il datore di lavoro […], ma in chiave di tentativo di affermazione di rappresentatività ovvero di risoluzione giudiziale di conflitti tra organizzazioni sindacali» , per appianare quindi anche le criticità endo-sindacali. È emersa così l’attitudine della norma ad amplificare la portata degli artt. 39 e 40 Cost. sul piano sostanziale , soprattutto quando si è rivelato difficile mobilitare i lavoratori a tutela dei diritti di natura sindacale , finendo per svolgere, in taluni casi, «un ulteriore funzione, indiretta, ma non certo secondaria, di tutela della libertà – si potrebbe dire – della concorrenza – nel pluralismo sindacale» .
Di tale tendenza “estensiva” vi sono tracce significative anche in casi recenti che ci pare utile qui richiamare sinteticamente. Si pensi, in via esemplificativa, al tema della violazione di obblighi di informazione e consultazione di origine contrattuale, emersa in numerosi e recenti casi (Gkn , Whirlpool , Caterpillar , Wartsila ) legati alla complessa questione delle delocalizzazioni. In tutte quelle vicende, l’antisindacalità è stata individuata nella mancata ottemperanza a un ampio obbligo, definito dalla contrattazione collettiva (ma spesso dimenticato), di coinvolgimento del sindacato di fronte a decisioni che incidono sull’organizzazione del lavoro e sugli organici, e dunque in un momento precedente al confronto sulle ricadute occupazionali di quelle decisioni.
Ma v’è di più.
Il procedimento di cui all’art. 28 viene spesso utilizzato anche come strumento di prima istanza per ottenere giustizia, con riferimento a lavoratori – appartenenti a settori emergenti del nostro mercato del lavoro e legati ai processi di digitalizzazione – privi di un solido statuto protettivo anche per la loro controversa qualificazione giuridica. Alla funzione classica di accreditamento o autotutela delle prerogative sindacali, si affianca, così, quella di tutela di interessi e diritti individuali omogenei riferiti a una pluralità di lavoratori .
Basti citare i ricorsi ex art. 28 per la tutela dei rider o, ancora, al caso più recente dei nuovi obblighi di informazione introdotti dal d.lgs. n. 104/2022, nel caso in cui il datore di lavoro utilizzi sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati.
Nel primo caso, sono molti i Tribunali che hanno riconosciuto come antisindacale la sostanziale imposizione da parte delle piattaforme di food delivery di aderire a nuove condizioni di contratto, conformi alle previsioni del Ccnl Assodelivery, pena la mancata continuazione del rapporto di lavoro . Nella perdurante diatriba sulla rappresentatività di quel contratto collettivo ai fini dell’art. 47 quater, d.lgs. n. 81/2015, le decisioni giudiziali ne hanno “smontato” il meccanismo applicativo, ma più ancora hanno aperto le porte all’allargamento soggettivo del campo di applicazione dell’art. 28, attraverso un’interpretazione evolutiva della locuzione «datore di lavoro», e dunque riferita non solo al lavoro subordinato ma anche a rapporti, come le collaborazioni eterorganizzate, a esso assimilati .
Nel secondo caso il ricorso giudiziale era stato presentato dalla Filcams Cgil che non aveva ricevuto alcuna informativa, così come prevista dal recente d.lgs. n. 104/2022 , e che, dopo averla richiesta all’azienda che si occupa di consegna di pasti a domicilio, si era sentita rispondere che tale obbligo non sussisteva ai sensi del nuovo art. 1 bis, d.lgs. n. 152/1992, in quanto i lavoratori non erano dipendenti ma collaboratori ex art. 2, co. 1, d.lgs. n. 80/2015. Nel giudizio, conclusosi con una condanna per il datore di lavoro per condotta antisindacale , è stato affermato che le tutele tipiche dei lavoratori subordinati, ivi comprese quelle di natura processuale, si applicano anche ai collaboratori etero organizzati. L’esito del giudizio ha comportato, così, l’ordine al datore di lavoro di ottemperare all’obbligo di fornire le informazioni richieste sia al sindacato che a ciascun rider interessato.
Ebbene, non può trascurarsi l’importanza di tale decisione non soltanto per il caso di specie affrontato ma anche per altre situazioni analoghe che possono verificarsi in altri settori di attività e coinvolgere sia lavoratori subordinati che lavoratori con contratto di collaborazione o ex art. 2, co. 1, d.lgs. n. 80/2015 o ex art. 409 c.p.c.
Il modello dell’art. 28 continua, dunque, a essere valorizzato creativamente dalla giurisprudenza e a essere utilizzato sapientemente dalle organizzazioni sindacali, mostrando quella straordinaria capacità di cogliere le nuove istanze di tutela e promuovere la specificità storico-politica del sindacato, in una fase storica dove è mutato l’approccio al lavoro, sono mutati i “lavori” e si è spostato il baricentro degli interessi di volta in volta in campo.
Tutto ciò, a più di cinquant’anni dalla sua introduzione, conferma l’efficacia dello speciale procedimento di repressione della condotta antisindacale che possiamo ancora considerare, parafrasando il Prof. Napoli, un “robusto gioiello” dello Statuto dei lavoratori .
Per questo ci piace concludere con il «Finale» di un autorevole studioso, che, in occasione dei cinquant’anni dello Statuto dei lavoratori, con sagacia e ironia, stilando una pagella degli articoli dello Statuto dei lavoratori – sulla falsariga delle pagelle dei giornali sportivi dopo una partita – così valuta l’art. 28: «Ha avuto l’onore di subire la prima modifica testuale di tutto lo statuto, ma pare conservarsi bene anche con il passare degli anni. Avercene come lui! Rosso antico» .

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