Testo integrale con note e bibliografia

Con il D.M. del 12 marzo 2021, il Ministro Cartabia ha nominato la Commissione per l’elaborazione dei progetti di riforma del diritto civile.

Compito della Commissione è quello di proporre, partendo dal d.d.l. già all’esame della Commissione Giustizia del Senato, una serie di interventi in materia di contenzioso civile e strumenti alternativi, con l’obiettivo di ridurre i tempi dei processi ed ottimizzare l’amministrazione della giustizia.

Si tratta, come noto, di temi regolarmente all’ordine del giorno in seno al dibattito politico, tanto che pressoché ciascun Governo (per non dire ciascun partito) fa, della “riforma della giustizia”, un mantra ricorrente nelle proprie dichiarazioni programmatiche.

Basti pensare che il solo processo penale, dal 2008, è stato interessato da una trentina di provvedimenti legislativi che hanno riguardato, in maniera più o meno incisiva, tutti i libri del codice di procedura penale.

Ciò, tuttavia, non ha impedito che il clima di sfiducia e scollamento tra le istanze della collettività e le aspettative nei confronti del sistema giudiziario, si spingesse fino agli odierni, preoccupanti livelli.

Il che rappresenta, sul piano sociale, un ulteriore disvalore laddove il sistema giudiziario incarni (anche) funzioni di garanzia rispetto all’oggettivo rilievo di interessi e beni implicati (salute, dignità, sostegno economico, qualità della vita, ecc...).

E’ senz’altro il caso del processo del lavoro; che, al pari del rito ordinario, non sfugge oggi alle citate criticità, sebbene la riforma del 1973 abbia contribuito in maniera preponderante a ridurne l’onerosità, ispirandolo a criteri di snellezza e semplicità.

Nondimeno, se già il progressivo “smantellamento” della disciplina sostanziale ha ridotto sensibilmente l’alveo di tutele cui il lavoratore può ambire (spesso dissuadendolo dal fare causa), anche la dinamica processuale tende sempre più spesso a distaccarsi dai princìpi di chiovendiana memoria (oralità, immediatezza, concentrazione) cui il rito in questione dovrebbe ispirarsi; per non parlare poi dell’ “onerosità”, considerata la frequenza con cui il lavoratore, in caso di soccombenza, viene condannato anche alla rifusione delle spese di lite.

Insomma, che si tratti di intervenire in riforma di uno specifico settore ovvero dell’intero sistema Giudiziario, è chiaro che ciò debba avvenire non attraverso il ricorso sistematico ad interventi legislativi “purchessia”, magari sull’onda dell’“emotività” del momento, ma privi di una progettualità ben definita; quanto piuttosto a provvedimenti mirati, strutturali e rispettosi delle prerogative costituzionali, cui senz’altro non può essere consentito derogare per meri fini propagandistici.

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Ciò detto, è (soprattutto) sulla base di questi auspici e premesse, che devono essere valutate le proposte di intervento formulate dalla Commissione, e trasmesse al Ministro nella relazione del 24 maggio u.s.

Vengono quindi illustrate, di seguito, sia le misure espressamente riferite al processo del lavoro, che quelle dettate per il processo ordinario, ma comunque applicabili anche al rito del lavoro.

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1. Gli interventi riferiti al processo del lavoro

La novità più importante consiste senz’altro nel superamento del Rito Fornero, per quanto concerne l’impugnazione giudiziale dei licenziamenti intimati successivamente all’emanando decreto legislativo, cui dovrà applicarsi la disciplina vigente (cioè il rito previsto dagli artt. 409 e seguenti c.p.c.) anche laddove debbano risolversi questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro.

Inoltre, alla trattazione delle cause sui licenziamenti dovrà attribuirsi carattere prioritario, prevedendo altresì che laddove sia formulata domanda di reintegrazione in servizio, vengano riservati specifici giorni di calendario per la fissazione delle relative udienze.

Insomma, al superamento di un rito (il Fornero) caratterizzato, quantomeno nella c.d. “fase sommaria”, da una trattazione più snella e rapida (proprio in ragione della sensibilità delle questioni in gioco), fa da contraltare l’impegno ad una calendarizzazione più “concentrata”, quantomeno nelle ipotesi in cui venga formulata domanda di reintegrazione in servizio. In tal senso, si prevede che i dirigenti degli uffici giudiziari vigilino sull’osservanza di tale disposizione.

Viene poi specificamente prevista, per quanto riguarda i licenziamenti discriminatori, la possibilità di ricorrere, alternativamente, al procedimento ex art. 414 c.p.c., ovvero ai riti speciali di cui agli artt. 38 D. Lgs. 198/2006 (“Codice delle pari opportunità”) e 28 D. Lgs. 150/2011. Resta inteso che la proposizione dell’azione nell’una o nell’altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente con un rito diverso.

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Sempre in tema di licenziamenti, si prevede che le azioni relative al licenziamento del lavoratore socio di cooperativa siano parimenti assoggettate al rito di cui agli artt. 409 e seguenti c.p.c., anche laddove, contestualmente al rapporto di lavoro, venga a cessare quello associativo.

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Ancora, si ripropone la possibilità di avvalersi della conciliazione di cui all’art. 411 comma 1 c.p.c., prevedendo che possa essere esperita direttamente dalle parti, assistite da un difensore, e che il Giudice dichiari esecutivo il relativo verbale su istanza della parte interessata.

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Da ultimo, si prevede l’applicabilità delle misure coercitive di cui all’art. 614-bis (riferite a provvedimenti di condanna dell’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro) anche alle controversie di cui all’art. 409 c.p.c.

La proposta è senz’altro da accogliere con favore, dal momento che renderebbe più incisiva e rapida l’esecuzione del titolo (scoraggiando il debitore dall’assumere atteggiamenti dilatori) e, quindi, inciderebbe anche sulla deflazione del contenzioso

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2. Gli interventi riferiti al processo civile ordinario (ma applicabili anche al rito del lavoro)

Anzitutto, si prevede la possibilità di ricorrere agli istituti di mediazione e negoziazione assistita anche nelle controversie di lavoro, con gli effetti previsti dall’ultimo comma dell’art. 2113 c.c. (quindi da equipararsi alle conciliazioni in “sede protetta”), ma in ogni caso senza che costituiscano condizione di procedibilità per proporre l’azione giudiziale.

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Vengono poi ridefiniti compiti e prerogative del cosiddetto “Ufficio per il processo”, prevedendosi l’inserimento (anche presso le Corti d’Appello e di Cassazione) di personale a tempo determinato con il compito di coadiuvare uno o più giudici ordinari e, sotto la direzione e il coordinamento di questi ultimi, compiere tutti gli atti preparatori utili per l’esercizio della funzione giurisdizionale. Si va, in via esemplificativa, dallo studio dei fascicoli, all’approfondimento giurisprudenziale e dottrinale, alla predisposizione di minute, ad attività di carattere prettamente amministrativo (come la verbalizzazione delle udienze).

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Viene introdotto (con l’art. 362-bis cpc) l’istituto del “Rinvio pregiudiziale in Cassazione”, con l’intento di favorire un’applicazione tempestiva della funzione “nomofilattica” della Suprema Corte, rispetto a questioni di puro diritto del tutto nuove (quindi non ancora affrontate dalla giurisprudenza di legittimità), che evidenzino serie difficoltà interpretative e appaiano suscettibili di innescare numerose controversie.

In presenza (tassativa) di tali presupposti, il Giudice di merito ha la facoltà di sottoporre, con ordinanza, la questione alla Suprema Corte, assegnando alle parti un termine non superiore a 40 giorni per il deposito di memorie contenenti osservazioni in diritto e sospendendo il processo sino alla pronuncia della Cassazione. Quest’ultima, ricevuta l’ordinanza, può (in persona del Primo Presidente), entro 90 giorni, dichiarare inammissibile la richiesta qualora non ricorrano i citati presupposti.

 

In caso contrario, la questione viene assegnata alle Sezioni Unite ovvero alla Sezione tabellarmente competente, affinché (all’esito di un procedimento da svolgersi in pubblica udienza) venga enunciato il principio di diritto riferito alla vicenda in esame; quest’ultimo sarà poi vincolante non solo nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione, ma anche, laddove il processo si estingua, nel nuovo procedimento instaurato con la riproposizione della domanda.

La proposta presenta, astrattamente, aspetti sia positivi che negativi.

Da un lato, infatti, tale strumento potrebbe rappresentare un valido rimedio per dirimere in tempi tendenzialmente “ragionevoli” (quantomeno, senza dover arrivare al terzo grado di giudizio) questioni interpretative particolarmente ostiche; che per inciso, in ambito giuslavoristico si presentano con una certa frequenza, visti i continui interventi del legislatore. D’altro canto, il rischio più evidente è senz’altro quello di un sostanziale abuso dell’istituto, cui i Giudici potrebbero essere tentati di fare ricorso al mero fine di sgravarsi da procedimenti particolarmente “spinosi”, finendo così per appesantire ed intasare sia l’operato dei Tribunali di merito (dato che i procedimenti interessati verrebbero sospesi), che il lavoro della Cassazione.

L’auspicio, in tal senso, è che il legislatore intervenga (quantomeno) per definire con maggiore chiarezza i presupposti in presenza dei quali il Giudice di merito ha facoltà di rimettere le questioni alla Corte, in modo da ridurre il più possibile il rischio di valutazioni arbitrarie o eccessivamente discrezionali.

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Si prevede la possibilità di “stabilizzare”, quantomeno rispetto a determinate fattispecie, il ricorso alla trattazione “da remoto” o tramite note scritte, imposta e sdoganata dall’emergenza epidemiologica.

Particolarmente significativa, nel merito, è la proposta di consentire l’escussione dei testimoni o il loro confronto da remoto. Ciò avverrebbe presso un’apposita postazione allestita nel tribunale di residenza della persona da escutere, in presenza di un cancelliere che provveda all’identificazione della stessa e ad assicurare la regolarità del collegamento audiovisivo a distanza con il giudice, le parti e i rispettivi legali.

Inoltre viene estesa, a tutto il processo civile, la disposizione (attualmente prevista per il solo rito del lavoro) che prevede la sostituzione della verbalizzazione con la registrazione audio e/o video dell’udienza, con conseguente abrogazione dell’art. 422 c.p.c.

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Da ultimo, va menzionata anche la proposta di codificare, quantomeno in termini generali, il principio di “chiarezza e sinteticità degli atti processuali di parte e dei provvedimenti giudiziali”. Va detto che, mentre rispetto a questi ultimi potrebbe tutt’al più porsi un problema di adeguatezza delle motivazioni (comunque suscettibile di specifica doglianza in sede di impugnazione), il messaggio parrebbe (neanche troppo velatamente) rivolto soprattutto a quei professionisti la cui penna, spesso, è pericolosamente “solleticata” sino al limite della graforrea.

E sebbene si preveda espressamente che la violazione di tale principio non comporti nullità o invalidità degli atti, e neppure rilevi ai fini della liquidazione delle spese, è piuttosto chiaro l’invito a non abusare eccessivamente della “soglia di attenzione” del Giudice.

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3. Le proposte di “Comma 2 - Lavoro è dignità”

In ambito strettamente giuslavoristico, e nell’ottica di meglio perseguire le finalità che il processo del lavoro (nella sua accezione “sociale”) si propone, non possono poi trascurarsi le proposte di riforma avanzate dall’associazione “Comma 2 – Lavoro è dignità”, costituita nel giugno del 2017 e composta prevalentemente, ma non esclusivamente, da operatori del diritto che operano nell’ambito del diritto del lavoro a difesa della “parte debole”.

Già in passato, Comma 2 è stata spesso consultata in audizioni presso Camera e Senato, in merito ad iniziative legislative sulle materie di sua competenza, apportando senz’altro, in alcuni casi, un contributo costruttivo.

Ecco perché, proprio in ossequio a questo spirito, l’associazione ha elaborato alcune proposte di riforma riguardanti la giustizia civile, nei seguenti ambiti:

· Estensione dell’art. 614. Bis c.p.c. alle controversie di lavoro;
· Rapporti tra cooperativa e socio lavoratore (artt. 409 c.p.c., 32 L. 183/2010 e 5 L. 142/2001;
· Spese di lite (art. 92 c.p.c.)
· Esenzione dal pagamento del contributo unificato per le cause di lavoro e previdenza sociale;
· Morte da lavoro; risarcimento richiesto dagli eredi
· Divieto di procedere a licenziamenti (individuali e collettivi) per motivo oggettivo, ove sia possibile far
ricorso ad ammortizzatori sociali che garantiscano la conservazione del posto di lavoro.

Quanto alle prime due questioni, come visto, v’è una sostanziale convergenza con le proposte formulate dalla Commissione per l’elaborazione dei progetti di riforma. In particolare:

· la convergenza è totale rispetto all’estensione degli “astreintes” alle controversie di lavoro, considerato peraltro che lo stesso Governo, nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ha affermato la natura “particolarmente utile” di tali istituti “ove vengono in rilievo titoli esecutivi diversi da un provvedimento di condanne o nel caso in cui la misura di coercizione indiretta non sia stata richiesta al giudice della cognizione;
· Quanto invece al licenziamento del socio lavoratore, Comma 2 segnala la difficoltà di raccordo tra l’art. 2533 c.c. (che fissa in 60 giorni il termine per l’opposizione, presso il tribunale, alla delibera di esclusione da socio) e l’art. 6 della L. 604/66. Ragion per cui, l’Associazione propone di aggiungere, al comma 3 dell’art. 32 L. 183/2010, un’ulteriore lettera d), che preveda l’applicazione del termine di 60 giorni “al recesso della cooperativa e in tutti i casi di esclusione del socio lavoratore”.
Rimangono però, come detto, ulteriori problematiche di non poco conto.

A) Spese di lite

 

Sebbene la sentenza della Corte Costituzionale n. 77 del 2018 abbia dichiarato l’illegittimità dell’art. 92 co. 2 c.p.c. nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti anche “qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”, tale assunto è rimasto privo di riscontro pratico; oggi, infatti, la norma consente ancora la compensazione delle spese soltanto per ipotesi tassative, esponendo concretamente il lavoratore al rischio di una pesante condanna alle spese, nell’ordine di svariate migliaia di euro.

E se da un lato ciò ha svolto una funzione deflattiva del contenzioso, dall’altro rischia sempre più di tradursi in un’irragionevole compressione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost, nella misura in cui il lavoratore, temendo di incorrere in un ingente pregiudizio economico, scelga di rinunciare a coltivare un diritto.

Senza contare che, spesso e volentieri, si parla di ipotesi di soccombenza sostanzialmente “incolpevole”, in quando determinata da fattori che né il lavoratore, né il suo legale possono prevedere ex ante (su tutti, l’esito dell’istruttoria testimoniale).

Ecco perché Comma 2 propone di introdurre, all’art. 92 c.p.c., il seguente quarto comma: “Il giudice può altresì compensare le spese, parzialmente o per intero, in ragione delle particolari condizioni personali delle parti o della difficoltà oggettiva, al momento dell’instaurazione del giudizio, di conoscere rilevanti elementi di fatto nell’esclusiva disponibilità della controparte, o se ricorrono altri giusti motivi”.

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B) Contributo unificato

Atteso che l’introduzione del contributo unificato (seppur in misura ridotta) per le cause di lavoro costituisce un ulteriore ed irragionevole impulso “dissuasivo” (rispetto alla volontà di agire in giudizio) nei confronti della parte socialmente più debole, Comma 2 ne propone l’esclusione dall’ambito delle “controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego”.

Ciò anche in ragione di quanto previsto dall’art. 41 S.L. (rubricato “esenzioni fiscali”), che così dispone: “Tutti gli atti e documenti necessari per l’attuazione della presente legge e per l’esercizio dei diritti connessi, nonché tutti gli atti e i documenti relativi ai giudizi nascenti dalla sua applicazione sono esenti da bollo, imposte di registro e di qualsiasi altra specie e da tasse.”

Si tratta, peraltro, di una disposizione mai abrogata né modificata. ***

C) Morte da lavoro: risarcimento richiesto dagli eredi

Ad oggi, gli eredi che intendano agire per il risarcimento del danno da morte sul lavoro, sono costretti ad incardinare, per il medesimo fatto, due diversi giudizi, innanzi a giudici funzionalmente differenti: iure proprio, innanzi al giudice civile e iure hereditatis, innanzi al giudice del lavoro.

Il che è senz’altro irrazionale tanto sul piano giuridico, quanto su quello sostanziale.
Pertanto, Comma 2 propone la previsione di un unico procedimento da instaurarsi innanzi al giudice del lavoro, aggiungendo, all’art. 409 c.p.c., il seguente numero 7: “risarcimento, a qualsiasi titolo richiesto dagli aventi diritto, per infortunio sul lavoro o in occasione del medesimo o per malattia professionale”.

D) Limitazione della facoltà di licenziamento per motivo oggettivo

L’abuso del ricorso a provvedimenti espulsivi anche laddove non ne sussistano (pienamente) i presupposti, è una patologia che prescinde dalla sussistenza di circostanze “eccezionali”, quali una pandemia. In altre parole, anche in circostanze “normali” il lavoratore ha diritto di essere tenuto indenne dal rischio di incorrere in licenziamenti disposti con finalità strumentali, o comunque sorretti da motivazioni inidonee a giustificare una sanzione espulsiva.

Ciò a maggior ragione con riferimento ai licenziamenti disposti per ragioni oggettive, considerato che la disciplina introdotta dal D. Lgs. 23/2015 ha sostanzialmente azzerato, in tali fattispecie, la possibilità di ottenere in giudizio la reintegrazione in servizio, seppur a fronte di una declaratoria di illegittimità del recesso.

Per questa ragione, Comma 2 propone di precludere tout court la possibilità di fare ricorso a licenziamenti collettivi ed individuali per motivi oggettivi, in tutti i casi in cui il datore di lavoro possa fare ricorso ad ammortizzatori sociali idonei a preservare il rapporto di lavoro.

 

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