TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

1. Introduzione
Ad un primo sommario esame si potrebbe essere indotti a pensare che la riforma del processo civile abbia toccato solo marginalmente il processo del lavoro.
In effetti gli interventi “mirati” ad una riforma delle norme processuali applicabili alle controversie di lavoro, se si eccettuano quelli di “restauro” delle norme positive come quello interessante l’art. 430 c.p.c., si riducono all’introduzione di un nuovo capo 1 bis del titolo IV del libro II del codice concernente le “controversie in materia di licenziamento” e all’estensione della negoziazione assistita alla materia giuslavoristica, con estensione degli effetti di cui all’art. 2113, comma 4, c.c.
E difficilmente è revocabile in dubbio che le norme concernenti il processo di appello abbiano interessato anche gli artt. 434 e 436 bis quale riflesso delle modifiche pensate e introdotte per il procedimento ordinario di cognizione.
E tuttavia sarebbe riduttivo fermarsi a tali annotazioni, limitandosi ad una esegesi delle novità normative, da una parte perché le predette novità avranno notevole impatto dal punto di vista pratico e consentiranno di superare, almeno in parte, i problemi discendenti dalla normativa previgente (con riferimento al rito Fornero, che poteva sì definirsi rito “a scomparsa”, ma che aveva ancora un rilevante, almeno dal punto di vista pratico, ambito applicazione, ma anche con riferimento alla vexata queastio dell’intreccio del rapporto di lavoro e del rapporto associativo al momento dell’espulsione del socio lavoratore); dall’altra, e venendo all’oggetto dia teste brevi note, perché rilevante impatto avranno anche diverse delle novità introdotte in via generale per il processo civile (oltre che per l’appello, anche con riferimento alla disciplina dell’udienza di cui al novellato art. 127 c.p.c. e al nuovo art. 127 bis).
Per non dire dell’apertura agli avvocati per la creazione di una “sede protetta” di fatto parificata, quanto agli effetti, a quella sindacale, che in qualche modo rappresenta una svolta epocale.

2. Le modifiche riguardanti il procedimento di primo grado

Le modifiche che interessano direttamente il processo del lavoro nel suo primo grado di giudizio si riducono ad un intervento di mero dettaglio.
E difatti l’art. 430 c.p.c. non era stato coordinato con la precedente modifica delle norme regolanti la fase decisoria di cui al d.l. 112/2008 (conv. in l. 133/2008). Da una parte, infatti, l’art. 429, comma 1, c.p.c., come riformato, consente il deposito delle motivazioni unitamente al dispositivo ovvero entro un termine fissato dal giudice, e non superiore a sessanta giorni (in caso di particolare complessità della controversia). L’art. 430 c.p.c., di contro, continuava a prevedere che “la sentenza deve essere depositata in cancelleria entro quindici giorni dalla pronuncia”.
Il legislatore del 2022 è quindi intervenuto disponendo che “quando la sentenza è depositata fuori udienza, il cancelliere ne dà immediata comunicazione alle parti”, essendo il termine per il deposito decorrente dalla pronuncia del dispositivo già previsto, nella relativa ipotesi in cui le motivazioni non siano contestuali, dall’art. 429, comma 1, citato. Per il caso, invece, in cui la motivazione sia letta in udienza non vi è più alcun onere di comunicazione essendo in tal caso la sentenza nota alle parti.

3. Il riflesso sul processo del lavoro delle nuove norme di parte generale

Il processo del lavoro di primo grado risentirà invero delle modifiche previste dal legislatore della riforma e concernenti il primo libro del codice di procedura civile (disposizioni generali).
Trattandosi di disposizioni che incidono in via generale sul processo civile in questa sede ci potremo limitare solo ad alcuni cenni, salvo approfondire alcune specifiche tematiche, avendo peraltro alcune delle modifiche un rilevante impatto sistematico.
Più precisamente mi limiterò ad alcuni spunti di riflessione dettati dal presumibile impatto che le nuove norme potranno avere allorché applicate specificatamente al processo del lavoro.
Ciò premesso, certamente interesserà anche il processo del lavoro la modifica dell’art. 37 c.p.c. in tema di rilievo del difetto di giurisdizione; nonostante gli interventi sull’art 40 c.p.c. non vi sono invece novità per il rito del lavoro con riferimento alle norme sulla connessione (mantenendo lo stesso immutata la propria vis attractiva); si applicherà anche al processo del lavoro il nuovo quarto comma dell’art. 96 c.p.c. con la possibilità che la parte soccombente sia condannata al versamento di una somma a favore della cassa ammende.
Un cenno merita inoltre il principio di sinteticità degli atti di cui al novellato art. 121 c.p.c. (con l’aggiunta dell’inciso “tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico”)

4. Le nuove norme relative all’udienza da remoto e cartolare

Novità di rilievo è la “normalizzazione” della disciplina emergenziale concernente l’udienza da remoto o mediante scambio di note di trattazione scritte.
E difatti il legislatore non ha pensato di dettare una disciplina ad hoc per l’udienza di discussione ex art. 420 c.p.c.
Ciò pone significativi problemi di coordinamento, in particolare in considerazione del fatto che la normativa emergenziale, se consentiva lo svolgimento della predetta udienza da remoto, ammetteva la c.d. trattazione scritta solo con riferimento alle udienze che prevedevano la sola presenza dei difensori delle parti, con ciò di fatto escludendo la possibilità di svolgere con tale modalità l’udienza ex art. 420 c.p.c. per lo svolgimento dell’interrogatorio libero e del tentativo di conciliazione tra le parti; allargando invece l’ambito di applicazione dell’istituto a tutte le udienze che non prevedono “la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice” (art. 127 ter, comma 1) l’udienza di discussione, anche laddove si debba procedere a detti incombenti, potrà essere sostituita dallo scambio di note scritte. E come si era già evidenziato a commento della legge delega resta da capire come sia conciliabile una tale previsione con lo svolgimento, per esempio, del tentativo di conciliazione ; senz’altro, anche laddove si riesca effettivamente a svolgere il tentativo di conciliazione (e l’interrogatorio libero) mediante lo scambio di note scritte, verrebbe meno il contatto diretto (e immediato) tra le parti e tra queste e il giudice, contatto che costituisce se non un presupposto indefettibile, quantomeno un elemento fondamentale nel percorso delle parti verso una bonaria composizione della lite.
Venendo all’esame del diritto positivo, l’art. 127 bis potrebbe apparire non compatibile con la prima udienza del rito del lavoro per ragioni relative ai termini ivi previsti.
E difatti la norma dispone, al secondo comma, che il provvedimento di fissazione dell’udienza da remoto “è comunicato alle parti almeno quindici giorni prima dell'udienza” e che “Ciascuna parte costituita, entro cinque giorni dalla comunicazione, può chiedere che l'udienza si svolga in presenza”.
Come conciliare il termine di quindici giorni suddetto con quello di costituzione del convenuto ai sensi dell’art. 416 c.p.c.?
In effetti la disciplina emergenziale (art. 221, comma 6, del d.l. 34/2020) si riferiva al consenso preventivo delle parti ma non prevedeva un termine. Già sotto il vigore di tale disciplina, ad ogni modo, era in uso la prassi della fissazione della prima udienza con previsione già del link di collegamento.
Anche prendendo spunto dal diritto vivente, pertanto, la soluzione può essere quella che il giudice disponga da subito con il decreto di fissazione dell’udienza le modalità da remoto, di modo che il relativo provvedimento sia posto a conoscenza della parte resistente al momento della notifica, in calce al ricorso. Tuttavia il termine per l’opposizione per il convenuto decorrerà dalla scadenza di quello per costituirsi (si veda il riferimento alla parte costituita). La parte non costituita che ha ricevuto comunicazione dell’udienza (rectius notificazione) non ha quindi l’onere di opporsi nei 5 giorni, potrà farlo nei 5 giorni dalla costituzione.
Interviene tuttavia l’ulteriore problema derivante dall’ultimo inciso del predetto secondo comma: “il giudice, tenuto conto dell'utilità e dell'importanza della presenza delle parti in relazione agli adempimenti da svolgersi in udienza, provvede nei cinque giorni successivi con decreto non impugnabile, con il quale può anche disporre che l'udienza si svolga alla presenza delle parti che ne hanno fatto richiesta e con collegamento audiovisivo per le altre parti. In tal caso resta ferma la possibilità per queste ultime di partecipare in presenza”.
Se quindi il giudice provvede nei 5 giorni successivi potrebbe giungere a decidere a ridosso dell’udienza, o lo stesso giorno fissato per la stessa, con chiaro rischio di violazione del contraddittorio (si pensi alla parte – e al suo difensore - che, magari residente in luogo distante dall’ufficio giudiziario, faccia legittimo affidamento sulla modalità di svolgimento dell’udienza da remoto): la soluzione non potrà che essere un rinvio della prima udienza, doveroso anche ai sensi del novellato art. 101, comma 2, c.p.c. (sul quale si veda infra).
Maggiori problemi, come gia accennato, desta la generalizzata previsione del possibile svolgimento dell’udienza nelle forme cartolari.
A tale proposito l’art. 127 ter c.p.c. dispone, al primo comma, che “L'udienza, anche se precedentemente fissata, può essere sostituita dal deposito di note scritte, contenenti le sole istanze e conclusioni, se non richiede la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice. Negli stessi casi, l'udienza è sostituita dal deposito di note scritte se ne fanno richiesta tutte le parti costituite”.
Il secondo comma prevede che “Con il provvedimento con cui sostituisce l'udienza il giudice assegna un termine perentorio non inferiore a quindici giorni per il deposito delle note. Ciascuna parte costituita può opporsi entro cinque giorni dalla comunicazione; il giudice provvede nei cinque giorni successivi con decreto non impugnabile e, in caso di istanza proposta congiuntamente da tutte le parti, dispone in conformità. Se ricorrono particolari ragioni di urgenza, delle quali il giudice dà atto nel provvedimento, i termini di cui al primo e secondo periodo possono essere abbreviati”.
Anche in questi casi potrebbero quindi sorgere dei problemi di compatibilità tra i termini previsti per la costituzione delle parti nel rito del lavoro.
Qui non è tuttavia previsto un termine anteriore all’udienza per la comunicazione del provvedimento, e dunque non si pone il problema sopra menzionato con riferimento alla previsione dell’art. 127 bis c.p.c.
Ciononostante, laddove la prima udienza sia sostituita dallo scambio di note di trattazione già al momento del decreto di fissazione, evidentemente il termine non potrà essere quello di 15 giorni dalla comunicazione (rectius, per il convenuto, dalla notifica del ricorso), dovendosi rispettare i termini a difesa. Anche in questo caso, inoltre, è previsto che il termine per l’opposizione decorra per la sola parte costituita, con problemi analoghi a quelli visti supra.
I predetti problemi possono essere risolti laddove il giudice abbia cura di precisare che il termine per il deposito delle note decorre dalla data fissata per l’udienza “sostituita”, che rimarrà anche quella rispetto alla quale calcolare i termini di costituzione.
Altra possibile soluzione è che il giudice attenda la costituzione delle parti ed emetta allora il provvedimento di sostituzione dell’udienza, di fatto anche in questo caso facendo slittare la prima udienza di (almeno) 15 giorni.
In definitiva, il termine “in avanti” e non invece a ritroso consente soluzioni pratiche che possono ovviare ai problemi di coordinamento tra disciplina del rito e (nuova) disciplina dell’udienza .
Quanto all’opposizione della parte, va escluso che costituisca un “diritto di veto”, perché ciò è espressamente previsto solo per l’istanza congiunta, pertanto l’istanza potrà essere rigettata. Anche per tale ragione l’opposizione dovrà essere motivata, nonostante che dalla lettera della norma non risulti un obbligo di motivazione, bensì solo la facoltà di opporsi.
Rimane invece irrisolta (anzi, il problema nasce proprio come visto dalla previsione della riforma che estende la possibilità dell’udienza da remoto anche alle udienze che richiedano la presenza delle parti) la questione della (in)compatibilità dell’udienza cartolare con interrogatorio libero o tentativo di conciliazione.
In dottrina si è sostenuto, secondo noi giustamente, che tale compatibilità vada esclusa, precisando che il legislatore non abbia potuto riferirsi a detta ipotesi , e che pertanto bisognerebbe andare oltre ad un interpretazione letterale della norma, Ma in effetti l’udienza che prevede al presenza delle personale delle parti è per definizione quella in cui si svolge l’interrogatorio libero e in cui si tenta la conciliazione.
Il rischio è che ad essere disapplicata non sia la norma relativa all’udienza cartolare quanto la previsione dell’interrogatorio libero delle parti e del tentativo di conciliazione ai sensi dell’art. 420 c.p.c. (perché davvero, anche ammettendo, con buona dose di immaginazione, che il provvedimento di fissazione dell’udienza contenga una proposta conciliativa o delle domande rivolte alle parti a chiarimento dei fatti di causa, non si vede come le stesse possano tentare di avvicinare le rispettive confliggenti posizioni mediante lo scambio di note scritte).

5. Il nuovo art. 101, comma 2, c.p.c.

Altra disposizione della riforma di sicuro rilievo anche nell’economia del processo del lavoro è, come già accennato, quella di cui all’art. 101, comma 2, c.p.c., secondo cui “Il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti opportuni”-
La Relazione illustrativa allo schema del decreto attuativo raccorda la modifica dell’art. 101 c.p.c. alla finalità̀, espressa nella legge di delega, di “rafforzare le garanzie processuali delle parti nel nuovo “modulo” del rito ordinario (a trattazione scritta anticipata rispetto alla prima udienza di comparizione delle parti davanti al giudice), così come – laddove occorra – se vi sia necessità di ripristinare “la parità̀ delle armi” nel nuovo rito semplificato. È stato quindi inserito un nuovo periodo nel secondo comma che ribadisce il dovere del giudice di assicurare il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adottare i provvedimenti opportuni”.
Eppure la norma ha senz’altro portata generale, e, escludendo che si tratti di una inutile ripetizione del principio costituzionale di cui all’art. 111 Cost., va letta nel senso di valorizzare il contraddittorio non quale mero richiamo al rispetto delle norme processuali, bensì come questione di fatto da valutare in concreto .
Si tratta in effetti di una norma che dà rilievo extraformale al principio del contraddittorio, prescindendo la sua violazione dalla validità dei singoli atti.
Per effetto di tale disposizione si può inoltre sostenere che le ipotesi c.d. di rimessioni in termini automatica abbiano nuovo asilo.
In caso di violazione della norma, e quindi di violazione in concreto del contraddittorio, si configurerà un’ipotesi di nullità, che va riferita al provvedimento del giudice che non rilevi la violazione del contraddittorio, trattandosi pertanto di una nullità formale (pur per la violazione di un elemento extraformale, in quanto si configurerà quando l’atto non è pronunciato, o comunque non contiene gli elementi essenziali al raggiungimento dello scopo, che è quello di eliminare la del diritto di difesa).
Va quindi respinta la logica che si tratti di una nullità che viene integrata solo quando la parte prospetti in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere senza la lesione (sulla scia di Cass. Sezioni Unite, sentenza 30 settembre 2009, n. 20935): e difatti, come si è osservato, l’atto non può essere nullo in dipendenza di una (in)attività successiva al suo perfezionamento .
E si ritiene quindi debba anche essere respinto qualsiasi tentativo di leggere nella disposizione una valorizzazione del c.d. principio del pregiudizio effettivo , se non altro, tentando si semplificare il concetto che richiederebbe ben altro approfondimento, perché la lesione del diritto di difesa vi sarà in tanto in quanto vi sarà violazione in concreto del contraddittorio.
Ad ogni modo, come detto, la nuova norma potrà essere utile a temperare gli effetti, in concreto, del rigido sistema di preclusioni che caratterizza il rito del lavoro, qualora alla pur corretta applicazione delle norme consegua in concreto una violazione del contraddittorio.
La casistica applicativa della nuova disposizione, trattandosi di valorizzare un fatto in concreto, può ovviamente essere la più varia, rimanendo al giudice ampia discrezionalità nella valutazione dell’integrazione della relativa ipotesi.
In due ambiti, tuttavia, in particolare, è opportuno soffermarsi considerando il rapporto tra il principio del contraddittorio e il processo governato dalle preclusioni, come è in modo particolare il processo del lavoro: 1) quando è preclusa una difesa che deve tuttavia essere ammessa per “ragioni di contraddittorio”; 2) quando è ammessa una difesa allorché siano precluse le facoltà di replica dell’avversario (in caso di rilievo del c.d. fatto silente).
Sotto il primo profilo potranno essere ricondotti sotto lo “scudo” del nuovo art. 101, comma 2, c.p.c., principi pur già espressi dalla giurisprudenza di legittimità in materia di processo del lavoro.
Per un esempio riconducibile all’ipotesi sub 1 cfr. Cass. civ. sez. lav. 17 dicembre 2019, n. 33393, secondo la quale “Nel rito del lavoro, la produzione di documenti successivamente al deposito degli atti introduttivi è ammissibile solo nel caso di documenti formati o giunti nella disponibilità̀ della parte dopo lo spirare dei termini preclusivi ovvero se la loro rilevanza emerga in ragione dell'esigenza di replicare a difese altrui”.
E ancora Cass. 23 marzo 2009, n. 6969 secondo cui “Nel rito del lavoro, il convenuto ha l'obbligo, sancito a pena di decadenza dall'art. 416, terzo comma, c.p.c., di indicare specificamente nella comparsa di costituzione i mezzi di prova dei quali intende avvalersi e, in particolare, i documenti che deve contestualmente depositare, dovendosi ritenere possibile una successiva produzione, anche in appello, solo se sia giustificata dal tempo della formazione dell'atto ovvero dall'evolversi della vicenda processuale successivamente al ricorso ed alla memoria di costituzione”.
Sotto il secondo profilo si prenda ad esempio il caso di una busta paga quietanzata, depositata agli atti unitamente ad altre firmate solo per ricevuta: di fronte al rilievo del pagamento quale fatto silente non valorizzato negli atti di causa, la controparte deve essere messa in grado di potersi difendere provando ad esempio che la quietanza era relativa al pagamento con assegno che era però scoperto.
In realtà la giurisprudenza di legittimità in casi analoghi, fino a non molti anni fa, tendeva a limitare lo stesso potere di rilievo officioso (cfr. Cass. 22 giugno 2007, n. 14581, pur non relativa alla materia del lavoro. Le pronunce più recenti ammettono invece con maggiore apertura il rilievo dell’eccezione in senso lato basata su un fatto non allegato dalla parte purché “risultante ex actis” ma si pone in questo caso il problema del necessario rispetto del contraddittorio, che può oggi trovare risposta e disciplina nella nuova disposizione in commento. Vale a dire: non si preclude la difesa “tardiva” che tardiva non è, si risolve il problema del contraddittorio riaprendo alle facoltà difensive per la controparte.
Il realtà il tema si intreccia con i poteri di rilievo officioso, per i quali già soccorreva il disposto dell’art. 101, comma 2, c.p.c., come risultante dalla riforma di cui alla legge 69/2009. ma adesso è chiaro che il contraddittorio deve essere preservato e oggetto di tutela anche in ipotesi che sia una delle parti a sollecitare il rilievo officioso dell’eccezione.

6. Le modifiche riguardanti l’appello

Altre modifiche concernenti direttamente il processo del lavoro sono quelle relative al processo di appello, in realtà dovute alla replica, all’interno degli artt. 434 e 436 bis, delle modifiche introdotte (anche) per il rito ordinario di cognizione.
Vale pertanto quanto anticipato in merito alla necessità di affrontare tali argomenti in altra sede concernente più in generale la novità riguardante tanto il processo ordinario che quello del lavoro.
Limitandoci quindi a meri cenni possiamo rilevare, quanto alla motivazione dell’appello, che la novella da una parte ha razionalizzato la previsione normativa adeguandosi all’interpretazione già offerta dalla Corte di cassazione a sezioni unite, con il superamento dell’idea che l’appello debba contenere un “progetto alternativo di pronuncia” (in questo senso va letto il superamento del concetto di “modifica alla ricostruzione dei fatti” da offrire al giudice del gravame e la sua sostituzione con il più pertinente rifermento alle “censure proposte”), dall’altra ha ulteriormente inasprito gli oneri di forma contenuto a carico dell’appellante, prevedendo, in linea con il principio espresso in generale dal novellato art. 121 c.p.c., che i motivi di appello vadano esposti in modo chiaro, sintetico e (in aggiunta a quanto già desumibile dal predetto art. 121 come novellato) specifico.
Anche per l’appello del rito del lavoro è stato inoltre abrogato l’istituto del filtro (secondo la previgente disciplina degli artt. 348 bis e ter, richiamati dall’art. 436 bis), sostituito da una disciplina ad hoc della fase decisoria per il caso che l’impugnazione sia inammissibile o manifestamente infondata.
Infine, risente delle modifiche previste per l’appello del rito ordinario la disciplina dell’inibitoria, seppur limitatamente alle sentenze che pronunciano condanna a favore del datore di lavoro (stante il rinvio contenuto nell’art. 431, comma 5, c.p.c., agli artt. 282 e 283, quest’ultimo oggetto di riforma), rimanendo inalterata la disciplina dei primi tre commi dell’art. 431 c.p.c. relativamente alle sentenze di condanna a favore del lavoratore.

 

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