Testo integrale con note e bibliografia

Premessa
Con il disegno di legge 1662 del 9 gennaio 2020, l’allora Ministro Guardasigilli presentò una proposta concernente una delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controver-sie.
Dopodiché è intervenuta la relazione Luiso intitolata “Proposte normative ed illustrati-ve”, con una relazione ed un articolato di modifica del predetto disegno 1662.
Da ultimo, sono intervenuti, in data 15 giugno 2021, gli Emendamenti governativi elaborati dal Ministero della Giustizia, con una relazione tecnica.
In questa brevissima analisi, si vuole tentare di dare un minimo di contezza della riforma nel suo complesso, con uno sguardo alle tematiche del processo del lavoro e di alcune sue declinazioni.
In primo luogo, si tratterà di vedere se altri emendamenti potranno palesarsi prima dell’approvazione definitiva. Tuttavia, appare chiaro quale sia l’obiettivo della riforma: ridurre il tempo del processo, favorendo sistemi alternativi e, in particolare, rielaborare il processo civile ordinario, “avvicinandolo” al rito del lavoro. 

I sistemi di mediazione e negoziazione
Come dichiara la stessa relazione tecnica agli Emendamenti, l’intento della riforma è quello di assegnare un ruolo rilevante alla gestione negoziale delle liti, prevedendosi di riordinare e semplificare il regime degli incentivi fiscali da destinare alle parti, che deci-dano di scegliere questa via per risolvere una controversia fra loro insorta.
E così un primo punto, a mio sommesso avviso importante, si ravvisa nell’art. 2, ove si prevede l’incremento della misura dell’esenzione dall’imposta di registro, prevista dall’art. 17, comma 3, d. lgs 4 marzo 2010, n. 38, unita alla semplificazione della deter-minazione del credito di imposta, fino ad arrivare al riconoscimento di un credito “commisurato al compenso dell’avvocato” che assiste la parte nella procedura di media-zione.
Sempre in questo ambito, la previsione normativa intende rendere obbligatorio il ricorso alla mediazione per le controversie in materia di contratti di associazione in partecipa-zione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfor-nitura. Qui, il legislatore della riforma prevede anche l’effettività della partecipazione del-le parti al procedimento e, addirittura, arriva a pensare che i rappresentanti delle Pubbli-che amministrazioni possano fattivamente intervenire nel procedimento di mediazione, escludendosi che la conciliazione eventuale possa dare luogo a responsabilità contabile, sempreché il contenuto dell’accordo rientri nei limiti del potere decisionale conferito, salve le responsabilità per dolo o colpa grave.
È questa una novità importantissima, soprattutto nelle materie di competenza del giudi-ce del lavoro: mi riferisco alle questioni che riguardano i temi della contribuzione in ge-nerale ed a tutte le tematiche che vedono come parte l’Inps o l’Inail o i Fondi obbligato-ri, previsti dalle varie contrattazioni collettive.
Finalmente si potrà tentare ed attuare una conciliazione, anche per questi tipi di contro-versie. Quante volte il giudice, ad es. in materia di previdenza sociale, ha consigliato alle parti una “soluzione amministrativa”, invero non attuabile, atteso che il funzionario di uno degli Enti pubblici si trovava impossibilitato ad accedere ad una transazione, appun-to per motivi di responsabilità contabile? Ebbene la riforma avrebbe proprio il pregio di superare questo limite e di consentire fattive ipotesi conciliative.
Ulteriore novità, in subjecta materia, è quella relativa al potenziamento dei requisiti di qua-lità e trasparenza del procedimento di mediazione, pure rielaborandosi i requisiti di serie-tà ed efficienza per l'abilitazione a costituire gli organismi di mediazione, in base alla previsione normativa contenuta nell’art. 16 del d.lgs. 4 marzo 2020 numero 28. E, subito dopo, balza evidente l'intento di valorizzare la collaborazione tra uffici giudiziari, univer-sità, avvocatura, organismi di mediazione e associazioni professionali di categoria per la formazione stabile degli operatori della mediazione.
Non da ultimo si evidenzia la possibilità che la relazione dell’esperto mediatore possa es-sere prodotta in giudizio e liberamente valutata dal giudice.
La negoziazione assistita in materia di controversie di lavoro
Fermo restando quanto appena detto, una nota saliente è quella relativa alle soluzioni al-ternative nelle controversie in materia di lavoro. Qui il legislatore fa salve le procedure previste dall'art 412 ter c.p.c., ovvero quelle che sono le altre modalità di conciliazione e arbi-trato previste dalla contrattazione collettiva, e inserisce la possibilità di ricorrere alla ne-goziazione assistita, sempreché ciascuna delle parti sia assistita dal proprio avvocato. Ovviamente, alla procedura in questione, è assicurata quella stabilità protetta contenuta nell’art. 2113, IV comma, cod. civ.
Appare evidente l'intento di favorire il più possibile il sistema alternativo al ricorso alle cure del giudice; del resto, la materia del diritto del lavoro ha un'antica tradizione in ma-teria di transazioni e conciliazioni, basti pensare che, l’attuale codice di rito, all'art. 420, prevede che sia lo stesso giudice a tentare la conciliazione, pure formulando alle parti una proposta transattiva. Insomma, il sistema delle ADR è considerato un momento fondante della riforma.
Potrà notarsi che la riforma non prevede, in questa fase, l'intervento delle organizzazioni sindacali; da tempo immemore, del resto, si era invocata la necessità di ritenere che la presenza di un avvocato fosse sufficiente a dare quelle garanzie precise che spettano al datore di lavoro ed al lavoratore. È facile pensare che la normativa sulla specializzazione (di cui al d.m. 1° ottobre 2020, n. 163), da poco avviatasi, possa costituire un valido ulte-riore supporto all'attività di quegli avvocati che trattano la materia in questione. Un ul-timo rilievo riguarda la possibilità di produrre le risultanze delle attività compiute duran-te la negoziazione stessa; è quella che viene denominata “attività di istruzione stragiudi-ziale” e che consiste nell'acquisizione di dichiarazioni da parte di terzi su fatti rilevanti in relazione all'oggetto della controversia, compresa l'eventuale confessione della parte ex art. 2735 c.c.
La previsione normativa regola anche minutamente le garanzie per le parti ed i terzi, re-lativamente alla verbalizzazione delle dichiarazioni, alle sanzioni penali per chi renda di-chiarazioni false, all'utilizzabilità delle prove, raccolte nell'ambito dell'istruzione stragiu-diziale, nel successivo giudizio che sia proseguito o riassunto a seguito di insuccesso del-la procedura di negoziazione assistita; pure è previsto che il compimento di abusi nell'at-tività di acquisizione delle dichiarazioni costituisca, per l'avvocato, illecito disciplinare.
Solo per completezza, si ricorda che la norma prevede che gli accordi raggiunti possano contenere anche ipotesi di trasferimenti immobiliari e che presso i Consigli dell'ordine siano conservati tali accordi, con obbligo di rilascio di copia autentica.
La riforma dell’arbitrato
Solo per continuare la trattazione delle soluzioni alternative al processo, trattiamo bre-vemente i contenuti dell'articolo 11 del disegno di legge. Le modifiche sono dirette a raf-forzare le garanzie di imparzialità ed indipendenza dell'arbitro, reintroducendo la facoltà di ricusazione per le gravi ragioni indicate dall’art. 815 c.p.c. È così previsto l’obbligo, in capo all’arbitro, di rilasciare una dichiarazione che contenga tutte le circostanze di fatto rilevanti ai fini delle ridette garanzie.
E poi prevista l'esecutività del decreto con cui è dichiarata l'efficacia del lodo straniero con contenuto di condanna.
Una vera novità è costituita dalla facoltà, concessa ai soli arbitri rituali, di emanare mi-sure cautelari, sempreché vi sia espressa volontà delle parti in tal senso, manifestata nella convenzione di arbitrato o mediante scritto successivo. L'eventuale reclamo, avverso la pronuncia cautelare dell'arbitro, si propone innanzi al giudice ordinario, ma solo per i motivi di nullità esplicitati dall'art. 829 c.p.c.
Interessante anche la possibilità della tranlslatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio or-dinario e viceversa.
Si è voluto, sostanzialmente, valorizzare l'istituto dell'arbitrato, soprattutto in ambito so-cietario. Del resto, lo strumento appare vantaggioso per molte imprese, sia per la mag-giore rapidità del procedimento stesso, sia per la possibilità di scelta degli arbitri, nonché per motivi di confidenzialità e tutela della privacy.
Questo non toglie che l’arbitrato possa essere anche un valido strumento per la risolu-zione di controversie di lavoro, come prevede il vigente art. 806, II comma c.p.c.
Il procedimento di cognizione di primo grado
Come già si è detto, il legislatore della riforma ha inteso trarre ispirazione dal sistema che domina il processo del lavoro.
Per vero, le critiche che sono state rivolte, in parte qua, alla riforma, non sono mancate.
Sia consentito un breve cenno su quella che è la struttura del procedimento di primo grado, come indicata dagli artt. 3 e seguenti del disegno di legge.
In primo luogo, l'atto di citazione deve essere atto completo, proprio al pari del ricorso ex art. 414 cpc.; dunque, deve contenere i fatti, gli elementi di diritto costituenti le ragio-ni della domanda e, a pena di decadenza, l'indicazione dei mezzi di prova di cui l'attore intende avvalersi e dei documenti che offre in comunicazione. Ulteriormente è previsto l'avvertimento al convenuto che la contumacia determina, addirittura, la non contestazione dei fatti posti a fondamento della domanda, ove si verta in materia di diritti disponibili.
Dal suo lato, il convenuto dovrà indicare, pena di decadenza, i mezzi di prova ed i do-cumenti che offra in comunicazione, proporre tutte le sue difese e “prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda in modo chiaro e specifico”: il pensiero corre immediato alla formula dell’art. 416 c.p.c.
A questo punto, alla prima udienza, l'attore potrà replicare, anche proponendo domande ed eccezioni che siano conseguenza della difesa del convenuto e articolare i mezzi di prova conseguenti. In ogni caso, le parti potranno articolare i reciproci ulteriori mezzi istruttori.
Come si può agevolmente notare, siamo di fronte a quella che, nel rito del lavoro, è l’udienza di discussione.
Tuttavia, non può non evidenziarsi una certa critica a questo impianto procedimentale; mi riferisco alla nota del 28 giugno 2021 dell'Associazione Italiana fra gli Studiosi del Processo Civile (AISPC), la quale ha ritenuto che sia illusorio pensare che, con lo scam-bio degli atti introduttivi in tutte le controversie, possano essere fissati sia il thema deci-dendum che è il thema probandum e che la causa possa essere istruita o rimessa in decisio-ne, senza necessità di altre attività. E ciò per il fatto che dovranno essere concessi ter-mini all'attore per replicare alle difese del convenuto e viceversa, che dovrà essere co-munque consentito al convenuto, qualora rilevi una eccezione in senso lato all'udienza, di formulare istanze istruttorie relative al fatto, allegato come oggetto di eccezione, ed altre notazioni ancora.
A mio sommesso avviso, il modello processuale, cui si ispira il legislatore della riforma, mi pare da considerare positivamente. Penso anche che, laddove ci si trovi di fronte ad un processo pluriparte, od a questioni che nascano per le eccezioni vicendevoli delle par-ti del processo, oppure ancora ad eventuali domande ed eccezioni che siano il frutto del-le difese della controparte, si potrà risolvere ogni questione, se non alla prima udienza, in una successiva, garantendo il pieno rispetto del contraddittorio e autorizzando le parti ad ogni opportuna difesa.
Senz’altro, il modello vigente, mostra la sua complessità davvero eccessiva; le tre memo-rie istruttorie regolate dell’art. 183 c.p.c., le conclusionali e le repliche indicate nell’art. 190 c.p.c., unite agli atti introduttivi del giudizio, porta a ben sei gli atti processuali del rito ordinario. Ed a me paiono davvero eccessivi, se paragonati all’unico atto del rito del lavoro.
Terminata l’istruttoria, il giudice dispone la discussione orale e decide nei modi di cui all’art. 281 sexies c.p.c. Diversamente, potrà decidere con rimessione della causa in deci-sione, assegnando alle parti termini per il deposito di note scritte di precisazione delle conclusioni e poi altro termine per il deposito di conclusionali e repliche. Successivamen-te sarà depositata la sentenza completa di motivazione.
È interessante notare che è prevista l’ipotesi che il giudice formuli una ulteriore proposta di conciliazione, fino al momento in cui la causa è trattenuta in decisione. E quel che av-viene, molto spesso, nell’attuale sistema processuale di risoluzione delle controversie di lavoro.
Un cenno al procedimento semplificato di cognizione
Il rito sommario di cognizione è stato introdotto con la legge 69 del 2009 ed ha avuto una attuazione abbastanza scarsa, anche perché è dominato da una sorta di instabilità, posto che, ove le difese delle parti abbiano a comportare un’istruzione non sommaria, il giudicante provvede alla trasformazione in rito ordinario.
La proposta di riforma (ancora all’art. 3 del d.d.l) contiene, innanzitutto una modifica nominale: non più procedimento sommario di cognizione, ma procedimento semplificato di cognizione. E’ previsto che esso abbia cittadinanza quando i fatti di causa siano tutti “non controversi”, oppure quando l'istruzione si basi su prove documentali o di pronta solu-zione, oppure che si debba procedere ad un'attività istruttoria “non complessa”. Diver-samente la causa viene trattata con il rito ordinario di cognizione.
Dopodiché è codificata l'indicazione di termini ridotti rispetto a quelli del rito ordinario, sempre nel rispetto del contraddittorio. Il procedimento si chiude con sentenza, con fa-coltà per il giudice di pronunciare ordinanza provvisoria di accoglimento della domanda, quando i fatti costitutivi siano provati e le difese del convenuto manifestamente infonda-te. Tal tipo di ordinanza è reclamabile ai sensi dell'art. 669 terdecies c.p.c. e non acquista efficacia di giudicato ex art 2909 c.c.
Ugualmente è prevista una ordinanza di rigetto della domanda, laddove la medesima ap-paia manifestamente infondata; anche qui è possibile proporre reclamo. In caso di acco-glimento del reclamo nelle due ipotesi appena viste, il processo continua avanti ad un magistrato diverso, appartenente al medesimo ufficio.
Sia consentito esprimere una qualche perplessità a fronte di un procedimento che ora, rinnovato, appare dominato pure da un regime di ordinanze provvisorie, anche reclama-bili e con possibilità di prosecuzione del giudizio.
Ricordo che il d. lgs 150 / 2011 aveva pregevolmente ridotto a tre soltanto i riti del no-stro ordinamento. In tale situazione, l’ulteriore sforzo potrebbe essere quello di elimina-re questo rito che, così come organizzato, appare un poco complesso: forse il sistema delle ordinanze anticipatorie reclamabili potrebbe creare un qualche ostacolo, rispetto all’auspicata accelerazione del processo.
Non mancano, infine, riferimenti al processo avanti il tribunale in composizione collegia-le, nel senso della riduzione dei casi in cui il tribunale giudica in tale forma. Vi è un cen-no anche al processo innanzi il giudice di pace che dovrebbe uniformarsi a quello previ-sto per giudizio innanzi al tribunale, con una rideterminazione della competenza relativa.
Il giudizio d’appello
Sempre nell’ambito di un criterio acceleratorio, è previsto all’art. 6 del disegno, che i termini per l’impugnazione decorrano anche per chi notifica la sentenza e, addirittura, che l’impugnazione incidentale tardiva perda efficacia, ove quella principale sia dichiarata improcedibile.
Ulteriormente è previsto che l’impugnazione, che non abbia una ragionevole probabilità di essere accolta, sia dichiarata manifestamente infondata con sentenza succintamente mo-tivata, a seguito di trattazione orale, fermi i casi di improcedibilità regolati dall’art. 348 c.p.c.
Si ha come l’impressione che il giudice debba sempre andare alla ricerca, innanzitutto, di una causa di improcedibilità e poi dei motivi di manifesta infondatezza. Invero il compi-to del giudice d’appello è quello di una ponderata valutazione della sentenza di primo grado, attraverso la lettura dei motivi di gravame. Appare, in sostanza, che in nome dell’accelerazione, si giunga ad avere un rito veloce, ma, che tenda ad imporre alle parti una maggiore attenzione alle questioni formali ed alle decadenze, a discapito delle tema-tiche sostanziali.
Dopodiché il procedimento vero e proprio si svolge innanzi l’istruttore che diventa il do-minus dell’intera fase antecedente la decisione. E così egli potrà procedere alla declarato-ria di contumacia, alla riunione di appelli proposti contro la stessa sentenza, esperire un tentativo di conciliazione, ammettere eventuali mezzi di prova e procedere all’assunzione degli stessi, fissare l’udienza per la discussione della causa ex art. 281 sexies c.p.c. Pure è prevista l’eliminazione delle udienze di comparizione non necessarie e l’assegnazione di termini per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica. Dopodiché la causa è rimessa in decisione e il consigliere istruttore riferisce al collegio. In sostanza si assiste al ridimensionamento delle attività del collegio.
Un poco preoccupante il regime dell’istanza di sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado. Da un lato la stessa può essere disposta sulla base di un giudizio prognostico di manifesta fondatezza dell’impugnazione, oppure sulla base di un grave ed irreparabile pregiudizio derivante dall’esecuzione della sentenza, anche in rela-zione alla possibilità di insolvenza di una delle parti. Dall’altro, se l’istanza di sospensio-ne è dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, il giudice può condannare, la parte che l’abbia proposta, al pagamento di una somma di denaro compresa fra euro 250 e 10.000. E ciò all’evidente fine di limitare le istanze pretestuose e comunque di scorag-giarle, ove manifestamente defatigatorie.
Dunque, sarà davvero necessario porre una scrupolosa attenzione alla proposizione di questa istanza.
Il rinvio pregiudiziale alla Corte Suprema
Qui è evidente il tentativo di riordino del procedimento che, in questi anni, fra modifi-che, protocolli, sezione filtro ed altro appariva un poco affaticato, pure per i tempi lun-ghi di risoluzione delle controversie.
In tale stato di cose, il legislatore ha ritenuto, innanzitutto, di enfatizzare la funzione nomofilattica della Corte Suprema, attraverso l’istituzione di un vero e proprio “rinvio pregiudiziale” alla Corte, da parte del giudice di merito e con sospensione del giudizio di merito. In particolare, laddove debba essere decisa una questione di diritto, nel contrad-dittorio delle parti, il giudice può sottoporla alla S.C., nel caso in cui essa non sia stata ancora affrontata e presenti gravi difficoltà interpretative, oppure sia suscettiva di utiliz-zazione in varie controversie. In tal caso, il giudizio si svolge in pubblica udienza con enunciazione del principio di diritto e requisitoria del pubblico ministero; pure è conces-so alle parti di depositare brevi memorie. Il provvedimento sarà vincolante nel procedi-mento di merito, anche in caso di estinzione e di riproposizione della medesima doman-da.
Va precisato che il rinvio pregiudiziale non è un mezzo di impugnazione e che è prevista una sorta di filtro affidata al Primo Presidente. Questi, infatti, potrà dichiarare la que-stione inammissibile, ove ne risultino carenti i presupposti; in tal caso restituirà gli atti al giudice remittente. Diversamente potrà far decidere la ridetta questione alle sezioni semplici od a quelle unite.
L’utilità del sistema dovrebbe essere quella di esprimere principi di diritto applicabili in fattispecie analoghe, evitandosi contenziosi dovuti ad una non chiara regola ermeneutica. Bisognerà vedere se, quanto appena visto, possa essere davvero un deterrente al prolife-rare dei ricorsi.
Qualche cenno sul procedimento innanzi la Suprema Corte
Innanzitutto, si vuole che il ricorso introduttivo contenga la chiara ed essenziale esposi-zione dei fatti di causa, evidentemente confermandosi il principio di autosufficienza del ricorso che è molto spesso enunciato nelle varie pronunce di legittimità. Poi è necessario che i motivi siano sintetici e, di nuovo, chiari.
È prevista l’uniformità del rito camerale, con la soppressione della sezione filtro regolata dall’attuale art. 376 c.p.c. e l’eliminazione del procedimento disciplinato dal vigente art. 380 bis c.p.c. Dopodiché è indicato che la fase decisoria si concluda, in camera di consi-glio, con una ordinanza succintamente motivata, “rimanendo ferma la possibilità per il collegio di riservare la redazione e la pubblicazione della stessa entro sessanta giorni dal-la deliberazione”.
In sostanza il processo si svolge senza la presenza di avvocati, con un rito accelerato.
A questo punto, il disegno di legge propone l’introduzione di un “procedimento accele-rato” per la dichiarazione dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente in-fondati. In questa ipotesi, il giudice formula una proposta di definizione del ricorso con la sintetica indicazione delle ragioni che porterebbe a tale decisione e la comunica agli avvocati delle parti. Le stesse, se non chiedono la fissazione della camera di consiglio, si-gnifica che intendono rinunciare al ricorso e, in tal caso, il giudice pronuncia decreto di estinzione, liquidando le spese, ma con esonero dal pagamento del contributo unificato.
Dal punto di vista del professionista che assiste la parte innanzi la S.C., la declaratoria di inammissibilità, oppure quella di improcedibilità, viene considerata come un vero e pro-prio affronto alla fatica che si pone nella redazione del ricorso. È senz'altro vero che qualche atto introduttivo sia incompleto o gravemente infondato od ancora meramente defatigatorio. Tuttavia, è da ritenere che il rigetto del medesimo sia già sufficiente per ri-solvere la questione; fra l’altro, ben può la sentenza esplicitare le ragioni di inammissibili-tà, evitando di scendere all'esame dei motivi di ricorso, ma, prevedere un apposito pro-cedimento per una delle ipotesi sopraindicate, mi pare francamente una inutile complica-zione.
Il licenziamento ed il suo processo
Quando fu promulgata la L. 92/2012, denominata Legge Fornero, vi fu una critica seve-ra alla scelta legislativa: l'introduzione di un rito bifasico riferito alla sola questione dell'eventuale reintegrazione del posto di lavoro, secondo i dettami dell’art. 18 dello Sta-tuto dei Lavoratori, venne considerato un inutile dispendio di tempo e di energie.
La dottrina e la giurisprudenza non mancarono di esplicitare severe critiche su una nor-mativa, fra l’altro collocata al di fuori del codice di rito.
Ancora oggi se ne desidera l'eliminazione e, finalmente, pare che si sia giunti a questo auspicato traguardo.
La normativa (art. 7 del disegno di legge) prevede ora una delega per la modifica del co-dice di rito per le controversie in materia di previdenza ed assistenza.
E così è previsto che le cause di licenziamento siano trattate con carattere prioritario, anche laddove si debba risolvere una questione relativa alla qualificazione del rapporto. Come si nota, è codificato un sistema virtuoso che è stato attuato da tempo in molti tri-bunali italiani ed in ispecie in quello di Milano.
Dopodiché, è previsto che le azioni di impugnazione dei licenziamenti dei soci delle coo-perative, laddove siano legate anche alla cessazione del rapporto associativo, siano rego-late dagli artt. 409 seguenti del Codice di procedura civile.
È questa una soluzione del tutto positiva, che privilegia la vis actractiva del giudice del la-voro, sicuramente più specificamente preparato a trattare le controverse di cui sopra nel-la loro integralità. Dunque, si viene ad elidere la contrapposizione fra giudice ordinario e giudice del lavoro, con la relativa differenziazione di riti per questioni che sono, come noto, intimamente connesse; al recesso del socio, normalmente, corrisponde il licenzia-mento e viceversa.
Infine, è fatto un cenno alle azioni di nullità di licenziamenti discriminatori: qui il legisla-tore della riforma prevede che una tale azione possa essere sicuramente proposta con ri-corso regolato dall'art. 414 del c.p.c., ma anche, ricorrendone i presupposti, con i riti speciali previsti agli artt. 38 e ss, del codice delle pari opportunità fra uomo e donna (art. 38 del d. lgs. 11 aprile 2006, n. 198 e art. 28 del d. lgs 1° settembre 2011, n. 150). Ov-viamente la proposizione dell'azione, nell'una o nell'altra forma, preclude la possibilità di agire giudizialmente con rito diverso.
È una scelta legislativa che lascia ampia facoltà al lavoratore di scegliere il sistema pro-cessuale che ritenga più consono alla tutela dei propri diritti. Non può non revocarsi in dubbio che la possibilità di azione con tre riti diversi per la medesima questione possa creare una qualche discrasia. Tuttavia, la preclusione di cui si è appena fatto cenno, do-vrebbe scongiurare una tale ipotesi.
L’ufficio per il processo
L’art. 12 bis del ddl prevede l'istituzione di un ufficio per il processo.
In esso dovrebbe essere collocato il personale, cui è lasciato il compito di supporto ai magistrati per le attività preparatorie per l'esercizio della funzione giurisdizionale, quali lo studio dei fascicoli, l'approfondimento giurisprudenziale, il compimento di attività pra-tico materiali o di facile esecuzione, compiti di coordinamento tra l'attività del magistra-to e quella del cancelliere, bozze di provvedimenti semplici, controllo della pendenza di istanze e richieste e loro gestione, ed altro ancora. Questi, in sintesi, i compiti di quelli che il Ministero stesso ha definito law clerks, ovvero assistenti legali.
Essi saranno addetti agli uffici dei tribunali, delle corti d'appello, delle procure e sarà isti-tuito un “Ufficio per il processo presso la Corte di Cassazione”.
Lo scorso 28 giugno 2021, la attuale Ministra della Giustizia ha mostrato il suo vivo in-teresse per l'ufficio di che trattasi ed ha chiarito che gli interessati saranno assunti, me-diante contratto a termine, attraverso un concorso per titoli e con facoltà di svolgere una domanda per un solo distretto. È previsto dunque un reclutamento straordinario di ben 16.500 addetti all'ufficio del processo, che sarà attuato mediante due concorsi e con due scaglioni differenti: 8250 unità con contratto a termine per due anni e 7 mesi ed altre 8250 unità con contratto al termine di due anni. E ciò in quanto l'attività dovrà essere rivolta principalmente alla riduzione dell'arretrato con prevalente svolgimento di attività da remoto.
Il modello ricalca il sistema inglese e ci si augura che possa dare frutti in poco tempo, anche se la formazione degli addetti dovrà essere fatta con il rigore necessario, per ga-rantire al magistrato un supporto effettivo; ovvero, in modo da consentirgli di concen-trarsi esclusivamente sulle tematiche di risoluzione delle controversie, abbandonando le fasi burocratico - amministrative che, ci si augura, siano in via di semplificazione.
Le altre questioni e l'efficienza dei procedimenti civili
Il disegno di legge è assai corposo; tuttavia, per motivi di sinteticità, si ritiene di lasciare ad altra trattazione le questioni relative al processo esecutivo ed a quello in materia di persone, minori e famiglia.
E’, però, opportuno ricordare che l'articolo 12 del disegno di legge prevede un ampio uso delle modalità telematiche, sia per la redazione degli atti introduttivi del giudizio, sia per formazione degli atti del giudice. Certo da condividere la previsione del divieto di sanzioni sulla validità degli atti per l'eventuale mancato rispetto di specifiche “tecniche sulla forma”, così richiamandosi quel principio, contenuto nell'art. 156 c.p.c., ultimo comma, per il quale la nullità non può essere pronunciata se l'atto abbia raggiunto lo scopo cui è destinato.
Pure è prevista la semplificazione per il pagamento del contributo unificato che oggi è davvero complessa.
Gioca un ruolo fondante la previsione normativa per la quale il giudice potrà disporre che le udienze civili possano svolgersi con collegamenti audio visivi a distanza e che, sal-va l'ipotetica opposizione delle parti costituite, il giudice possa disporre che le udienze civili siano sostituite dal deposito telematico di note scritte. In sostanza il legislatore ha recepito alcune delle disposizioni dettate per il regime di emergenza pandemica.
Pertanto, è previsto il giuramento telematico del consulente tecnico, la rinuncia alla par-tecipazione all’udienza in caso di separazione dei coniugi, la possibilità di collegamento da remoto per il procedimento di interdizione ed inabilitazione, ecc.
E pure previsto un obbligo di collaborazione delle parti e dei terzi, con rafforzamento dei doveri di leale collaborazione.
In tale ottica, l'amministrazione della giustizia può considerarsi soggetto danneggiato in caso di responsabilità aggravata.
È considerata, dunque, sanzionabile la condotta di chi rifiuti l’ispezione o l'ordine di esi-bizione.
Addirittura, per i casi di cui all’art. 96 c.p.c., il giudice può condannare il responsabile al pagamento di una somma non superiore al doppio delle spese liquidate e di altra somma, in misura non superiore a cinque volte il contributo unificato, a favore della cassa delle ammende.
Da ultimo, si prevede che il difetto di giurisdizione sia rilevabile nel giudizio di primo grado, anche d'ufficio e, nei successivi gradi, laddove sia oggetto di uno specifico motivo di impugnazione; non può essere eccepito nel giudizio di gravame da parte dell'attore che abbia promosso il giudizio di primo grado.
Una nota conclusiva
Non è revocabile in dubbio lo sforzo fatto dal legislatore per tentare di diminuire il tem-po del processo, avendo di mira comunque la salvaguardia degli interessi delle parti che si rivolgono al giudice.
Personalmente, tuttavia, non posso non notare la carenza di organico all'interno della magistratura: che il nostro Paese abbia necessità di un maggior numero di giudici è fuor di dubbio e non so davvero, fino a che punto, l'istituzione dei law clerks possa sopperire a tale situazione. Forse va ripensato il sistema di accesso alla magistratura, nel senso di un criterio un poco più snello e veloce, pur con il necessario rigore.
In tal senso le scuole di specializzazione previste per l'avvocatura, unitamente alle uni-versità, alla Scuola Superiore della Magistratura e ad altri centri di formazione potranno dare una indicazione più precisa della via da percorrere.
Potrebbe essere il momento di pensare anche alla figura dell'avvocato che abbia le capa-cità tecniche di poter svolgere le funzioni di magistrato, laddove abbia deciso di abban-donare la professione forense: un po’ come avviene nel mondo anglosassone dove il giu-dice è stato un avvocato per molto tempo.
Penso, infine, che anche la parte e soprattutto il suo difensore, dovrà porre maggiore ri-gore nel momento in cui decida di intentare una causa.
Fa parte del sentire intrinseco dell'avvocato, la valutazione della fondatezza di una de-terminata domanda. Contribuire a fare giustizia significa anche omettere di dar corso ad una controversia, quando essa non abbia una ragionevole possibilità di successo

 

Questo sito utilizza cookie necessari al funzionamento e per migliorarne la fruizione.
Proseguendo nella navigazione acconsenti all’uso dei cookie.