TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Introduzione
A complemento della riforma del processo civile il d.lgs. 149/22, art. 3, co. 32, nel dare attua-zione all’art. 1, co. 1, l. 206/21, modifica la disciplina delle controversie relative ai licenziamen-ti, introducendo, al libro II, Titolo IV, del Codice di procedura civile, il capo I-Bis, che si compone di tre articoli, il 441-bis, il 441-ter e il 441-quater .
La novella, che interessa i procedimenti instaurati dopo il 28 febbraio 2023 a seguito del cor-rettivo recato dalla legge di bilancio 2023 , involge, in particolare, la trattazione prioritaria delle cause di licenziamento in cui sia proposta domanda di reintegrazione nel posto di lavoro, l’assoggettamento al rito del lavoro dell’azione di impugnazione del licenziamento del socio di cooperativa, anche ove ne consegua la cessazione del rapporto associativo, e, da ultimo, la possibilità di introdurre con riti speciali l’azione di nullità del licenziamento discriminatorio.

2. Controversie in materia di licenziamento
L’art. 441-bis c.p.c. disciplina le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenzia-menti nelle quali è proposta la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro, prevedendo, da un lato, che la trattazione e la decisione abbiano carattere prioritario rispetto alle altre penden-ti sul ruolo del giudice, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazio-ne del rapporto, e, dall’altro lato, l’assoggettamento - tendenzialmente generalizzato - agli artt. 409 e ss. c.p.c. (co. 1 e 2).
La norma, che risponde a esigenze di celerità e di concentrazione cui informare anche i giudizi di appello e di cassazione (co. 5), è da ricostruire alla luce dell’abrogazione del rito Fornero , anche a fronte del suo graduale superamento, stante la non applicabilità degli art. 1, co. 48-68, l. 92/12 ai recessi intimati ai lavoratori assunti contratto di lavoro a tutele crescenti .
La stessa è da salutare con favore, dal momento che affida la tutela giurisdizionale a una mi-sura organizzativa, qual è la trattazione prioritaria delle cause relative alla reintegrazione del lavoratore, senza accompagnarla alla introduzione di un rito ultra-specialistico, essendo tenuto fermo quello di cui alla l. 533/73, a conferma della sua perdurante efficacia, nonostante sia prossimo a compiere i suoi primi cinquant’anni.
In questi termini si spiega perché l’art. 144-quinques dis. att c.p.c., inserito dal d.lgs. 149/22 (art. 4, co. 7, lett. b), stabilisce che il presidente di sezione e il dirigente dell’ufficio favoriscono e verificano la trattazione prioritaria delle controversie di cui all’art. 441-bis, con obbligo di ef-fettuare estrazioni statistiche trimestrali che consentano di valutare la durata media dei relativi processi rispetto alla durata degli altri processi in materia di lavoro.
La disposizione, tuttavia, sconta alcune riserve, a cominciare dal perimento entro cui fare ri-corso alla trattazione prioritaria che, se è circoscritto alle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti nelle quali è proposta la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro, al contempo, è esteso anche a quelle in cui devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto.
Non si comprende, infatti, perché l’accelerazione impressa sia da escludere nei casi in cui la riammissione in servizio prescinda dalle ipotesi regolate dall’art. 18, St. lav. o dall’art. 2, d.lgs. 23/15 e consegua, per esempio, all’illegittimità di un trasferimento di azienda o alla trasforma-zione di un rapporto a termine in uno a tempo indeterminato, vieppiù nella consapevolezza del pregiudizio che il lavoratore a tempo determinato è destinato a subire a fronte di una deci-sione tardiva causa il massimale posto al risarcimento del danno dall’art. 28, co. 2, d.lgs. 81/15 ( ).
Allo stesso modo, pare illogico che della priorità non possano beneficiare le controversie in cui debbano essere risolte questioni pregiudiziali e/o preliminari comunque dirimenti, come quando sia necessario accertare la ricorrenza di un centro unitario di imputazione di interessi o di co-datorialità e/o di irregolarità dell’appalto.
Ciò rende ragione di una interpretazione estensiva del combinato disposto, che consenta di at-trarre nell’inciso “reintegrazione” anche le domande volte ad ottenere la prosecuzione del rapporto di lavoro, oltre riconoscere la portata meramente esemplificativa all’endiadi “que-stioni di qualificazione”.
Ma vi è di più.
La scelta di fare seguire alle controversie in materia di licenziamento le regole generali previste per le cause di lavoro fonda la operatività delle preclusioni di cui agli artt. 414 e 416 c.p.c., di-versamente da quanto stabilito con il rito Fornero, laddove, per la fase sommaria, proprio perché l’art. 1, co. 48, l. 92/12 richiede che la domanda debba avere i - minimi - requisiti di cui all’art. 125 c.p.c. ( ), è da ritenere che il convenuto non incorra in alcuna decadenza istruttoria in caso di costituzione tardiva ( ).
Per quest’ultimo, peraltro, l’applicabilità della disciplina di cui agli artt. 409 c.p.c. è da con-temperare con la erosione del termine a difesa minimo, che può essere portato da venti a quindici giorni, con pregiudizio di un diritto ineludibile, specie a fronte della perdurante esclu-sione delle cause di lavoro dalla sospensione feriale ( ).
In tal senso depone l’art. 441-bis, co. 3, c.p.c., nella parte in cui stabilisce che, tenuto conto delle circostanze esposte nel ricorso, con onere di allegazione e prova da parte dell’istante, pe-raltro, giammai confutabili dal convenuto, il giudice può ridurre i termini del procedimento fi-no alla metà, fermo restando che tra la data di notificazione al convenuto o al terzo chiamato e quella della udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venti giorni e che, in tal caso, il termine per la costituzione del convenuto o del terzo chiamato dovrà essere ridotto della metà.
Altrettanta - e opportuna - discrezionalità è riconosciuta al giudice nel disporre, in relazione alle esigenze di celerità prospettate dalle parti, soprattutto se convergenti, la trattazione con-giunta di eventuali domande connesse e riconvenzionali ovvero la loro separazione, assicuran-do in ogni caso la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria in relazione alle domande di reintegrazione nel posto di lavoro, mediante la riserva di particolari giorni, anche ravvicinati, nel calendario delle udienze.
Il riferimento è all’art. 441-bis, co. 4, c.p.c., che rende manifesto il “cambio di passo” rispetto al rito Fornero, nella misura in cui consente di superare le ambiguità che hanno contraddistin-to sul piano esegetico la individuazione della sorte delle domande non fondate sugli identici fatti costitutivi del licenziamento promosse nella fase sommaria o la riconvenzionale in fase di opposizione, quest’ultima da separare obbligatoriamente al ricorrere delle condizioni previsti dall’art. 1, co. 56, l. 92/12 ( ).
La modifica è di non poco conto e lascia intendere che il giudice, a fronte di domande che non ritenga di immediata soluzione, possa disporne la separazione ai sensi dell’art. 104, co. 2, c.p.c, con un provvedimento discrezionale, non censurabile in sede di legittimità, che in alcun pre-giudicherebbe l’autonomia dei singoli procedimenti ( ), per quanto lo stesso potrebbe ostare alla percorribilità di una conciliazione tra le parti ( ).
Ciò induce - o dovrebbe indurre - a trattare congiuntamente la sola domanda cautelare che fosse proposta ex art. 700 c.p.c. unitamente al ricorso ex art. 414 c.p.c., ammesso che la stes-sa, diversamente da quanto prefigurato dalla riforma Cartabia ( ), continui a essere esperibile, a fronte delle precondizioni del fumus e del periculum in mora, in ragione del ruolo primario rive-stito in punto di applicazione della disciplina di tutela in caso di licenziamento illegittimo, co-stituendo espressione dei principi posti dagli artt. 24 e 111 Cost. in tema di giusto processo e dell’art. 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 6, co. 1, CEDU ( ).

3. Licenziamento del socio di cooperativa
Anche l’art. 441-ter, rubricato «Licenziamento del socio di cooperativa», è da salutare con vivo favore nella misura in cui risolve con certezza le questioni procedurali che si sono poste in or-dine alle conseguenze della cessazione del rapporto associativo e di quello di lavoro, una volta sdoppiati dalla l. 142/01.
Il primo periodo, in particolare, prevede che le controversie aventi a oggetto l’impugnazione di licenziamenti dei soci delle cooperative sono assoggettate agli artt. 409 e ss. c.p.c., deman-dando - direttamente - al giudice la decisione anche delle questioni relative al rapporto asso-ciativo eventualmente proposte.
Viene in tal modo bypassata la configurazione del concorso della impugnativa della delibera di esclusione e del licenziamento come una ipotesi di connessione di cause, tale da determinare una competenza del Giudice del lavoro per effetto dell’art. 40, co. 3, c.p.c., dipendendo dall’accertamento della permanenza o meno del rapporto associativo la individuazione del re-gime di tutela applicabile nel caso di cessazione del rapporto di lavoro ( ).
Il ricorso ex art. 414 c.p.c., pertanto, ben potrà contenere due domande di annullamento, una della delibera di esclusione e l’altra del licenziamento, con richiesta di riammissione nella compagine sociale e di indennizzo del recesso, senza escludere la reintegrazione ove ne sussi-stano i presupposti, posto che l’annullamento della delibera renderebbe non applicabile l’art. 2, co. 1, l. 142, non potendo più farsi questione di cessazione del rapporto associativo.
Al contempo, resta definitivamente chiarito che l’art. 5, l. 142, nella parte in cui riserva al tri-bunale ordinario - e segnatamente, alle sezioni specializzate in materia di impresa di cui al d.lgs. 168/03 - le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica, è da riferire alle controversie inerenti il solo rapporto sociale stricto sensu ovvero quelle che non attengano in alcun modo all’ulteriore rapporto di lavoro, come, a esempio, quella avente ad oggetto l’impugnazione di una delibera di mutamento dell’oggetto sociale, o, sotto altro profi-lo, quella in punto di responsabilità degli amministratori.
Di contro, la norma non interviene sul termine decadenziale di impugnazione della delibera fissato dall’art. 2533, co. 3, c.c. in sessanta giorni.
Termine che, pertanto, mantiene la sua vigenza e il cui decorso andrà impedito dal deposito del ricorso ex art. 414 c.p.c., senza che possa rilevare la sua notificazione, posto che l’espressione “proporre opposizione al tribunale” richiama esclusivamente l’atto che introduce il giudizio ( )
Ma la vera novità dell’art. 441-ter risiede nel secondo periodo, ovvero: «Il giudice del lavoro decide sul rapporto di lavoro e sul rapporto societario altresì nei casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro deri-va dalla cessazione del rapporto associativo».
La previsione, infatti, lungi dal risolversi in una mera sovrapposizione, involge un caso specifi-co, quale quello in cui la estinzione del rapporto di lavoro derivi quale conseguenza “necessi-tata” ex lege dell’adozione della delibera di esclusione, e non già di un formale atto di licenzia-mento.
Fattispecie quest’ultima che avrebbe dovuto fondare la competenza esclusiva del tribunale or-dinario ( ), e che, pur tuttavia, impone di proporre la domanda secondo le forme dell’art. 409 c.p.c. anche qualora il lavoratore intenda dedurre esclusivamente vizi attinenti alla corretta esecuzione del rapporto associativo ( ).

4. Licenziamento discriminatorio
L’art. 441-quater, primo periodo, stabilisce che le azioni di nullità dei licenziamenti discrimina-tori possano essere introdotte con ricorso ai sensi dell’art. 414 c.p.c. oppure, ricorrendone i presupposti, con i riti speciali.
La norma è da porre in relazione all’abrogazione della disciplina di cui all’art. 1, co. 47 ss. l. 92/12, cui soni da assoggettare - obbligatoriamente - le controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti in tutte le ipotesi regolate dall’art. 18, l. 300/70 per i lavoratori assunti ante 7 marzo 2015 ( ).
La stessa evoca l’azione ex art. 38, d.lgs. n. 198/06 a salvaguardia delle pari opportunità, oltre che quelle previste dall’art. 28, d.lgs. 150/11 in punto di tutela antidiscriminatoria, per quanto queste ultime siano state ricondotte, per effetto delle modifiche introdotte dal d.lgs. 149/22, al rito semplificato di cognizione ex art. 281-decies c.p.c., procedimento che in alcun modo è sus-sumibile tra quelli speciali, sia perché collocato fuori dal libro IV del codice di rito, sia perché pur sempre ammissibile nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica ( ).
Per le stesse permangono, tuttavia, alcuni “tratti distintivi” che rendono ragione dell’esigenza di specialità imposta dall’Unione europea ( ), come la competenza territoriale del luogo di domicilio dell’attore e i peculiari poteri del giudice in punto di condanna, o ancor più la non convertibilità del procedimento in rito ordinario, non essendo applicabile l’art. 281-duodecies, co. 1, c.p.c.
C’è da chiedersi, in ogni caso, quali ragioni di ordine processuale possano indurre il singolo discriminato a scegliere un rito piuttosto che un altro.
Di sicuro una prima valutazione riguarderà la competenza territoriale, che, qualora non si opti per il rito ordinario che soggiace ai criteri previsti dall’art. 413 c.p.c., andrà determinata in ra-gione del luogo del domicilio del ricorrente per le discriminazioni che fruiscono del rito sem-plificato di cognizione (art. 28, co. 2, d.lgs. 150/11) o in ragione del luogo in cui è avvenuto il comportamento denunziato, per le discriminazioni di genere in ambito lavorativo (art. 38, co. 1, d.lgs. 198/06).
Altro apprezzamento potrà riguardare la pluralità delle domande azionabili o, sotto altro profi-lo, la diversità di conclusioni formulabili.
Vero che, se con il ricorso ex art. 414 potranno essere proposte domande plurime anche non altrimenti connesse, come il pagamento di differenze retributive maturate durante il corso del rapporto, di converso, il rito antidiscriminatorio presiede l’esperibilità di domande che siano solo discriminatorie.
Mentre è solo con quest’ultimo rito che potranno ripetersi, oltre alla reintegrazione nel posto di lavoro, con possibilità di fruire della priorità prevista dall’art. 441-bis, anche provvedimenti ulteriori, diversamente non consentiti nel giudizio con rito ordinario, come, ad esempio, l’adozione del piano di rimozione, la pubblicazione della sentenza su un quotidiano di tiratura nazionale e in più generale ogni altro provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti della di-scriminazione, come previsto dall’art. 28, d.lgs. 150/11.
All’opposto alcun rilievo andrà dato all’attenuazione dell’onere della prova proprio dei riti speciali, posto che lo stesso attiene la sostanza del diritto azionato ( ), con la conseguenza che anche chi agisce con un ricorso ex art. 414 c.p.c. potrà avvalersi del relativo alleggerimen-to.
Di certo, la disposizione sconta un difetto di coordinamento con la possibilità della legittima-zione collettiva prevista dall’art. 37, d.lgs. 198/06, che laddove fatta valere dovrebbe portare a ritenere la stessa non operante pena una violazione dell’art. 24 Cost. ( ).
L’art. 441-quater, ultimo periodo, fa, infine, proprio il criterio electa una via altera non data, pre-cludendo la proposizione della stessa controversia con rito diverso.
È ragionevole dedurre che la precisazione sia da riferire anche alla proposizione di domande relative alla nullità di atti discriminatori diversi dal licenziamento, si pensi a un trasferimento, dal momento che, altrimenti argomentando, giammai potrebbe individuarsi quale dei due riti dovrebbe essere quello suscettibile di trovare applicazione in via esclusiva.
Resta fermo che il divieto riguarda la possibilità di agire con altra domanda identica, potendo essere spiegate distinte impugnazioni per ragioni diverse dello stesso licenziamento, purché sussista un interesse oggettivo del lavoratore al frazionamento della tutela avverso l’unico atto di recesso ( ).
Il tutto nella consapevolezza che il ricorso ai riti speciali giammai dovrebbe essere precluso dalla maturazione dei termini di cui all’art. 6, l. 604/66, a condividere il precedente - allo stato unico - per cui gli stessi, in ragione della peculiare natura e della loro ratio ispiratrice, non sono soggetti, né potrebbero esserlo, a decadenze di sorta ( ).

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