TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA

Durante la gestazione della legge sul nuovo processo del lavoro ci furono, anche nella Cgil, molte perplessità su diversi aspetti che non si volevano consegnare alla giustizia togata, ritenuta all'epoca, correva l'anno 1973, inadeguata a dirimere i conflitti di lavoro, specie quelli collettivi e in particolare i comportamenti antisindacali del datore di lavoro.

Era l'epoca del sindacato confederale unitario, dei contratti collettivi di categoria leader, a efficacia praticamente generalizzata, delle commissioni miste di interpretazione e applicazione dei contratti collettivi, di una conciliazione sindacale che si affiancava autorevolmente a quella amministrativa ed a quella giudiziale.

Le perplessità furono poi superate perché prevalse l'idea che solo un rinnovato processo del lavoro, gratuito, veloce e affidabile avrebbe reso più forte il momento preventivo della conciliazione sindacale e ancor prima la stessa azione sindacale.

La magistratura, peraltro, si mostrò attenta alle dinamiche intersindacali ed intervenne con accortezza per reprimere solo le anomalie più vistose.

A tale esito virtuoso contribuì lo spirito del tempo ed una sensibilità della magistratura alle tematiche della sotto protezione e delle diseguaglianze cui anche il nuovo processo del lavoro intendeva sopperire. Così il processo del lavoro, anche attraverso il particolare procedimento previsto per la repressione della condotta antisindacale, ha svolto una fondamentale funzione per la effettività della tutela dei diritti, sia individuali che collettivi, in primo luogo garantendo effettività ed applicazione capillare dei diritti sanciti nello Statuto dei lavoratori e acquisiti dalla contrattazione collettiva.

La situazione attuale è profondamente diversa: alla moltitudine dei contratti collettivi di categoria, prossimi all'incredibile numero di mille, si affianca una moltitudine di sedi conciliative per lo più extra sindacali ed un processo del lavoro che ha perso progressivamente tutte le sue caratteristiche che lo avevano reso uno strumento prezioso, a fianco dell’azione sindacale, per garantire il rispetto dei diritti del lavoro. Non è più un processo gratuito, e soprattutto per la sistematica condanna alle spese del lavoratore soccombente, è diventato così costoso per i lavoratori da indurli spesso a rinunciare a far valere i loro diritti davanti ad un giudice. Poi ha perso la fondamentale caratteristica dell’oralità, che ne garantiva velocità e consentiva al giudice di acquisire più consapevolezza dei reali termini della controversia, insomma lo portava a dover stare più vicino alle parti del processo. Adesso è diventato un processo sempre più scritto, asettico, e inevitabilmente più lungo. Senza contare il fatto che da più parti nel paese si segnalano situazioni di mancata copertura dei vuoti nelle sezioni lavoro dei tribunali che, inevitabilmente, portano ad un forte allungamento della durata dei processi, che in molti tribunali oramai durano degli anni. In generale non si può non registrare con preoccupazione un mutamento dell’atteggiamento della magistratura, sempre più attenta alle statistiche di efficienza più che ad una giustizia di qualità, prossima alla dimensione sociale del caso.

Occorre dunque agire simultaneamente su più piani poiché solo così si può invertire una tendenza di marcato degrado.

Occorre innanzitutto una legge sulla rappresentanza sindacale in grado di conferire un diverso peso specifico ai vari contratti collettivi che insistono nella medesima categoria, anche al fine di dare applicazione certa all’art. 36 Cost. Anche per ricostruire un quadro certo di referenti normativi alla stessa magistratura che oggi spesso si deve occupare più di capire quale contratto collettivo sia applicabile che della fondatezza della richiesta avanzata dal lavoratore.

Su questo punto, assolutamente cruciale, la CGIL ha dedicato addirittura una proposta di legge di iniziativa popolare, corredata da milioni di firme (Titolo II della Carta dei diritti universali del lavoro).

Occorre anche una legge che ripristini le centralità del contratto a tempo indeterminato, operando un vero e proprio disboscamento della giungla dei tipi contrattuali precari.

Occorre, poi, che si ridia autorevolezza alla conciliazione sindacale, valorizzando e facendo rispettare, sia da parte delle organizzazioni sindacali, sia da parte dei giudici, le regole poste dalla Cassazione sulla effettività dell’assistenza al lavoratore, facendo applicare, e pretendendo che vengono rispettati, i requisiti della effettività dell’assistenza sindacale, valorizzando come dato essenziale l’eventuale iscrizione del lavoratore al sindacato che presta l’assistenza, onde evitare che lavoratori pur iscritti ad un sindacato, si trovino in balia di “conciliatori di professione” che incontrano solo al momento della firma.

Ma non solo la conciliazione sindacale deve essere sostenuta nel suo rigore, ma deve anche essere valorizzata, e quindi resa competitiva con le tante altre sedi di conciliazione, estendendo ad essa vantaggi e opportunità che il legislatore ha riservato solo ad altri sedi conciliative. Come, ad esempio, la possibilità di accedere alla NASPI, che oggi è riservata solo alle risoluzioni consensuali frutto di accordi raggiunti avanti alla commissione di conciliazione istituita presso l’ITL, o i vantaggi fiscali previsti per le somme erogate in sede di mediazione per le controversie civili.

In tal modo si potrebbe immaginare una osmosi tra queste regole sindacali e quelle proprie delle altre sedi; così come si potrebbe immaginare la presenza di un sindacalista nelle sedi conciliative extra sindacali ed ancor prima un momento preliminare di incontro tra sindacalista e lavoratore, per l’illustrazione di tutti i termini della questione e per una attenta ponderazione del caso.

Occorre, poi, finalmente bloccare (e se possibile restringere) la deriva costituita dalla proliferazione delle sedi conciliative extra sindacali (nelle commissioni di certificazione, nelle Università, nei consigli dei consulenti del lavoro…), preservando quelle che assicurino una effettiva assistenza al lavoratore nella delicata fase della rinunzia o transazione sui propri diritti.

In questo senso, la CGIL ha espresso e continuerà ad esprimere tutta la propria contrarietà alla recente introduzione, da parte della riforma Cartabia, della negoziazione assistita da avvocati (e consulenti del lavoro) alle controversie lavoristiche.

Infine, occorre una riforma del processo del lavoro che ripristini la gratuità per ampie fasce di lavoratori, alzando notevolmente la soglia reddituale di esenzione dal pagamento del contributo unificato, eliminando la norma sul raddoppio dello stesso e con una più diffusa compensazione delle spese di soccombenza da concedere anche nel caso di elementi probatori parzialmente contrastanti, secondo l'insegnamento, per vero poco rispettato, della Corte Costituzionale (v. Corte cost. n. 77/2018).

L'ossessione statistica prevista dalla riforma Cartabia dovrebbe essere bilanciata sulla base di altre variabili concomitanti, a cominciare dalla difficoltà del caso e della fase istruttoria onde dare maggior peso alla qualità delle controversie e delle conseguenti decisioni.

Sarebbe opportuno realizzare, al di là del disposto normativo, in modo periodico un incontro annuale tra magistrati, avvocati, vertenzieri e sindacalisti sui problemi del lavoro che a livello territoriale sono giunti o sono in procinto di giungere nelle aule giudiziarie. Forse in tal modo si riuscirebbe a colmare un divario oramai cospicuo tra magistratura e mondo del lavoro.

In definitiva il rapporto spesso problematico tra legge, contratto collettivo e controversia individuale può essere risolto con una diversa consapevolezza e maturazione da parte di tutti gli attori del proscenio.

D’altra parte, solo un processo del lavoro riportato alle sue ragioni originarie può sortire effetti benefici non solo rispetto alla conciliazione, anch’essa ricondotta alla trasparenza e autorevolezza, bensì anche alle relazioni sindacali che, in un clima di rinnovate certezze, potrebbe ritrovare lo spessore di un tempo e ripristinare l’effettività di un ordinamento intersindacale degno di questo nome.

 

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