TESTO INTEGRALE CON NOTE E BIBLIOGRAFIA
1. L’occasione di lavoro, ovvero quando un incidente si considera infortunio sul lavoro.
Correva l’anno 1986 quando la Cassazione si pronunciò su questo caso: una dipendente della Rinascente, addetta alla dimostrazione e vendita di articoli elettrici, per tale motivo assicurata Inail, ebbe un brutto infortunio: un battente della finestra si staccò inopinatamente dal suo alloggiamento e le cadde addosso, procurandole gravi lesioni. L’Inail e il giudice del merito le negarono la copertura, e la Cassazione disse: hanno fatto bene, perché l’evento è estraneo al rischio assicurato.
Nella stessa logica una sentenza coeva, nel caso di una frana su albergo di montagna, aveva ritenuto indennizzabili i cuochi, in quanto esposti ai rischi specifici della cucina, e non i camerieri .
Dall’impianto assicurativo dell’ assicurazione pubblica si argomentava secondo le categorie del contratto di assicurazione privato, nel quale l’oggetto deve essere ben determinato, identificato con precisione e circoscritto, perché ad esso è commisurato il premio da pagare.
Era tralaticia, in quegli anni, la formula che non rileva il nesso topografico e cronologico con il lavoro, ma è necessario un nesso diretto con il rischio assicurato. Ma quanto stretto dev’essere questo nesso? Solo il lavoratore che si infortuna alla pressa, o anche se inciampa e cade mentre le si avvicina?
Ma l’art. 1 t.u. 1124, quando nei primi articoli definisce l’oggetto dell’assicurazione, non parla di rischio assicurato, bensì di attività protetta.
Negli stessi anni si era posto il caso degli addetti a macchine elettriche che funzionino a basse tensioni, come ad es. un centralino telefonico che lavori a 24 V. Il giudice del merito aveva negato l’obbligo assicurativo, perché a quelle tensioni il rischio di infortunio è improbabile. La Corte di legittimità ha bocciato questo orientamento, statuendo che non esiste il rischio elettrico zero . Questa affermazione, con cui è stata concorde anche la Corte costituzionale , segna una pietra miliare in due direzioni: intanto ha comportato una esplosione della platea delle persone tutelate, perché ormai non c’è attività lavorativa che non si avvalga dell’ausilio di computer o comunque di apparati elettronici; per altro verso, che a noi interessa maggiormente sul piano sistematico, nega la rilevanza del grado del rischio assicurato, espressione che il t.u. 1124 mai utilizza per indicare gli eventi rilevanti: parla solo di attività protetta e, in questo ambito, di occasione di lavoro.
Negli stessi termini la Corte costituzionale, la quale, chiamata a pronunciarsi sulla pericolosità delle macchine radiologiche, ha statuito che oggetto della tutela assicurativa non è la pericolosità dell’attività considerata, concretamente misurabile secondo un certo grado di probabilità statistica, bensì l’attività per sé stessa, in quanto connotata tipicamente dall’impiego di apparecchi e macchine .
Sono poste così le basi per gli sviluppi successivi: un infermiere, mentre cammina per recarsi da un padiglione all’altro di un grande policlinico, nell’orario di lavoro e per motivi di lavoro, inciampa in una radice sporgente di un albero del giardino interno, cade e si infortuna. C’è un nesso con il lavoro? Certo che c’è, dice la Cassazione . E su questa strada prosegue trionfalmente: non solo gli atti di locomozione interna, ma anche gli atti preparatori, le pause fisiologiche, le pause pranzo e per il caffè, gli atti conclusivi, come l’infermiera che si cambia e si igienizza dopo il turno di lavoro.
Ma allora siamo in pieno rischio ambientale, come definito dalle Sezioni unite, le quali hanno osservato che l’art. 1 del t.u. unico 1124 tutela le persone comunque occupate in opifici, laboratori o in ambienti organizzati per lavori, opere o servizi, i quali comportino l’impiego di tali macchine, apparecchi o impianti, e ne traggono la conseguenza che detta norma tutela il lavoro in sé e per sé considerato . Rileva quindi solo il nesso topografico e cronologico, e la finalità lavorativa, così pervenendo sostanzialmente ad una presunzione semplice di occasionalità di lavoro, come si esprimono alcune legislazioni di paesi fratelli a modello bismarckiano .
In precedenza vi era stato l’episodio dei 7 marinai italiani uccisi nel sonno nella nave ormeggiata in un porto algerino. L’Inail da una parte aveva respinto la domanda di rendita ai superstiti, ma dall’altra non impugnò la sentenza di accoglimento in primo grado. Ciò significa che anche nel pensiero dell’Inail qualcosa stava maturando.
Infine Cass. 2 ottobre 1998, n. 9801 ha ricondotto al rischio ambientale il ferimento di un lavoratore italiano in Libia, nel tragitto aeroporto-campo di lavoro; dopo di esse si può dire che il rischio ambientale non ha più pareti.
Il punto di arrivo di questa lunga marcia è costituito dalla attuale giurisprudenza, consolidata, secondo cui l’occasione di lavoro ricomprende tutte le condizioni, incluse quelle ambientali e socio-economiche in cui l’attività lavorativa si svolge, e tutti i fatti, anche straordinari ed imprevedibili, inerenti all’ambiente lavorativo, indipendentemente dal fatto che il danno provenga dall’apparato produttivo o dipenda da terzi o da fatti e situazioni proprie del lavoratore, con il solo limite, in questo ultimo caso, del rischio elettivo .
E che cos’è il rischio elettivo? Occorre il concorso simultaneo dei seguenti elementi caratterizzanti: a) vi deve essere non solo un atto volontario, ma altresì arbitrario, nel senso di illogico ed estraneo alle finalità produttive; b) diretto a soddisfare impulsi meramente personali (il che esclude le iniziative, pur incongrue, motivate da finalità produttive); c) che affronti un rischio diverso da quello cui sarebbe assoggettato, sicché l’evento non abbia alcun nesso di derivazione con lo svolgimento dell’attività lavorativa .
In questo modo i presupposti della copertura dei soggetti tutelati dal t.u. 1124 risultano parificati al regime della causa di servizio come si configurava per i lavoratori pubblici , prima dell’abrogazione di quest’ultima ad opera dell’art. 6 d.l. 6.12.2011 n. 201, convertito in l. 22.11.2011 n. 214, la quale non conosceva le limitazioni della superata interpretazione del t.u. 1124. L’art. 6 citato comporta non solo il mantenimento dei presupposti soggettivi ed oggettivi del precedente regime pubblicistico a favore dei dipendenti pubblici ora in gestione Inail, perché altrimenti si produrrebbe una inammissibile disparità di trattamento con quelle categorie per le quali è rimasto il regime pubblicistico (comparti sicurezza, difesa, vigili del fuoco e soccorso pubblico), come autorevolmente affermato , ma anche l’esigenza di una estensione di tali presupposti ai lavoratori privati tutelati dall’Inail, secondo il trend evolutivo descritto, pena inammissibile disparità di trattamento tra pubblici e privati all’interno della gestione Inail.
2. Le persone assicurate.
L’ampliamento della platea delle persone assicurate si è avuto in parte per via legislativa, in parte in via giurisprudenziale, ed in parte anche per iniziativa dell’Istituto assicuratore.
Per via legislativa: tutte le categorie consacrate negli artt. 4, 5, 6 d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38 (lavoratori dell’area dirigenziale, parasubordinati, sportivi professionisti), peraltro in parte a coronamento di un percorso giurisprudenziale che ne aveva posto le premesse .
Su iniziativa dell’Inail: ad es. la sentenza della Corte costituzionale che ha affermato l’obbligo assicurativo per i lavoratori distaccati presso le associazioni sindacali è stata provocata dalla pretesa contributiva dell’Inail per tali soggetti, opposta dal sindacato interessato e sfociata nella sentenza che ha affermato l’obbligo assicurativo, in base al principio della parità di tutela a parità di rischio ; oppure gli animatori turistici, in applicazione della ratio della sentenza sui ballerini cit. a nota 14.
La via giurisprudenziale è stata particolarmente feconda per gli insegnanti e gli alunni, i quali erano tutelati nel testo unico solo in quanto attendano ad esperienze tecnico scientifiche o esercitazioni pratiche, o esercitazioni di lavoro. Evidente è l’eco del lavoro operaio e manuale che aveva dato origine alla tutela infortunistica, e che si riteneva ancora modellare l’assicurazione pubblica. Ma la dottrina e la giurisprudenza hanno evidenziato come gli insegnanti siano soggetti a numerosi altri rischi: quello elettrico per i numerosi congegni elettrici di cui oggi si avvale l’insegnamento, il rischio ambientale, le esercitazioni ginnastiche, le gite scolastiche, l’attività di sostegno, l’obbligo di vigilanza, il rischio di aggressione , l’attività ludico-motoria nelle scuole elementari e materne, e sulla base di questa osservazione della realtà fattuale è pervenuta ad affermare la tutela assicurativa del ruolo tipologico dell’insegnante . L’Inail si è adeguato a queste indicazioni con le proprie circolari . Infine è intervenuto il legislatore a confermare questa giurisprudenza, con l’art. 18 del d.l. 4 maggio 2023 n. 48, conv. in l. 3 luglio 2023 n. 85.
Sicché dalle iniziali 9 categorie di persone assicurate elencate nell’art. 4 del t.u. 1124, si è pervenuti ora a ben 27 categorie, come risulta dalla Proposta di lettura integrata .
3. L’opera manuale e la causa violenta.
L’art. 2 del t.u. 1124 richiede per la qualificazione di un incidente come infortunio sul lavoro che fosse provocato da una causa violenta. In mancanza di definizione legislativa di tale requisito, la dottrina e la giurisprudenza delle origini la identificavano in un fattore esterno al lavoratore, che agisse con rapidità e intensità in brevissimo arco temporale, ed esprimesse una energia abnorme con abnorme intensità.
Questi requisiti, soprattutto la esteriorità, furono attenuati nel tempo con la ammissione dello sforzo nel normale atto lavorativo e dell’infarto, ed eliminati del tutto con la sentenza della Corte costituzionale 137/1989 la quale, pur ragionando in termini di opera manuale, concetto connesso con quello di causa violenta, osserva che nel lavoro artistico il rischio o pericolo risiede nel movimento corporeo o gestualità che integra esso stesso il risultato, e conseguentemente, in nome del principio della parità di tutela a parità di rischio, ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3 n. 27 t.u. 1124 nella parte in cui non comprende tra le persone soggette all’assicurazione obbligatoria i ballerini e tersicorei (=ballerini di fila) nella esecuzione di pubblici spettacoli.
L’Inail ne ha fatto applicazione agli animatori turistici, la giurisprudenza agli insegnanti di scuola materna coinvolti in attività ludiche ed ai docenti di discipline sportive.
E questa nozione puramente interiore di causa violenta è diventata obbligata con l’ingresso tra le persone assicurate dei lavoratori sportivi, ad opera dell’art. 6 d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38.
La funzione residua dell’espressione causa violenta, intesa come causa concentrata nel tempo, risulta essere quella di discrimine tra infortunio e malattia professionale, caratterizzata quest’ultima dalla causa lenta.
4. L’ infortunio in itinere.
Particolarmente emblematica del modello di sviluppo è la storia giuridica dell’infortunio in itinere.
La legge 19 gennaio 1963 n. 15 (recante delega per quello che sarebbe stato il t.u. 1124) aveva dato delega altresì, con l’art. 31, per l’introduzione della tutela dell’infortunio in itinere. Non avendo il legislatore esercitato la delega, probabilmente perché l’art. 31 prevedeva un’addizionale sui contributi per coprire i costi della nuova tutela, con aggravio sull’attività produttiva allora in rapido sviluppo, è toccato alla giurisprudenza sviluppare un diritto pretorio, culminato infine nella consacrazione legislativa .
Ma su tutto questo dirà meglio Guglielmo Corsalini, attento studioso anche di questo tema, fin dalla sua prima monografia dal titolo evocativo “Gli infortuni sulle vie del lavoro”.
5. La tutela integrale dell’artigiano e del coltivatore diretto.
La copertura assicurativa degli artigiani è stata introdotta dall’art. 3 l. 19 gennaio 1963, n. 15, limitatamente ai casi in cui abbiano dipendenti per i quali ricorra l’obbligo assicurativo.
Tale limitazione è stata eliminata dall’art. 4 t.u. 1124, per cui ora sono assicurati tutti gli artigiani “che prestano abitualmente opera manuale nelle rispettive imprese”.
Si pone perciò il problema se tale riferimento all’opera manuale valga solo ai fini della individuazione della figura professionale tutelata, oppure abbia una funzione limitativa dell’ambito dell’attività protetta.
Secondo una parte della dottrina, il riferimento all’opera manuale è semplicemente ricognitivo della figura dell’artigiano, la cui attività sarebbe tutelata nella sua totalità .
La giurisprudenza è stata per decenni univoca nel senso che bisogna distinguere nella complessa figura dell’artigiano l’aspetto imprenditoriale, che comprende le attività di amministrazione, organizzazione e promozione, che non sono coperte da assicurazione, da quello della partecipazione manuale alla produzione d’impresa, per la quale è garantita la tutela assicurativa. Il criterio discretivo sarebbe: sono imprenditoriali le funzioni che possono esser svolte solo dall’imprenditore.
L’onere della prova dell’attività manuale incombe su chi avanza la pretesa contributiva o prestazionale .
Senonché la casistica applicativa di tale distinzione, apparentemente chiara, è stata quanto mai ondivaga e cangiante nel tempo. Lo stesso atto, acquisto di un attrezzo per l’attività aziendale, è stato ritenuto attività imprenditoriale nel 1981 e attività esecutiva tutelabile venti anni dopo .
Si tratta di un tema comune al coltivatore diretto, ed anche al socio di cooperativa.
Il nodo gordiano è stato finalmente tagliato di netto da Cass. 17 febbraio 2017, n. 4277, che ha motivatamente superato la dicotomia precedente in una fattispecie di pagamento di fornitura di gasolio da parte di imprenditore agricolo.
La dottrina ha ritenuto applicabili gli stessi principi e le stesse motivazioni all’imprenditore artigiano perché l’orientamento dicotomico anteriore, se era giustificato dalle coeve nozioni di manualità, causa violenta, persone tutelate, non lo è più dopo l’ampliamento della platea delle persone tutelate a figure di lavoro autonomo, dirigenziale ed imprenditoriale, e, soprattutto, dopo l’evoluzione della nozione di manualità fino a ricomprendervi l’attività intellettuale espletata con macchine elettriche come i computers.
Queste considerazioni, anche nella parte estensiva dal lavoro agricolo a quello artigiano, sembrano convalidate da Cass. 7 aprile 2021, n. 32257, in una fattispecie di artigiano muratore. Questo il caso: un artigiano muratore si reca ad effettuare un sopralluogo nel cantiere in compagnia di un altro artigiano a cui il primo intendeva subappaltare i lavori di intonacatura degli immobili; il primo artigiano cade da una scala e muore. La domanda di rendita ai superstiti avanzata dalla vedova e dai figli è stata respinta dal primo giudice e da quello di appello con l’antica motivazione che nel momento dell’infortunio l’artigiano stava svolgendo funzioni organizzative ed amministrative. Giunti in Cassazione, la causa è stata rimessa dalla sezione sesta stralcio alla quarta sezione Lavoro “per la possibile valenza nomofilattica della decisione”, che è stata di accoglimento del ricorso. La Corte ha motivato in punto di occasione di lavoro, ritenendo l’operazione di affidamento del subappalto comunque connessa alla figura dell’artigiano, espressamente richiamando il precedente n. 24765/2017. La decisione, che non può non trovarci consenzienti, ci dice anche della prossimità delle nozioni di attività protetta e occasione di lavoro.
Nella svolta operata dalla sentenza n. 24765/2017, cit., sembra doversi collocare anche Cass. 6 febbraio 2018, n. 2838, la quale, ragionando esclusivamente in termini di occasione di lavoro e di rischio elettivo, ha cassato la sentenza di merito che aveva negato la tutela di un infortunio occorso al titolare artigiano mentre si recava in un opificio per controllare i lavori di allacciamento della linea elettrica necessaria per il funzionamento delle macchine , nonché Cass. 26 novembre 2019 n. 30874, affermativa della tutela del presidente di una cooperativa infortunatosi nel viaggio per stipulare un contratto.
Non rientrano nella copertura le prestazioni rese dall’artigiano in maniera non professionale, ad es. quale proprietario nella propria abitazione o a mero titolo di cortesia, senza alcun corrispettivo economico, configurandosi nella specie un rischio extraprofessionale
In questa ottica sembra collocarsi Cass. 18 marzo 2024 n. 7225 la quale, nel caso di ritardo nella denuncia di malattia professionale da parte di titolare di impresa artigiana, ha applicato la disciplina dell’art. 52, che prevede la perdita delle prestazioni precedenti alla data della denuncia, anziché l’art. 53 che prevede sanzioni per il datore di lavoro.
6. Il principio di stabilizzazione dei postumi.
Nelle assicurazioni private per gli infortuni la partita si chiude con la liquidazione del danno.
Invece nell’assicurazione obbligatoria l’art. 83 del t.u. 1124/1965 prevede che la misura della rendita di inabilità per infortunio sul lavoro può essere riveduta in caso di diminuzione o di aumento nell’attitudine al lavoro ed in genere in seguito a modificazione delle condizioni fisiche del titolare della rendita, ed analoga disposizione detta l’art. 137 per le malattie professionali. Nello stesso senso l’art. 13, comma 7, del d.lgs. 38/2000.
Ciò costituisce applicazione dell’art. 38 Costituzione, per il quale la tutela dal bisogno causato dagli eventi da esso indicati non sarebbe adeguata se non fosse modulata sulla entità e l’andamento del bisogno stesso.
Tuttavia le stesse norme pongono un limite temporale alla possibilità di revisione: 10 anni per gli infortuni, 15 per le malattie professionali. Questo blocco, denominato principio di stabilizzazione dei postumi, costituisce una presunzione assoluta ed è basato sulle indicazioni della scienza medico-legale del tempo secondo cui si presume che dopo un certo tempo gli esiti dell’infortunio sul lavoro e della malattia professionale si stabilizzano.
Veramente nella sentenza Corte cost. n. 179/1988, introduttiva del sistema misto delle malattie professionali, vi erano già elementi per degradare questa presunzione a presunzione relativa, perché detta sentenza ha altresì dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 3 t.u. n. 1124/1965 anche nella parte in cui istituisce una presunzione assoluta di derivazione professionale della tecnopatia entro un determinato termine dalla cessazione della lavorazione tabellata, differenziato dalla colonna 3 della tabella per ciascuna malattia, ammettendo cosi il lavoratore a provare che una malattia manifestatasi oltre tali termini ha origine professionale. Con tale sentenza la Corte ammette che vi possono essere andamenti anomali nel decorso delle singole malattie rispetto alle previsioni generali e probabilistiche della scienza medica; sancisce la variabilità delle risposte individuali rispetto all’id quod plerumque accidit.
Invece la Corte è rimasta fedele alla propria giurisprudenza risalente al 1971 secondo cui la presunzione di stabilizzazione non è arbitraria o ingiusta, ma ubbidisce a un criterio razionale e rientra nei modi legittimi di esercizio della funzione legislativa; dà certezza al sistema e si risolve in un vantaggio per lo stesso lavoratore, messo al riparo da variazioni al ribasso o addirittura dalla revoca della rendita per miglioramento oltre un certo limite temporale .
Questa giustificazione, basata sull’ id quod plerumque accidit, sorprende, perché i diritti fondamentali, categoria cui appartengono quelli derivanti dall’art. 38 della Costituzione, devono essere garantiti a ciascuna singola persona, e non possono essere compensati per medie o per gruppi.
Tuttavia, a fronte della palese iniquità, in taluni casi, del principio di stabilizzazione dei postumi, la Corte ha cercato di eliminarla seguendo un’altra strada.
Tra gli altri inconvenienti, il principio di stabilizzazione dei postumi lascia privi di copertura i lavoratori esposti ad una noxa permanente, come potrebbe essere una noxa acustica o chimica.
Riproposta la questione in una fattispecie di lavoratore titolare di rendita per ipoacusia che aveva continuato a lavorare esposto alla medesima noxa, con la sentenza 2 febbraio 2010, n. 46 la Corte si è fatta carico del problema, e lo ha risolto, con una sentenza interpretativa di rigetto, sussumendolo non nell’ambito dell’art. 137 t.u. n. 1124, cit., denunciato dal giudice rimettente, bensì dell’art. 80 dello stesso t.u., che consente la unificazione della rendita costituita con i postumi di un nuovo evento invalidante, derivanti dalla esposizione al rischio patogeno permanente. Al fine di salvare il principio della stabilizzazione dei postumi, ha distinto tra la noxa originaria che aveva dato causa alla rendita, e la noxa successiva al quindicennio, che dà luogo a una nuova inabilità, ed eventualmente ad una nuova misura della rendita .
A detta interpretazione si è adeguata la Corte di legittimità .
Analogo problema si è posto per gli aggravamenti di un infortunio successivi al decennio, come può succedere in caso di complicanze varie.
In precedenza la tutela era stata negata, in nome del principio di stabilizzazione dei postumi, ad es., nel caso di un aggravamento a 12 anni dall’infortunio per la ripetizione di un intervento chirurgico mal riuscito .
Il caso si è riproposto: un lavoratore subisce nel dicembre 1994 infortunio sul lavoro al ginocchio destro. Sembra poca cosa. Basta una rendita dell’11%, riconosciuta dall’Inail. Senonché ci sono delle complicanze. Prima un intervento chirurgico, poi un altro, poi un altro ancora, fino a ben 18 successivi interventi e da ultimo, nel maggio 2010, l’amputazione della coscia destra, a 16 anni di distanza dall’infortunio. L’Inail e la Corte d’appello gli negano l’aggravamento, in nome del principio di stabilizzazione dei postumi.
Ubbidendo ad un imperativo etico, Cass. 17 gennaio 2018, n. 1048, est. Daniela Calafiore, novella Antigone, ha cercato di risolvere il problema, partendo dall’art. 38, secondo comma, Cost., secondo cui al lavoratore infortunato devono essere assicurati mezzi adeguati alle esigenze di vita, “senza altre condizioni”; su questa premessa, ha cercato di trovare la norma risolutiva nel sistema “nel suo complesso”. A questo punto ha introdotto una distinzione fondamentale, che è rimasta e divenuta sistemica, tra naturale evoluzione della patologia derivante dalla noxa originaria dell’infortunio, cui solamente si applica il principio di stabilizzazione dei postumi, ed aggravamenti derivanti dalle concause sopravvenute, che ne sarebbero fuori, e che vanno prese in carico dal sistema di tutela (“nel suo complesso”). Per qualificare questo aggravamento, si è inserita nel solco tracciato da Corte cost. n. 46/2010, ed ha considerato l’aggravamento successivo al decennio come nuovo infortunio, da unificare al precedente nell’ambito dell’art. 80 t.u. n. 1124/1965, sì da portare ad una valutazione complessiva della lesione cumulata di tutti gli aggravamenti dell’infortunio, ante e post decennio.
In questo modo, il congiunto delle due sentenze delle Alte Corti ha sigillato nel nostro ordinamento il principio che tutti gli aggravamenti, sia di malattie professionali, sia di infortuni sul lavoro, devono trovare adeguato riconoscimento e tutela nell’ordinamento, anche se successivi al termine di revisione, cercando di superare le strettoie del principio di stabilizzazione dei postumi.
Anche qui non sono mancate le perplessità. Intanto all’interprete non è consentito denominare e disciplinare come nuovo infortunio quello che la legge chiama e disciplina come aggravamento, sia per ragioni formali, per le regole che presidiano la interpretazione dei testi normativi, sia sostanziali, perché un intervento chirurgico oltre il decennio, resosi necessario per gli esiti di un infortunio, è in collegamento causale con quest’ultimo, e pertanto ne costituisce un aggravamento, anche se insolito, sia per la diversità di regime giuridico che consegue alle due distinte qualificazioni. Nel caso specifico poi, non poteva trovare applicazione l’art. 80, che consente la unificazione dei postumi, anche sotto soglia, di distinti eventi infortunistici, perché l’infortunio è avvenuto sotto il regime del t.u. n. 1124, cit., e l’aggravamento, qualificato dalla sentenza 1048 come evento nuovo, sotto quello del d.lgs. n. 38/2000, che costituiscono come noto due regimi giuridici non comunicanti .
Il tiro è stato corretto da Cass. 19 agosto 2024 n. 22897, che rimette tutti i tasselli al loro giusto posto, nell’ambito del sistema normativo esistente, perché considera l’aggravamento tardivo come tale e non come nuovo infortunio.
La fattispecie: un lavoratore subisce un infortunio in itinere nel 1975; nel 2010 si manifesta una patologia epatica che viene diagnosticata nel 2014 come conseguente alle trasfusioni cui l’assicurato era stato sottoposto in occasione dell’infortunio. Il primo giudice ha rigettato la domanda di aggravamento per il principio di consolidamento dei postumi, in quanto la revisione della rendita è stata richiesta oltre 35 anni dopo l’evento infortunistico, e così pure la Corte d’appello di Firenze, con sentenza emessa un anno dopo Cass. 1048, in consapevole dissenso dal precedente nomofilattico.
La sentenza 22897/2024, est. Fabrizia Garri, ha accolto il ricorso del lavoratore, in dichiarata continuità con Cass. 1048 (è interessante notare che anche il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso); ha ripreso la distinzione cardine di Cass. 1048, secondo cui la regola della stabilizzazione dei postumi si riferisce solo agli aggravamenti appartenenti alla normale catena causale che modifica la naturale evoluzione del processo morboso avviato dall’ infortunio; una trasfusione di sangue costituisce invece una concausa sopravvenuta, non prevedibile (l’elemento della prevedibilità costituisce ulteriore arricchimento rispetto alla 1048) pur causalmente dipendente dall’infortunio, ma evita di parlare di nuovo infortunio. Richiama anch’essa l’art. 80, modificandone però la portata: mentre il testo letterale e la coerente applicazione tradizionale intendono unificare eventi autonomi (“in seguito a nuovo infortunio”), la sent. 22897 gli attribuisce il ruolo di principio sistemico che impone di prendere in carico tutti gli eventi lesivi, senza alcuna limitazione, oltre che temporale, anche contenutistica, consentendo “la unificazione degli ulteriori postumi derivanti da causa sopravvenuta ma direttamente correlata all’infortunio”.
Poiché la sentenza in esame lo denomina postumo e non nuovo infortunio, non resta che qualificarlo come aggravamento estraneo alla normale evoluzione patologica, e conseguentemente estraneo al termine di stabilizzazione dei postumi, alla pari delle lungolatenze cui, pour cause, la sentenza stessa accenna.
In questo modo si superano le obiezioni sia della dottrina, sia dei due diversi giudici di appello : trattandosi comunque di aggravamenti, e non di nuovo infortunio, la unificazione degli esiti è consentita ed avviene sotto il regime del tempo dell’infortunio. In definitiva ridisegna sul piano sistemico il regime degli aggravamenti, semplicemente riducendo la portata del principio di stabilizzazione dei postumi agli aggravamenti che costituiscono naturale evoluzione della patologia.
È facile prevedere che per ogni aggravamento oltre il termine decennale sarà invocata una causa eccedente la naturale evoluzione; in questo modo il principio di stabilizzazione dei postumi diventa qualcosa di tautologico, riservato alle patologie che normalmente si stabilizzano nei termini indicati negli artt. 83 e 137 t.u. 1124; ogni qualvolta vi è una complicanza o uno sviluppo imprevedibile, siamo fuori dalla regola preclusiva, analogamente a quelle patologie che la legge stessa dichiara, per le loro caratteristiche di lungolatenza, non soggette al principio di stabilizzazione dei postumi (art. 146, comma 4, t.u. 1124 per la silicosi e asbestosi; art. 13, comma 4, d.lgs. 38/2000 altresì per le malattie neoplastiche, infettive e parassitarie) .
Il sistema, così reinterpretato “nel suo complesso”, non impedirà la piena tutela di tutti gli aggravamenti, in ogni tempo.
Si raggiunge così l’obiettivo di tutela totale e perenne perseguito con le sentenze delle Alte Corti citate ma, a nostro modesto avviso, con maggiore coerenza sistematica e aderenza ai criteri valutativi degli artt. 83 t.u. 1124 e 13 d.lgs. 38/2000.
È una svolta clamorosa, quella della sentenza 22897, che prosegue nel lento e tortuoso processo evolutivo iniziato con le prime e lontane ordinanze di rimessione, cui ha dato infine ascolto la sentenza 46/2010 e poi le successive della Corte di legittimità.
Rimane da ripensare il percorso argomentativo della sentenza 46/2010, anche alla luce del riassetto sistemico di Cass. 22897/2024, ripensamento che non è precluso stante il suo carattere di sentenza interpretativa.
6. Conclusioni.
Il percorso sommariamente descritto non rende tutto il fascino di questo fenomeno collettivo, di popolo, sociale, civile, giuridico, che, partito oltre un secolo fa ed in costanza delle medesime formule testuali delle origini - occasione di lavoro, causa violenta, catalogo delle persone assicurate – è giunto, sotto l’egida dell’art. 38 della costituzione, ed in via prevalentemente interpretativa, ad un sistema molto più evoluto, che pone al centro e al di sopra di tutte le formule letterali, la persona che lavora. Questa menzione esplicita della centralità del lavoratore, nata dall’interno dell’Inail , è ora enunciata anche dai vertici dell’Istituto ed è diventato, nella sua portata totalizzante, patrimonio comune anche della giurisprudenza, come si è visto in particolare nel par. 4.
Esempio fulgido delle modalità composite del processo evolutivo del sistema di tutela indennitaria degli infortuni sul lavoro e malattie professionali, grazie anche a quell’ “aiuto fraterno” e “ballo del tango” attribuito alle Alte Corti nella ricostruzione del sistema giuridico , e che si può estendere al rapporto tra le Alte Corti e l’Inail, ovviamente su impulso degli avvocati che hanno portato le questioni nelle aule di giustizia, dei giudici di merito, e della dottrina.
Sul piano della tutela oggettiva lo scrivente, che si dichiara testimone, prodotto ed in parte artefice di questo sviluppo corale, ritiene che si possa essere soddisfatti. Rimangono ancora delle sacche di scopertura soggettiva. Il caso più clamoroso è stato quello dei medici assunti con contratto d’opera dall’Inail nel periodo del Covid, sottratti alla tutela per la loro qualifica professionale.
E questo costituisce il prossimo traguardo.