testo integrale con note e bibliografia
1. Inquadramento del ripescaggio tra liberalizzazione delle scelte economiche del licenziamento e abuso di potere. – L’assenza di un dato normativo espresso e le tante e diversificate posizioni espresse dalla dottrina e dalla giurisprudenza in materia sono il tratto distintivo del repêchage. Queste sono le ragioni per cui si è creato un intenso dibattito, mai sopito, che ha preso le mosse dalla stessa esistenza di un onere specifico in capo al datore di lavoro che proceda a un licenziamento per giustificato motivo oggettivo (d’ora in poi gmo). 
La prospettiva del ripescaggio costituisce una via obliqua di elaborazione giurisprudenziale, utile al giudice del caso concreto per valutare la genuinità della scelta imprenditoriale ed escludere la riconducibilità dell’atto estintivo del rapporto ad una condotta arbitraria e/o abusiva. 
Si tratta di una tematica complessa, non tanto per il profilo dell’an, che ormai sembra fuori discussione – nonostante la ricchezza di suggestioni dovute al fondamento meta-positivo che lo connota – quanto per il quomodo, che sembra non riuscire a raggiungere la piena maturità, proprio per le connessioni con la ricostruzione del fatto alla base del licenziamento. Negli anni, l’incertezza della matrice ha reso necessarie continue operazioni di assestamento ermeneutico, idonee a definire meglio i contorni del principio ai fini dell’assolvimento della prova, anche alla luce del dialogo a distanza che si è registrato tra Corte di legittimità e Giudice delle leggi. 
È fuor di dubbio, infatti, che il diritto vivente – grazie a pronunciamenti unanimemente favorevoli di ogni ordine e grado – ha prima dato vita e poi alimentato il repêchage, inserendolo a pieno titolo nel novero degli ‘adempimenti’ probatori che ricadono sul datore di lavoro. Meno limpido, invece, è apparso il percorso di consustanzialità tra onere di dimostrazione delle circostanze sul fatto da cui origina il licenziamento e onere probatorio sullo strumento indiretto del repêchage, considerata l’ampiezza del ricollocamento che inevitabilmente condiziona l’istituto del licenziamento per gmo. 
Tale ultima fattispecie si incastra ontologicamente nell’operazione di bilanciamento tra iniziativa economica e stabilità del rapporto di lavoro costituendone un “distillato” , in cui il grado di cedevolezza della libertà datoriale di dimensionare l’impresa si misura su tre fattori valutativi: il riassetto organizzativo ritenuto utile per la gestione dell’impresa, il nesso causale tra questo e l’atto di estromissione del prestatore di lavoro e, infine, l’impossibilità di ‘recupero’ del licenziando. Mentre i primi due fattori sono strettamente rimessi alla valutazione imprenditoriale – soprattutto a seguito della liberalizzazione delle ragioni economiche e produttive – il terzo costituisce, in qualche modo, il termometro esterno dell’effettiva sussistenza di circostanze non pretestuose , che abbiano oggettivamente indotto a sopprimere il posto di lavoro. 
Da un lato, la dimostrazione della connessione eziologica tra scelta organizzativa inerente all’attività produttiva e soppressione del posto – ‘coperta’ dallo scudo della insindacabilità divisata dall’art. 41 Cost. – è sottoposta al controllo giudiziale in merito all’effettività e non pretestuosità dell’atto di recesso: il mancato collegamento causale si tradurrebbe in abuso del potere datoriale. Dall’altro, configurare l’atto estintivo come atto di extrema ratio costituisce una sorta di ‘prova del nove’, utile a verificare la genuinità della condotta datoriale affinché non cada nel cono d’ombra del divieto di abuso di potere. Come dire – per usare le parole della Consulta – che arbitrio ed extrema ratio sono due dimensioni incompatibili e per questo procedono simbioticamente, per cui la seconda esclude il primo. Questa è la logica retrostante al cd. onere di repêchage ed è su questo crinale che la circostanza di riuscire a provare l’impossibilità di reimpiegare altrove il prestatore di lavoro costituisce palesemente un indice sensibile della effettiva genuinità dell’atto e, a latere, della volontà di evitare, con ogni mezzo, il licenziamento dettato dalle ragioni dell’impresa.
2. Il peso crescente del repêchage nella giurisprudenza e la relazione con le tutele. – Il tipo di valutazione enucleato, senza interferire con la discrezionalità tipica datoriale, identifica un passaggio essenziale, con cui misurare le ragioni giustificatrici dell’atto estintivo del rapporto di lavoro e mettere in luce l’inevitabilità della scelta operata. Neppure nel rinnovato quadro sulle ragioni del licenziamento per gmo – indirizzato a rendere obiettiva la nozione per valorizzare le opzioni datoriali di ottimizzazione dell’impresa – l’esperimento della ricollocazione ha perso centralità. Anzi, negli ultimi anni il repêchage ha ottenuto progressivamente un peso specifico incrementale , come dimostrano alcuni passaggi della Consulta, forse anche quale meccanismo di replica alla preferenza degli ultimi legislatori per la progressiva prevalenza della regola della tutela indennitaria su quella reintegratoria. 
In particolare, ha acquisito centralità il suo ruolo, interno o esterno, nella perimetrazione del fatto che è all’origine del recesso per gmo, per una serie di cambi di direzione, probabilmente dettati da ragionamenti condizionati dalle conseguenze rimediali del licenziamento, più che dall’esegesi letterale delle norme. 
In prima battuta, la sequenza di novelle legislative ha mirato ad escludere la tutela reintegratoria per il gmo, disarticolando il regime delle tutele a fronte dell’illegittimità del licenziamento. Successivamente, il giudice delle leggi ha svolto una operazione di ricucitura e riallineamento tra le tutele, riassegnando uno spazio dedicato a quella reale per entrambe le ipotesi (soggettiva e oggettiva) di licenziamento illegittimo per insussistenza del fatto. Infine, sempre la Consulta ha fornito una lettura restrittiva del fatto nel gmo, escludendo il ripescaggio quale elemento che “non si identifica con tale fatto restandone concettualmente e temporalmente ultroneo” : la nuova dislocazione del repêchage si pone su una linea distonica sia rispetto ai precedenti della stessa Corte e alla fisionomia ‘omnicomprensiva’ riconosciuta dal diritto vivente in oltre cinquant’anni di applicazione , ma raccoglie e mette a frutto la scelta legislativa di una maggiore articolazione delle tutele.
La dinamica querelle è ancora in corso e coinvolge, in prima linea, statuizioni non univoche anche del Giudice delle leggi, il quale tuttavia segna, con chiarezza, un prima ed un dopo l’art. 18, l. n. 300/1970, che influenza la collocazione sistematica del concetto di repêchage, operando per questa via una torsione logica di non poco momento. 
Lo stesso concetto giuridico, nell’art. 18, l. n. 300/1970 post-Fornero, è classificato all’interno del fatto – unitamente alle ragioni esplicitate nell’art. 3, l. n. 604/1966 – inserendolo apertis verbis tra i presupposti da raccordare all’effettività della scelta organizzativa del datore di lavoro o, ancora, quale contenuto strutturale del nesso causale tra scelte organizzative e recesso . Successivamente, con riferimento al d. lgs. n. 23/2015, la Consulta – pur confermando il ruolo maieutico del repêchage nel disvelare l’eventuale carattere non effettivo, ovvero pretestuoso, della scelta datoriale (punto 5.3., cpv. 2) e valorizzando la connotazione di extrema ratio (punto 16.2) – lo ‘ripone’ fuori dalla ricostruzione del fatto “materiale” posto alla base del recesso per gmo, attribuendovi conseguenzialmente la misura indennitaria . L’operazione ermeneutica ha un impatto rilevante sul gmo, che, da un lato, conquista il rimedio ripristinatorio anche nel d.lgs. n. 23/2015 e, dall’altro, subisce un’importante amputazione dell’accezione tradizionalmente accolta. D’altra parte, se è vera l’equazione portata dalla Corte secondo cui fatto insussistente = licenziamento pretestuoso (punto 15.6), allora il rimedio ripristinatorio troverà applicazione solo se il dipendente licenziato, con onere a proprio carico, dimostri l’equazione, come per la fattispecie discriminatoria . 
All’esito di questa giurisprudenza, si ha un’ulteriore moltiplicazione dei rimedi sanzionatori da applicare ratione temporis e una metamorfosi del ripescaggio, che nel passaggio dallo Statuto dei lavoratori al Jobs Act vede alleggerire la misura sanzionatoria conseguente alla sua violazione, pur lasciando inalterata la latitudine dell’onere di allegazione, posto in capo al datore di lavoro . Anzi, su questo fronte, considerando alcuni casi sintomatici, si registra un progressivo allargamento della nozione, dovuta ora alla struttura della tipologia contrattuale ora alle scelte operate dalla giurisprudenza. Sul primo versante un caso singolare, che merita attenzione, è senz’altro quello della somministrazione di lavoro , sul secondo, invece, rilevano una serie di pronunciamenti, volti a rivalutare il ricollocamento in senso ampio, avendo di mira l’oggetto del contratto (mansioni), la tipologia del contratto (tempo determinato, part-time) e lo stesso arco temporale entro cui effettuare la valutazione sul recesso.
3. Il principio del repêchage è consustanziale alla somministrazione di lavoro. – La gestione dei lavoratori a tempo indeterminato dipendenti delle agenzie di lavoro a seguito della cessazione del contratto commerciale di somministrazione costituisce un aspetto doppiamente controverso, sia per lo scetticismo che, sin dall’origine, ha accompagnato il modello dell’intermediazione, sia per le difficoltà legate all’effetto specchio che il contratto di lavoro potrebbe subire rispetto a quello commerciale: l’interruzione del secondo rischia di riverberarsi a cascata sul primo.
Tuttavia, la criticità deve essere considerata all’interno della funzione legislativamente assegnata alle agenzie di somministrazione, quali attrici di reclutamento e collocazione dei prestatori di lavoro, nonché di formazione e riqualificazione professionale. In virtù di tale cruciale ruolo nel mercato, si comprendono immediatamente i peculiari contorni che un licenziamento per ragioni economiche possa assumere rispetto a qualsiasi altra situazione lavorativa ‘ordinaria’. 
La disarticolazione contrattuale, tipica dell’istituto, dal punto di vista teorico, rende le tutele del lavoro subordinato indifferenti alle vicende del contratto commerciale di somministrazione: nella situazione di disponibilità, il sinallagma funzionale del contratto è attivo perché il rapporto di lavoro rimane inalterato, permanendo a carico delle parti le rispettive obbligazioni . Ciò significa che, sia l’ipotesi di recesso dal contratto commerciale, sia quella di interruzione di una singola missione – anche nella versione eccentrica del mancato ‘gradimento’ espresso dall’utilizzatore (ragioni soggettive) – non sono circostanze idonee ad aprire uno spazio che abiliti l’agenzia a comunicare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo. 
Nel secondo caso evocato, argomentando diversamente, si avrebbe l’effetto paradossale di una metamorfosi delle ragioni soggettive dell’utilizzatore in oggettive, grazie al tramite del soggetto terzo agenzia : la cessazione anticipata della missione non fa venir meno l’obbligo di disponibilità del lavoratore a tempo indeterminato, che sarà ‘obbligato’ allo svolgimento delle attività richieste dall’agenzia in virtù del suo stato di attesa .
Con riguardo al primo, l’estinzione del contratto commerciale non può costituire la base su cui edificare l’atto di licenziamento per ragioni economiche, altrimenti perderebbe di senso il ricorso all’intermediazione, rientrando esattamente nella fisiologia del rapporto il susseguirsi di missioni e periodi di disponibilità: il potere datoriale di recesso in capo all’agenzia non è svincolato dai presupposti di legittimità dettati dalla normativa in materia di licenziamenti individuali, nella misura in cui la stessa si configura come datore di lavoro autonomo gravato del rischio d’impresa.
Tuttavia, nell’ambito della somministrazione di lavoro i presupposti, che legittimano un’agenzia a risolvere per ragioni organizzative e/o produttive un contratto di lavoro a tempo indeterminato, acquisiscono una coloritura differente. L’onere di repêchage diviene centrale, assumendo rilievo indefettibile la prova della impossibilità di reperire – in un congruo periodo di tempo che potrebbe essere parametrato alla durata della procedura del ccnl – ulteriori missioni compatibili con la professionalità originaria o acquisita del dipendente. Questa fase di ricerca di un’altra occasione di lavoro, tra quelle disponibili in virtù degli impegni assunti dall’agenzia con i contratti commerciali, da un lato, costituisce il fulcro dell’oggetto sociale dell’attività di intermediazione e, dall’altro, è il contenuto del cd. ripescaggio . 
Su questo profilo assume un rilievo ermeneutico specifico la contrattazione di settore, laddove costruisce una procedura ad hoc , indirizzata a limitare le conseguenze negative di una interruzione di missione e ad utilizzare proficuamente il tempo di disponibilità per una formazione mirata. Se il modello originario – impostato nel corso delle tornate contrattuali precedenti – aveva lo scopo di congelare il rapporto di lavoro durante un periodo contenuto di transizione e carenza di missioni, l’ultimo articolato elaborato dalle parti sociali pone l’accento, in maniera più incisiva, sulla finalità occupazionale e il reinserimento lavorativo , con il precipuo fine di ridurre al minimo l’eventualità della cessazione del rapporto di lavoro. 
Il meccanismo di ricollocazione previsto dalla contrattazione di settore potrebbe essere letto come una tipizzazione procedimentalizzata del giustificato motivo oggettivo, senza che surrettiziamente si trasformi in strumento derogatorio delle disposizioni in materia di recesso datoriale per ragioni oggettive . 
Il rispetto dei vari adempimenti previsti nel ccnl costituisce un filtro ulteriore nella ricostruzione del fatto posto alla base del licenziamento. Pertanto, si tratta di un tassello importante nella prova di avere perseguito ogni strada possibile al fine di reinserire il dipendente nel mercato del lavoro, ma non l’unico idoneo ad esaurire tutti gli elementi costitutivi del legittimo esercizio del potere di recesso: l’adempimento procedurale potrebbe, infatti, rivelarsi in giudizio puramente formale , rendendo l’atto espulsivo pretestuoso. 
Specularmente, il mancato esperimento delle procedure contrattual-collettive, oltre a comportare sanzioni economiche, potrebbe implicare un fattore indiziario dell’assenza di tentativi di ripescaggio, da valutare unitamente al restante materiale probatorio. In ogni caso, rimane possibile che in giudizio emerga prova contraria, in un senso o nell’altro, poiché la legittimità dell’atto di risoluzione deve essere valutata alla luce della disciplina ordinaria applicabile a tutti i datori di lavoro . 
Strutturare un modello di ricollocamento ad hoc significa, nel caso delle agenzie, introdurre un adempimento mirato che specifica nel dettaglio una modalità sui generis per raggiungere il risultato del repêchage. Per questa via, le disposizioni contrattuali interpretano la linea legislativa relativa al compito puntuale di individuare attivamente nuove opportunità lavorative. 
L’effetto indotto dal sistema è un’estensione della portata del repêchage, proprio perché coincide esattamente con il core business assegnato dall’ordinamento alle agenzie. Da ciò discende una differenza sostanziale nella ricostruzione della relazione particolare che si instaura tra giustificato motivo oggettivo e repêchage: mentre con riferimento agli ‘altri’ datori di lavoro l’‘annessione’ dell’onere di ripescaggio nella nozione di licenziamento per gmo può dare adito a varie ipotesi ricostruttive – funzionali a collegarlo o sganciarlo dal fatto posto alla base del licenziamento – la peculiarità insita nel ruolo delle agenzie riduce sensibilmente la distanza tra le varie prospettazioni in merito agli elementi costitutivi del fatto. Infatti, il ventaglio di ragioni organizzative ed economiche che possono essere addotte dal datore agenzia si riduce notevolmente, essendo molto più difficile dimostrare che l’unica posizione accessibile sia quella soppressa. 
Un’ipotesi potrebbe rintracciarsi nel caso limite in cui la ragione all’origine dell’atto estintivo sia la scelta produttiva di ridurre un settore di attività, tra quelli oggetto dei contratti commerciali . Anche in una circostanza estrema come questa, la procedura ad hoc divisata dal ccnl giunge in soccorso del dipendente, impostando una sorta di rete tra agenzie utile a ricollocare i lavoratori in disponibilità (art. 25 bis Ccnl). A differenza dei datori di lavoro standard, per i quali l’onere di repêchage ha come perimetro quello dell’azienda, nel caso delle agenzie l’esigenza di ricollocazione nasce dall’interruzione della missione iniziale per coinvolgere, senza soluzione di continuità, tutto il ‘patrimonio’ di posizioni potenzialmente accessibili in virtù di tutti i contratti commerciali in essere con molteplici imprese . 
Questa categoria speciale di datori trova la sua cifra distintiva nel realizzare, come scopo sociale, un luogo di incontro tra domanda e offerta di lavoro, tale connotazione prevalente rende molto ostica la dimostrazione del nesso tra licenziamento e ragioni organizzative, atteso che il venir meno del contratto commerciale non può automaticamente comportare la soppressione del posto, ciò si traduce in un aumento considerevole delle probabilità che il potere di recesso sia utilizzato in maniera pretestuosa, ovvero deviando rispetto alla funzione che gli è assegnata dall’ordinamento. 
Peraltro, lo spettro già ampio delle possibilità di reimpiego è suscettibile di ulteriori dilatazioni , laddove anche in questa fattispecie si acceda al filone giurisprudenziale che declina ad infinitum il concetto di extrema ratio, perché inclusivo di qualsiasi proposta di lavoro, sotto la stessa polare della salvaguardia del posto di lavoro. Il riferimento è, evidentemente, a quegli orientamenti che includono nell’onere datoriale offerte di lavoro non limitate al professionalità equivalenti o inserite nella categoria legale di inquadramento, ma estese a mansioni inferiori, a differenti dislocazioni, ovvero a tipologie contrattuali altre, o ancora a posizioni prossime a rendersi vacanti. Tale approccio comporterebbe nel rapporto di lavoro in somministrazione un’evoluzione infinita, tale per cui qualsiasi agenzia si troverebbe a fornire una prova diabolica.
4. La progressiva dilatazione del repêchage nel diritto vivente e l’affievolimento a mera ratio del licenziamento per gmo: la rivisitazione secondo l’approccio formalistico. – L’effetto amplificato dell’onere di repêchage, con riferimento al caso specifico del contratto di lavoro inserito nella triangolazione tipica della somministrazione, fa il paio con una serie nutrita di pronunce della Corte di Cassazione atte a superare gli steccati dello spazio (mansioni, categoria legale, tipologia contrattuale: tempo determinato, tempo parziale) e del tempo (intercorrente tra il recesso e la sua valutazione) del contratto di lavoro. 
L’omesso riutilizzo del licenziando, infatti, si declina in modo potenzialmente illimitato, sulla scorta di un “manifesto del repêchage” che ha come stella polare la salvaguardia del posto di lavoro. Per questa via, si include ogni mansione possibile , equivalente ma anche inferiore, seguendo il principio di esperienza per cui qualsiasi soggetto che abbia una professionalità, privato della possibilità di lavorare a seguito dell’interruzione del rapporto di lavoro, finisca per perderla ed essere danneggiato più di quanto non lo sia nel dedicarsi a una differente prestazione, salvo che non sia lo stesso dipendente a rifiutare i tentativi messi in campo dal datore di lavoro. 
Per la verità, come noto, non si tratta di un orientamento recente, giacché risalente alla nota decisione delle Sezioni Unite della Cassazione , nonché alle parole della Consulta che – proprio con riferimento alla relazione tra gmo e mansioni inferiori – non ha mancato di valorizzare la logica del “male minore”: “la tutela della professionalità del lavoratore cede di fronte all’esigenza di salvaguardia di un bene più prezioso, quale il mantenimento dell’occupazione” . In questa direzione muove anche quella giurisprudenza che riconnette il ripescaggio alla possibilità di continuare a fornire la prestazione oltre gli argini della tipologia contrattuale, includendo il tempo determinato e quello parziale . 
Se, dunque, l’adibizione a mansioni differenti o anche inferiori non può etichettarsi come nuova, del tutto singolare appare quell’orientamento volto a includere nell’onere di repêchage anche posizioni lavorative che, pur ancora occupate, si rendano libere in un arco temporale ravvicinato, rispetto al momento ipotetico del licenziamento per gmo e di cui il datore di lavoro abbia contezza . Qui non entra in gioco il passato della professionalità acquisita o il presente delle scelte da compiere, ma il futuro che si manifesta dopo l’atto di recesso: prendere in esame anche le posizioni lavorative che si renderanno disponibili in un momento successivo a quello in cui viene intimato il recesso, ancorché note al datore, significa costruire un onere probatorio retrospettivo e inafferrabile, perché incerto su tempi e figure da considerare. 
Si tratta solo di alcuni esempi tratti dal diritto vivente, non univoci ma utili a mettere in luce come si registri una varietà, potenzialmente illimitata, di sfaccettature secondo cui declinare l’onere di repêchage: obbligare i datori di lavoro ad esplorare tutte le possibilità di riassegnazione dei dipendenti, prima di procedere con il licenziamento, costituisce senz’altro un aggravamento probatorio incisivo nel momento in cui decidono di procedere ad una ristrutturazione organizzativa. È probabile che l’intensificazione di questo approccio sostanzialistico nella ricostruzione delle legittimità del licenziamento sia il prezzo del progressivo ribaltamento delle tutele (indennitaria e reintegratoria) da parte del legislatore, che ha sortito come risposta giudiziaria quella di rendere più incisivo il controllo sul ripescaggio. 
Su questa tensione dialettica si colloca l’ultima decisione della Corte costituzionale, la n. 128/2024, che estrapola l’onere di ripescaggio dal fatto addotto come ragione del licenziamento, riconducendo l’operazione ermeneutica all’aggettivo “materiale” . Ciò significa che la realizzazione delle ragioni dell’impresa, tali da indurre la ‘cancellazione’ di una posizione lavorativa (anche in assenza di criticità economiche), se, da un lato, rende “sussistente” il fatto della soppressione, dall’altro, non esaurisce il contenuto del gmo che, successivamente, deve passare il filtro delle possibilità alternative all’espulsione del lavoratore, ovvero il ricollocamento. Per questa via, la Corte costituzionale ‘tollera’ una diversificazione delle tutele , sganciando l’ipotesi di insussistenza del nesso eziologico tra scelta aziendale e soppressione del posto – legata al fatto su cui si edifica il licenziamento – da quella di ricerca di una differente collocazione intra-aziendale, che si sviluppa in una fase differente e successiva. 
La segmentazione, pure convincente dal punto di vista esegetico-letterale, sconta una incoerenza di fondo: appare, infatti, singolare che la Corte adoperi la leva relativa alle scelte di politica del diritto, effettuate dal legislatore, per acquisire l’effetto utile della scomposizione del fatto , mentre la accantoni del tutto con riguardo all’esclusione espressa del licenziamento per gmo dall’eccezione del comma 2, art. 3, d. lgs. n. 23/2015. Anzi, su questo secondo profilo, nella medesima pronuncia, la Corte – sulla scia di un cronico disallineamento con il legislatore – inserisce additivamente il gmo, assente per litteram legis, argomentando con la necessaria simmetria tra ‘insussistenze’ dei fatti, nel gms e nel gmo. Per questa via, i giudici aprono la porta principale del rimedio massimo ripristinatorio anche con riguardo al licenziamento per gmo, salvo poi espungerlo rapidamente dalla finestra, attesa la nozione formalistica di ‘fatto insussistente’ atta a escludere l’elemento costitutivo del ripescaggio. 
È difficile non mettere a fuoco la discrasia argomentativa, se non incastonandola all’interno della finalità retrostante: evitare che il campo di gioco dell’onere di repêchage – attraverso la consustanzialità nel fatto – diventi anche quello della reintegra nel posto di lavoro. Approccio formalistico e sostanzialistico si alternano, teleologicamente orientati dall’interprete, creando una confusione esegetica non utile in termini di certezza del diritto . Inoltre, la riduzione qualitativa del concetto di fatto nel gmo ha come conseguenza indiretta quella di restringere sensibilmente le possibilità di dimostrare la pretestuosità dell’atto di recesso: è intuitivamente più semplice, per parte datoriale, dimostrare il nesso tra una libera scelta imprenditoriale e il recesso, in assenza di parametri esterni di controllo come il repêchage e di intromissioni sulla discrezionalità datoriale. In altre parole, se l’atto di recesso trova la sua ragion d’essere nell’autonomia organizzativa dell’imprenditore, allora questa potrebbe essere costruita ad arte e mai censurabile, se non sotto il profilo dell’abuso del potere di licenziamento per gmo . 
Probabilmente, l’effetto finale è uno spacchettamento del concetto di extrema ratio che ha assistito per anni il licenziamento per gmo: l’approccio sostanziale, che aveva accompagnato la verifica del gmo per decenni continua a vivere, nell’ambito del giustificato motivo colpito da sanzione indennitaria, mentre si affievolisce in una mera ratio, privata dell’aggettivo extrema, proprio nella sfera del rimedio reintegratorio.
ABSTRACT – Il saggio si sofferma sulla collocazione del repêchage e la sua relazione con le tutele alla luce della giurisprudenza della Corte di legittimità e delle pronunce della Consulta. L’autrice mette in luce il peso crescente che ha acquisito nel diritto vivente, anche nel caso specifico della somministrazione di lavoro, e l’emersione di una dilatazione del concetto. Infine, si analizza tale percorso con l’affievolimento a mera ratio del licenziamento per gmo, evidenziandone le ricadute anche in termini di abuso del potere.
ABSTRACT – The essay focuses on the topic of repêchage and its relationship with protection measures in light of the jurisprudence of the Court of Cassation and the rulings of the Constitutional Court. The author highlights the growing importance it has acquired in living law, including in the specific case of temporary employment, together with the emerging of an increasingly widespread concept. Finally, this development is analysed under the weakening ratio of dismissal for economic reasons, highlighting its repercussions in terms of abuse of power.

