TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

Il legislatore del 1973, con la legge n. 533, ha introdotto il processo del lavoro ma, contemporaneamente, lo ha bipartito, distinguendo fra controversie individuali di lavoro e controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, l’utilizzo di questa espressione rende evidente la consapevolezza del legislatore storico del fatto che con essa si indicassero non solo i giudizi in tema di prestazioni, ma anche i giudizi in tema di contributi. Ancora il sezionamento fra i due tipi di giudizi è anch’esso il frutto della consapevolezza della necessità di disciplinare aspetti peculiari del processo di sicurezza sociale, quali: la rilevanza della domanda amministrativa e della consulenza tecnica, la parziale deroga alla competenza territoriale, l’utilizzo di una figura peculiare quale quella degli istituti di patronato e di assistenza.
A questa peculiarità conclamate nello stesso testo codiciale, se ne aggiungono altre che si connettono all’interpretazione che delle regole del processo è stata data dai giudici, allorché costoro erano chiamati ad applicare queste in seno al sottotipo di processo del quale si discute.
Su tali binari, si procederà, nei limiti dell’odierna trattazione, a vagliare quali siano le opzioni interpretative accolte dalla giurisprudenza con riferimento a uno spezzone temporale del processo, quello di accesso allo stesso, al fine di rispondere alla domanda: il processo previdenziale ha raggiunto lo scopo per il quale è stato introdotto nell’ordinamento, ovverosia quello di tutelare i diritti dei singoli e degli enti in materia di sicurezza sociale?

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La prima peculiarità attiene alla connessione fra domanda amministrativa, per fruire di un determinato diritto previdenziale e proposizione della domanda giudiziaria.
Il legislatore della novella del 1973 dedica a questo argomento due disposizioni, l’una che si rinviene nell’art. 7 della medesima legge e l’altra che invece si rinviene nel codice di rito all’art. 443.
Entrambe le disposizioni trovano la loro ragion d’essere nella regola interna al sistema previdenziale che prevede, in via generale, che il riconoscimento di qualsivoglia diritto di sicurezza sociale passi attraverso la presentazione, da parte del soggetto interessato, della domanda amministrativa all’ente previdenziale al quale è stato affidato il compito di vagliare l’esistenza dei requisiti legislativamente previsti per il riconoscimento del diritto.
All’interno di tale quadro di riferimento, il legislatore ha innanzitutto previsto e disciplinato il momento dal quale la domanda amministrativa si intende respinta, fissando il termine di centoventi giorni dalla data della sua presentazione, ovviamente se l’ente previdenziale non ha comunicato la propria decisione prima ; e ha, poi, fissato gli effetti processuali connessi alla mancata presentazione del ricorso amministrativo avverso la reiezione della domanda amministrativa.
La giurisprudenza ha ritenuto costantemente che tale assetto legislativo comporta, innanzitutto, la non proponibilità della domanda giudiziaria, qualora la stessa non sia stata preceduta dalla presentazione della domanda amministrativa . A ciò si aggiunga che la mancata presentazione della domanda amministrativa è sempre rilevabile d’ufficio, a prescindere dal comportamento processuale tenuto dall’ente previdenziale convenuto, trattandosi di condizione di proponibilità della domanda giudiziaria e non già di elemento costitutivo della pretesa azionata in giudizio
A valle, nell’ipotesi di mancata presentazione del ricorso amministrativo a seguito reiezione della domanda amministrativa, la sospensione del procedimento giudiziario, che può essere rilevata solo nel corso della prima udienza, per consentire al ricorrente la proposizione del ricorso amministrativo .
Il delineato assetto interpretativo è stato recentemente fatto oggetto di una revisione, con riguardo alle fattispecie di revoca da parte dell’Inps delle prestazioni assistenziali e alla necessità della presentazione di una domanda amministrativa per il riconoscimento del diritto oggetto della revoca, antecedentemente alla proposizione dell’azione giudiziaria. La Corte di cassazione, con una sentenza resa a sezioni unite del 9.5.2022, n. 14551, ha ritenuto che, in tal caso non è necessario presentare una nuova domanda amministrativa, prima di adire il giudice, potendo immediatamente proporsi zione giudiziaria per il riconoscimento del diritto oggetto della revoca (nel caso di specie si trattava di revoca indennità di accompagnamento). Lo stesso principio, a quel che consta, è stato applicato al caso di revoca di assegno sociale dalla Corte, con la sentenza del 31.3.2023, n. 9130.
La novità giurisprudenziale della quale si è fatto cenno ha spostato il baricentro, che sin qui era stato utilizzato ai fini applicativi delle regole dianzi menzionate, a favore del soggetto che invoca il riconoscimento di una prestazione, abbassando i tempi di riconoscimento del diritto, con l’esclusione di quelli necessari per il compiersi del procedimento amministrativo di secondo livello. L’esito logicamente necessitato di tale interpretazione dovrebbe condurre a ritenere che per nessuna ipotesi di revoca di una prestazione previdenziale sarà più necessario esperire ricorso amministrativo, non rinvenendosi ragioni strutturali che precludano tale opzione interpretativa.
Sempre in tema di rilevanza della domanda amministrativa ai fini della proposizione dell’azione giudiziaria, di rilievo appare l’intervento fatto dalla Corte di cassazione in merito alla regolarità della domanda medesima e alla sua specificità con riguardo alla prestazione richiesta.
La Corte, con interpretazione non formalistica e ampliativa del livello di tutela dei diritti previdenziali, ritiene che per integrare il requisito della previa presentazione della domanda non è necessaria la formalistica compilazione dei moduli predisposti dall'INPS o l'uso di formule sacramentali, essendo sufficiente che la domanda consenta di individuare la prestazione richiesta affinché la procedura anche amministrativa si svolga regolarmente. Ne consegue che non costituisce requisito imprescindibile della domanda amministrativa barrare la casella che, nel modulo, individua le condizioni sanitarie la cui sussistenza è necessaria per il riconoscimento del diritto all'indennità di accompagnamento, non potendo l'istituto previdenziale introdurre nuove cause di improcedibilità ovvero di improponibilità in materia che deve ritenersi coperta da riserva di legge assoluta ex art. 111 Cost. (in questi termini, si v. Cass. sent., 27.5.2019, n. 14412 e la nota alla stessa di S. L. Gentile, Diritti previdenziali e assistenziali ex lege e condizionamenti introdotti dalla normativa secondaria: la supervisione del giudice, in Foro. It., 2020, n. 1, 1^, c. 321 e ss.; e da ultimo l’ordinanza della sesta della medesima Corte del 1° marzo 2023, n. 6189).

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Ulteriore profilo di connessione fra domanda amministrativa e domanda giudiziaria si riscontra nell’applicazione dell’istituto della decadenza, in specie con riguardo alle prestazioni previdenziali, che trova una disciplina specifica nell’art. 47 del d.P.R.
Articolo 47 che, come insegnato costantemente dalla giurisprudenza di legittimità, prevede una decadenza sostanziale "di ordine pubblico" in quanto la sua funzione è quella di tutelare la certezza delle determinazioni concernenti erogazioni di spese gravanti sui bilanci pubblici. Il "dies a quo" è ancorato alla data di presentazione dell'originaria domanda in sede amministrativa, risultando irrilevante, a tal fine, una eventuale riproposizione della domanda o una richiesta dell'assicurato di chiarimenti .
Decadenza sostanziale, che può sempre essere rilevata d’ufficio, ai sensi dell’art. 2969 c.c., in ogni stato e grado del processo e, qualora non si richiedano nuovi accertamenti di fatto, anche per la prima volta nel giudizio di cassazione, poiché la materia previdenziale è sottratta alla disponibilità delle parti .
L’applicazione dell’istituto della decadenza biennale, previsto dall’art. 29 del d. lgs. n. 276 del 2003, è invece escluso dalla giurisprudenza con riferimento alla contribuzione dovuta dal committente, nella sua veste di obbligato solidale . Soluzione questa che sfocia in un ampliamento della tutela assicurata dal legislatore ai crediti pubblici vantati dagli enti previdenziali, assicurando a costoro il raddoppio dei soggetti obbligati al pagamento.

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Si prosegue, soffermandosi sul profilo dell’interesse ad agire, in specie con riguardo alle domande di mero accertamento dello stato di handicap in condizione di gravità, che passano attraverso l’esperimento dell’azione ex art. 445-bis c.p.c.
La Corte, anche qui con interpretazione ampliativa delle modalità di accesso alla tutela giudiziaria, riconosce che in tema di accertamento tecnico preventivo obbligatorio, l’interesse ad agire per il riconoscimento della condizione di portatore di handicap grave, di cui all’art. 3, terzo comma, della legge n. 104 del 1992, sussiste indipendentemente dalla specificazione di un determinato beneficio, in quanto la predetta condizione assume un pieno rilievo giuridico, essendo tutelata dall’ordinamento in funzione del successivo riconoscimento di molteplici misure finalizzate a rimuovere le singole situazioni di discriminazione dalla stessa generate .
A fronte di tale ampliamento della posizione del richiedente la prestazione, ci si imbatte in altra decisione che, del tutto correttamente, preclude tale ampliamento, affermando che l'accertamento tecnico preventivo ex art. 445-bis c.p.c., espletato ai fini del conseguimento di una determinata prestazione, non può essere utilizzato, in caso di rigetto della domanda per insussistenza del relativo requisito sanitario, quale presupposto per l'ottenimento di una prestazione diversa, dal momento che l'indicazione, nel ricorso, della specifica prestazione invocata è essenziale sul piano dell'interesse ad agire, ai sensi dell'art. 100 c.p.c., non potendo ritenersi ammissibile la richiesta di un accertamento sanitario genericamente individuato .
E sempre con riguardo al riconoscimento dell’esistenza dell’interesse ad agire in sede di proposizione di accertamento tecnico preventivo obbligatorio, la Corte afferma che l'ammissibilità dell'accertamento tecnico preventivo ex art. 445 bis c.p.c. presuppone, come proiezione dell'interesse ad agire ai sensi dell'art. 100 c.p.c., che l'accertamento medico-legale, richiesto in vista di una prestazione previdenziale o assistenziale, risponda ad una concreta utilità per il ricorrente - la quale potrebbe difettare ove siano manifestamente carenti, con valutazione "prima facie", altri presupposti della predetta prestazione -, al fine di evitare il rischio della proliferazione smodata del contenzioso sull'accertamento del requisito sanitario .
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L’ultimo dei profili processuali in tema di accesso al giudizio si connette all’individuazione del soggetto legittimato passivo della domanda; essendo evidente che più soggetti pubblici sono chiamati a contraddire, più complesso è il procedimento di incardinazione del giudizio, con evocazione di tutti i convenuti.
Profilo processuale che si sostanzia nella questione della legittimazione passiva e del litisconsorzio necessario.
Con riguardo alle prestazioni, la Corte ha privilegiato un modello interpretativo delle norme teso a individuare un unico soggetto passivo, nella persona dell’Inps.
È quel che è dato riscontrare nell’accertamento tecnico preventivo, procedimento dove la Corte, anche se la prestazione da riconoscere è affidata ad altro soggetto pubblico, afferma che la legittimazione passiva spetta in via esclusiva all’Inps, avendo l’art. 20 del d.l. n. 78 del 2009, conv.to con modif.ni dalla l. n. 102 del 2009, trasferito all’ente previdenziale sia la responsabilità ultima degli accertamenti sanitari, sia la legittimazione esclusiva a resistere alle domande aventi a oggetto lo status di invalidità non riconosciuto in sede amministrativa .
Lo stesso principio lo si ritrova affermato:
a) nelle domande di accertamento del diritto alla rivalutazione, ai fini pensionistici, del periodo lavorativo durante il quale l’attore è stato esposto all’amianto ;
b) nei giudizi ove si impugna il provvedimento della direzione territoriale del lavoro, di diniego della domanda di ammissione al beneficio della conservazione dei requisiti di accesso alla pensione vigenti anteriormente alle modifiche di cu all’art. 24 del d.l. n. 201 del 2011, conv.to con modif.ni dalla l. n. 241 del 2011 .

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Se poi si passa al versante del litisconsorzio necessario, d’obbligo è il richiamo dell’orientamento della Corte di cassazione, che prefigura un’ipotesi di litisconsorzio necessario, con evocazione in giudizio dell’Inps, allorquando il lavoratore promuova azione giudiziaria nei confronti del datore di lavoro, chiedendo anche la condanna dello stesso al pagamento della contribuzione previdenziale . Principio che porta con se, qualora non sia stato chiamato l’ente previdenziale, la nullità del giudizio, rilevabile in ogni stato e grado del processo, salvo il limite del giudicato, con necessità di rimessione al giudice di primo grado ai fini dell’integrazione del contraddittorio.

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A fronte di tale ricognizione parziale e limita a una determinata fase del processo previdenziale, quale di accesso allo stesso, pare che si possa giungere ad affermare che la Corte, nell’applicare nella concretezza delle questioni da risolvere le regole di tale processo abbia, in via generale, preservato la posizione del soggetto debole che varca le aule giudiziarie, assicurando allo stesso l’accesso al processo e la disamina della questione di diritto sostanziale.
Se questo è l’approdo giurisprudenziale, si può ritenere che il legislatore del 1973 abbia “visto lungo” nell’introdurre un sub-procedimento destinato ad accertare i diritti previdenziali e la Corte di cassazione, a sua volta e con il suo operato, abbia vivificato la scelta del legislatore storico, assicurando un’interpretazione delle regole processuali finalizzata a raggiungere lo scopo del processo previdenziale, che è quello di garantire l’esame del merito delle questioni.

 

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