TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Introduzione
La trattazione e la definizione delle controversie previdenziali e assistenziali richiedono strumenti processuali nonché principi e regole in parte diversi rispetto alla disciplina che configura il rito del lavoro tanto da poter parlarsi di un «processo previdenziale» che, si pone in termini di «specialità» non solo con il processo civile ordinario ma anche con quello del lavoro.
Il processo previdenziale ha caratteristiche sue proprie che si colgono in molteplici aspetti (per esempio: le procedure amministrative ante causam, che influiscono sulla proponibilità e sulla procedibilità della domanda giudiziaria; la competenza per territorio; il trattamento degli accessori sul capitale; il regime differenziato delle spese processuali). Peculiari sono, infatti, gli interessi coinvolti: sono in gioco diritti primari e spesso bisogni che si collocano in prossimità di un’area in cui è coinvolta la stessa «sopravvivenza» della persona.

In relazione, però, al tema oggetto di approfondimento, che è quello della individuazione dei criteri di riparto dell’onere della prova, la regola da cui occorre partire è quella generale, tracciata dall’art. 2697 c.c.

2. Art. 2697 c.c.

L'art. 2697 c.c., come noto, stabilisce che “Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda”.
La disposizione (strettamente collegata all’art. 115 c.p.c.) reca la regola in tema di riparto dell'onere probatorio tra le parti in giudizio e assume un'importanza fondamentale, assurgendo a criterio di «decisione» dei fatti controversi, nell'ipotesi di difetto di prova.
È in base all’art. 2697 c.c. che viene distribuito, tra le parti in causa, il c.d. rischio della mancata prova dei fatti controversi.
Il divieto di non liquet posto in capo al giudice determina, infatti, in ogni sistema processuale, l'esigenza di individuare una regola di giudizio che ripartisca, tra i litiganti, il rischio dell’assenza di prova.
Così, nell'ipotesi in cui difetti, anche in via presuntiva, la dimostrazione dell'esistenza di un fatto idoneo a produrre determinate conseguenze giuridiche, il giudizio vedrà soccombente la parte alla quale spettava l'onere di dimostrare la sussistenza di tale fatto: il dubbio, cioè, cadrà sulla parte onerata della prova del fatto.

Tuttavia, alla chiarezza teorica del precetto (la prova dei fatti costitutivi è propria di chi “pretende” mentre la prova dei fatti impeditivi, estintivi e modificativi è propria di chi “contesta”) si contrappone una difficoltà pratica di applicazione del concetto: a chi spetta, in concreto, l’onere della prova?

Non a caso, l’art. 2697 c.c. è stato definito la «spina dorsale» del processo civile e, costante, continua il dibattito dottrinale sulla regola da esso posta e sulla sua natura.

L’ approccio che segue sarà di tipo sostanziale. Esso parte dalla considerazione che il criterio offerto dall'art. 2967 c.c. è collegato all’efficacia che, rispetto al diritto oggetto del giudizio e all'interesse delle parti, hanno i fatti incidenti sul medesimo.

La vicenda processuale concreta è, spesso, molto complessa, frutto di molteplici variabili.
Infinita è, infatti, la gamma di situazioni che possono costituire oggetto di lite e spetta al Giudice, di volta in volta, enucleare la fattispecie dedotta in giudizio, individuare quali sono gli effetti giuridici che ad essa si ricollegano e quali sono i fatti che devono essere (allegati) e provati dalla parte che di detti effetti intende avvantaggiarsi nel processo, così da risultare soccombente, nel caso di mancata dimostrazione degli stessi.

Le riflessioni che seguono - nei limiti imposti da una breve analisi- procederanno con metodo essenzialmente casistico, attraverso l’analisi di alcune situazioni processuali tipiche -o, quanto meno, più frequenti – nei processi previdenziali di merito e, conseguentemente, di legittimità.
E’, infatti, nell’osservazione delle fattispecie processuali che, anche in relazione all’art. 2697 c.c., si coglie e si apprezza la peculiarità del processo previdenziale.

 

3. ACCERTAMENTO DI OBBLIGHI CONTRIBUTIVI.

Lo sviluppo del tema richiede alcune premesse di carattere generale, necessarie per orientarsi nell’attività di individuazione della fattispecie giuridica in base alla regola di scomposizione della stessa basata sulla differenza tra fatti costitutivi e fatti impeditivi/modificativi/estintivi del diritto controverso.

• L'Ente Previdenziale è il titolare del credito relativo ai contributi previdenziali.
• Il versamento contributivo è, di norma, obbligatorio: l’onere contributivo sorge generalmente all’avvio di una qualunque attività lavorativa, ovvero al verificarsi delle ulteriori condizioni previste dalla legge.
• Obbligato al versamento dei contributi, per i rapporti di lavoro subordinato, è il datore di lavoro, anche nei casi in cui l’onere contributivo è ripartito tra il datore e il prestatore. Sono invece interamente a carico del prestatore i contributi dovuti per le attività, per esempio, di lavoro autonomo.
• Per i rapporti di lavoro subordinato, la retribuzione, in genere, da assoggettare a contributi è quella che si ricava dalla nozione di reddito (da lavoro dipendente) valida ai fini fiscali (art. 12 della legge nr. 153 del 1969, come sostituito dall'art. 6, comma 1, del D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314). Vi rientra tutto ciò che il prestatore riceve dal datore di lavoro in relazione al rapporto di lavoro (“tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro”) con esclusione degli emolumenti, in via tassativa, indicati nel medesimo art. 6 cit.
• Per giurisprudenza consolidata, la previsione, (“tutto ciò che il lavoratore riceve”) va intesa nel senso di “tutto ciò che il lavoratore ha diritto di ricevere” (ex plurimis, Cass. nr. 12932 del 2021), sicché alla base del calcolo dei contributi previdenziali deve essere posta la retribuzione, dovuta per legge o per contratto individuale o collettivo, e non quella di fatto corrisposta.
• La base imponibile è insensibile agli eventuali inadempimenti del datore nel senso che gli effetti della mancata corresponsione della retribuzione dovuta non ricadono sul rapporto contributivo.
• È insensibile anche alla sospensione della prestazione lavorativa liberamente concordata fra le parti del singolo contratto di lavoro e perfino alla mancata esecuzione della prestazione lavorativa che sia dipendente da caso fortuito o forza maggiore non prevista quale causa di sospensione del rapporto di lavoro dal contratto collettivo di settore: tale evenienza libera il lavoratore dall’obbligo della prestazione e il datore di lavoro dall’obbligo retributivo, ma non libera dall’obbligazione contributiva verso l’istituto previdenziale (Cass. nr. 4676/2021).
• L’importo della somma dovuta a titolo contributivo, in ragione dello svolgimento della prestazione lavorativa, non può essere inferiore a determinati parametri. Si parla in proposito di minimale contributivo. La legge nr. 389/1989 (come autenticamente interpretata dall'art. 2 , comma 25, della legge nr 549/1995) stabilisce, infatti, che la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito da leggi, regolamenti, contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, ovvero da accordi collettivi anche aziendali o da contratti individuali, qualora ne derivi una retribuzione di importo superiore a quello previsto dal contratto collettivo.

Indicate, sia pure a grandi linee, le coordinate di riferimento, rappresenta logica conseguenza l’affermazione per cui, nelle azioni di accertamento di obblighi contributivi, grava sull'ente previdenziale l'onere di provare i fatti costitutivi del credito contributivo e sulla controparte (datore di lavoro/ prestatore tenuto al versamento) l'onere di contestare i fatti costitutivi dello stesso .

Come ulteriore corollario, è la parte tenuta al versamento dei contributi a dover dimostrare che un dato compenso vada esente da contribuzione .

4. SGRAVI CONTRIBUTIVI

Il contenzioso in materia di sgravi offre un’ampia casistica di applicazione della regola posta dall’art. 2697 c.c.
Lo sgravio rappresenta una situazione eccettuativa, in senso riduttivo, dell'obbligo contributivo che si verifica in situazioni normativamente disciplinate.
Come è intuibile, per la giurisprudenza della Suprema Corte, è onere del datore di lavoro (id est: o comunque della parte che invoca l’applicazione dello sgravio), al fine di ottenere l'applicazione di un determinato beneficio, fornire la dimostrazione degli elementi che ne giustifichino la fruizione, trattandosi di ipotesi eccezionali rispetto all'obbligo del pagamento integrale.
Si tratta di una regola che vale per tutte le ipotesi di beneficio incidente sull'obbligo contributivo previdenziale proprio per il tratto comune della natura esonerativa, rispetto ai contenuti della ordinaria obbligazione contributiva

Nel corso degli anni, il legislatore è ricorso spesso a interventi eccettuativi dell’obbligo contributivo motivati o dal sopravvenire di situazioni emergenziali (si pensi a terremoti, alluvioni) ovvero a situazioni nelle quali prevalente si manifestava l’esigenza di favorire l’occupabilità di fasce lavorative, in senso lato, svantaggiate.
La Corte, chiamata, più volte, a confrontarsi con queste fattispecie giuridiche, ha posto a carico della parte che vantava il diritto all’agevolazione, l’onere di individuare la specifica fattispecie esonerativa e dimostrare la sussistenza dei relativi requisiti .

Un aspetto particolare della fattispecie esonerativa è quello concernente il DURC (Documento Unico Regolarità Contributiva).

4.1. DURC
Con legge n. 296 del 2006, art. 1, comma 1175, si è stabilito che: “A decorrere dal 1 luglio 2007, i benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale sono subordinati al possesso, da parte dei datori di lavoro, del documento unico di regolarità contributiva, fermi restando gli altri obblighi di legge ed il rispetto degli accordi e contratti collettivi nazionali nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
La disciplina in oggetto ha innovato il sistema degli sgravi contributivi (id est: dei benefici normativi e contributivi previsti dalla normativa in materia di lavoro e legislazione sociale) nel senso che, oltre alle specifiche e singole condizioni giustificative dell’agevolazione, la fruizione del beneficio necessita del possesso del documento unico di regolarità contributiva -cd. DURC che deve sussistere al momento di richiesta del beneficio

La Corte ha ritenuto irrilevante, ai fini della fattispecie esonerativa, che l’Inps non avesse segnalato la situazione di irregolarità, secondo il procedimento delineato dai D.M. succedutisi nel tempo.
I decreti ministeriali prevedono che, in presenza di irregolarità, l'ente previdenziale debba darne avviso all'interessato, invitandolo a regolarizzare la posizione entro quindici giorni, nel corso dei quali il termine per il rilascio del documento resta sospeso.
A tale proposito, è stato osservato che si tratta di un procedimento di natura eccezionale, attraverso il quale solo è consentita la sanatoria delle irregolarità, che «perdono […] ove la regolarizzazione abbia corso, la loro capacità ostativa rispetto al riconoscimento delle agevolazioni previdenziali»
Tuttavia, secondo gli arresti della Corte, la violazione degli obblighi procedimentali da parte dell'ente previdenziale può comportare solo una responsabilità risarcitoria, ove si dimostri che l'inadempimento dell'ente abbia (determinato) causalmente la perdita della chance di fruire degli sgravi ma non anche l’effetto di riconoscimento dello sgravio. Secondo i giudici di Legittimità, non possono ricadere sull'ente previdenziale gli effetti dell'inosservanza di obblighi, quali sono quelli inerenti alla regolarità contributiva, che appartengono al datore di lavoro.

5. AZIONI DI ACCERTAMENTO NEGATIVO.

Come detto in apertura dello scritto, la vicenda processuale non è sempre lineare e ciò rende il profilo dell’onere della prova più difficoltoso.

Nelle azioni di accertamento negativo, l’attore postula l’inesistenza del diritto oggetto dell'accertamento giudiziale.
Ondivaga, quanto al riparto dell’onere di prova, è stata sul punto la Corte di Cassazione.
L’orientamento, oramai consolidato, è nel senso che nulla cambia rispetto ad un’ordinaria azione di accertamento del diritto (nel nostro caso ai contributi): ai sensi dell'art. 2697 c.c., l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto controverso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in un giudizio di accertamento negativo

Tuttavia, soprattutto nell’ambito dell’azione di accertamento negativo, si avverte la difficoltà dell’indagine. È importante che l’attenzione dell’interprete si concentri sull’ esatta individuazione del rapporto sostanziale che ha dato luogo al contrasto.
Il contenzioso, almeno in sede di legittimità, è spesso originato proprio dalla sottovalutazione del fatto sostanziale.
Si prendano ad esempio le azioni di accertamento negativo di indebito che rappresentano una pagina alquanto contrastata della prassi giurisprudenziale.

6. AZIONI DI ACCERTAMENTO NEGATIVO DI INDEBITO

In questi casi, l'inesistenza del(l’altrui) diritto alla restituzione rappresenta solo il riflesso dell'esistenza del diritto alla prestazione già conseguita .
In subiecta materia, non è il solvens a promuovere una ordinaria azione di ripetizione dell'indebito, ma è l'accipiens che invoca in giudizio l'accertamento negativo della insussistenza del suo obbligo di restituzione, sicché non può che essere posto a suo carico l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto a conseguire la prestazione contestata, ovvero l'esistenza di un titolo che consenta di qualificare come adempimento quanto corrisposto.

La regola delineata va, però, coordinata con la disciplina peculiare in materia di indebito previdenziale ed assistenziale.
Non è la sede per affrontare il tema dei riflessi che, anche nella materia previdenziale, potrà avere la recentissima sentenza della Corte Costituzionale nr. 8 del 2023.
Come già osservato in dottrina, seguirà certamente una importante attività di normazione del fenomeno ad opera della giurisprudenza di merito e, poi, di legittimità.

Ai fini del nostro tema, si intende solo precisare che l’accipiens, in questo tipo di giudizi, a prescindere dalla deduzione e prova di sussistenza dei requisiti costitutivi del diritto alla prestazione pagata dalla controparte -in tal caso dimostrando che quanto corrisposto configura adempimento- può limitarsi ad opporre la sussistenza dei presupposti di legge che rendono irripetibili le somme pagate, pur se oggettivamente indebite.
Si pensi, quanto all’indebito pensionistico, alla previsione di cui gli artt. 52 della legge nr. 88 del 1989 e 13, comma 1, della legge nr. 412 del 1991 ovvero, quanto all’indebito assistenziale, alla regola secondo cui la restituzione è, comunque, limitata ai ratei erogati a decorrere dalla data del provvedimento che accerta l'indebito, restando, invece, esclusa la ripetizione delle somme precedentemente corrisposte .

Il regime dell'indebito previdenziale ed assistenziale presenta, infatti, tratti peculiari rispetto alla regola della ripetibilità stabilita dall'art. 2033 c.c., in ragione dell’affidamento legittimo dei percettori nella stabilità di trattamenti che sono erogati da enti pubblici e normalmente destinati "al soddisfacimento di bisogni alimentari propri e della famiglia" (Corte Costituzionale 13 gennaio 2006, n. 1).

7. OPPOSIZIONI A VERBALI ISPETTIVI: rapporti in agricoltura a tempo determinato.

Proseguendo nel tentativo di sistematizzare il profilo dell’onere probatorio in una materia tanto variegata e complessa, vanno considerate le azioni di accertamento negativo di indebito, promosse a seguito di verbali ispettivi: in particolare ciò si ritrova ordinariamente nell’ambito di rapporti di lavoro agricolo a tempo determinato.

È frequente che –in sede di accertamento ispettivo – l’INPS disconosca il rapporto di lavoro in agricoltura e, quindi, proceda alla cancellazione del lavoratore dagli elenchi nominativi, con conseguente ripetizione delle somme erogate indebitamente.

La peculiarità della fattispecie -che è anche all’origine di una certa confusione sul piano del riparto dell’onere della prova- risiede nel fatto che -come affermato dalla Corte, sin dall’arresto delle sezioni unite, con la pronuncia nr. 1133 del 2000- il diritto dei lavoratori subordinati a tempo determinato nel settore dell'agricoltura alle prestazioni previdenziali è condizionato all'esistenza di una complessa fattispecie, che è costituita dal doppio requisito dello svolgimento di un'attività di lavoro subordinato a titolo oneroso per un numero minimo di giornate per ciascun anno di riferimento, e dall'iscrizione negli elenchi nominativi di cui al R.D. 24 settembre 1940, n. 1949 e successive modifiche ovvero dal possesso del cosiddetto certificato sostitutivo.

Accade che, a seguito del disconoscimento del rapporto di lavoro e della cancellazione dagli elenchi anagrafici, i lavoratori agiscano in giudizio, domandando, contestualmente, la reiscrizione negli elenchi e l'accertamento negativo dell’obbligo di restituzione.

Come, di recente, si è cercato di chiarire , originatosi il contenzioso giudiziario, nel processo, non verranno più in rilievo i provvedimenti di iscrizione e cancellazione.
L’ accertamento demandato al Giudice del Lavoro sarà quello di verificare la sussistenza o meno del rapporto di lavoro agricolo: alla verifica giudiziale dell’espletamento dell’attività agricola subordinata per un certo numero di giornate conseguirà il diritto del lavoratore agricolo all’iscrizione, così come dall’accertamento dell’insussistenza di tali presupposti di fatto deriverà la cancellazione del lavoratore dagli elenchi.

Rimanendo fedeli all’approccio inziale che è quello di riuscire a individuare e qualificare esattamente la fattispecie giuridica, possiamo dire che, nel giudizio che ha ad oggetto una siffatta vicenda processuale, il fatto che diviene controverso è l’esistenza o meno del rapporto di lavoro: da ciò scaturisce la lite.
Esso rappresenta il fatto costitutivo del diritto all’iscrizione e alle conseguenti prestazioni previdenziali. Logico corollario, sul piano del riparto dell’onere della prova, è che, della relativa prova, sia onerato il lavoratore.

Proseguendo nella carrellata delle maggiori situazioni applicative che la Corte si trova ad esaminare in epoca recente, non si può non fare un cenno alle opposizioni a cartelle esattoriali.

8. OPPOSIZIONI A CARTELLE ESATTORIALI E/O AVVISI DI ADDEBITO.
L’opposizione avverso la cartella esattoriale di pagamento (o all’ avviso di addebito che è un atto immediatamente esecutivo, con cui, a partire dal 1° gennaio 2011, l’INPS procede all'attività di riscossione delle somme dovute, anche dopo accertamenti degli uffici) dà luogo ad un giudizio ordinario di cognizione su diritti ed obblighi inerenti al rapporto previdenziale (come nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo).

Secondo un arresto della Corte «nel giudizio di opposizione a cartella esattoriale per il recupero di contributi previdenziali l' onere della prova gravante a carico dell' INPS, parte attrice in senso sostanziale, resta condizionato dalla preventiva allegazione nell'atto di opposizione del debitore, parte attrice in senso formale ma convenuto in senso sostanziale, di specifiche ragioni di contestazione dei fatti costitutivi della pretesa impositiva, ai sensi dell'art. 416 c.p.c., con conseguente rigetto dell'opposizione nell'ipotesi di contestazioni generiche e di stile.
L'onere di specifica allegazione a carico dell'opponente, che delimita il thema decidendum, troverebbe giustificazione nella preventiva notifica di un atto formale del creditore esplicativo della pretesa e delle sue ragioni. In sostanza, l'opponente -convenuto in senso sostanziale- sarebbe tenuto ad adempiere, già con l'atto introduttivo del giudizio, all'onere di specifica contestazione di cui all'articolo 416 cod.proc.civ

L’indicato orientamento non ha avuto seguito.
Nelle successive pronunce , la Corte ha osservato come, attribuendo efficacia di "allegazione" a fatti contenuti in atti extraprocessuali (quali la preventiva notifica di un atto formale del creditore esplicativo della pretesa e delle sue ragioni, ravvisato in specie nella cartella esattoriale), risulterebbe interrotta la circolarità, necessariamente endoprocessuale, tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova, attestata dal combinato disposto dell'art. 414 nn. 4 e 5 e dall'art. 416 c.p.c.

8.1. Professionisti iscritti alla Gestione separata INPS ex art. 2, comma 26, legge nr. 335/1995.

Un contenzioso poderoso riguarda, in questi ultimi anni, le opposizioni a cartelle e/o avvisi di addebito da parte di professionisti, iscritti d’ufficio presso la Gestione Separata Inps.
Si tratta di avvocati, architetti, ingegneri ed altre categorie di lavoratori autonomi l’esercizio della cui attività professionale soggiace all’iscrizione in appositi albi di natura pubblicistica, non iscritti, tuttavia, alle casse previdenziali cd. speciali.

Sul profilo dell’onere della prova non sono sorte questioni dirimenti.
I profili di interesse hanno riguardato altri aspetti che, solo per completezza, si segnalano in questa sede:
 l’obbligo o meno della iscrizione dei professionisti alla Gestione separata;
 la percezione di un reddito inferiore alla soglia indicata nell’art. 44 del D.L. nr. 269 del 2003 (euro 5000,00);
 la decorrenza del termine di prescrizione, con le annesse problematiche dei DPCM, dell’ambito di valutazione del potere officioso del Giudice, della compilazione del quadro “RR”.
…….
A conclusione di queste brevi osservazioni sul tema dell’onere della prova, in relazione alle fattispecie applicative più emergenti del contenzioso attuale in materia assistenziale e previdenziale, utile può essere una riflessione finale.
Il rimprovero più frequente, nei giudizi di impugnazione, rivolto al Giudice che ha reso la sentenza impugnata, è quello di aver fatto una cattiva applicazione della regola tracciata dall’art. 2697 c.c.
Nell’argomentare l’errore, la parte, però, assume che il Giudice ha errato nella valutazione delle prove, per esempio attribuendo rilievo o, viceversa, non attribuendo rilievo ad una data testimonianza o ad un determinato documento (id est: alle circostanze di fatto emergenti da una data testimonianza o da un determinato documento).
Una tale deduzione esprime un equivoco di fondo.
Invero, un problema di violazione della regola dettata dall’art. 2697 c.c. può porsi solo quando il Giudice erra (o comunque la parte ritiene che abbia errato) nella qualificazione giuridica del fatto rimasto non provato, considerandolo costitutivo nonostante sia in realtà estintivo, modificativo o impeditivo del diritto controverso, o viceversa. In tal caso, l’errore nella qualificazione del fatto si riflette sulla individuazione della parte soccombente.
Solo ricorrendo una tale situazione, la parte dichiarata soccombente può -evidentemente - dolersi della non corretta ripartizione del carico della prova.
Al di fuori di tale ipotesi, potranno venire in rilievo altri errori di giudizio, in diritto o in fatto, ma su un piano diverso da quello che concerne la distribuzione del carico probatorio.

 

 

 

 

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