Testo integrale con note e bibliografia

1.Tutela della salute nel lavoro fra tradizione e innovazioni: impostazione del tema d’indagine.
1.1.In principio, è la duplice dimensione – individuale e collettiva – della tutela della salute.
E’ la stessa costituzione (articolo 32) a configurare la salute, appunto, come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività.
Coerenti le implicazioni per la tutela della salute (anche) nel lavoro.
La duplice dimensione – individuale e collettiva – sembra costituirne, jnfatti, punto di sintesi.
Valga, tuttavia, il vero.

1.2.Intanto l’autodeterminazione individuale del lavoratore in materia sanitaria – anche nel suo contenuto di libertà di cura – deve essere, all’evidenza, contemperata con l’interesse collettivo alla tutela della salute.
Coerente risulta l’obbligo di prevenzione (art. 20 decreto legislativo 81 del 2008), che impone al lavoratore di “prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni od omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”
Volto alla protezione di entrambi gli interessi – individuale, appunto, e collettivo – risulta, parimenti, l’obbligo di sicurezza del datore di lavoro (articolo 2087 c.c.) .
La struttura aperta della stessa norma codicistica – che impone l’adozione di tutte le misure idonee a prevenire i rischi (sia endogeni che esogeni) – pare, tuttavia, delimitata – al tempo del Covid -19 – dai protocolli condivisi e legificati: la loro osservanza, infatti, sembra escludere la responsabilità del datore di lavoro.
Parimenti funzionale alla prevenzione degli stessi rischi, ne risultano la redazione e l’aggiornamento – in relazione alla evoluzione del contesto – del documento di valutazione, nell’adempimento dell’obbligo strumentale imposto al datore di lavoro.
Né può essere trascurata la coerenza – con il dovere di solidarietà (art. 2 cost.) – della protezione della salute come interesse della collettività.
Del pari rilevanti risultano, poi, le suggestioni che rivengono dal diritto e dalla giurisprudenza comunitari (ed ora eurounitari): una sentenza di condanna – per così dire – della Repubblica italiana ha contribuito, infatti, ad incentivare ed orientare la evoluzione più recente della nostra legislazione in materia di sicurezza e salute nel lavoro (vedi infra).

1.3.La riserva di legge – stabilita, contestualmente, per l’imposizione di trattamenti sanitari (art. 32, secondo comma, cost.) – sembra parimenti volta a garantire la tutela della salute in entrambe le dimensioni
Non pare, tuttavia, riserva assoluta di legge.
Fonti secondarie, pertanto, possono imporre trattamenti sanitari, sia pure sulla base della lege.
La riserva di legge riguarda, peraltro, soltanto i trattamenti sanitari obbligatori, non già l’intera materia sanitaria.
Resta affidata, poi, alla discrezionalità del decisore politico ogni scelta non solo sul se, ma anche sul come della imposizione del trattamento sanitario.
La obbligatorietà si coniuga, in tale prospettiva, con la raccomandazione o la incentivazione del trattamento.
Coerente con univoche suggestioni comparatistiche, la scelta del decisore riposa su indicazioni della scienza medica e sulla valutazione della gravità del rischio sanitario paventato e dei comportamenti spontanei della collettività in ordine al trattamento sanitario volto a contrastare lo stesso rischio.

1.4. La pandemia, all’evidenza, non ha immutato il riparto di competenza legislativa tra stato e regioni (articolo 117 cost.).
Per quel che qui interessa, resta la potestà legislativa dello stato relativa a:
principî fondamentali nella materia - di competenza concorrente - di tutela della salute (comma 3, ultimo periodo); livelli essenziali di assistenza (comma 2, lettera m); profilassi internazionale (comma 2, lettera q).
Assume particolare rilievo, tuttavia, la materia della profilassi internazionale.
Forma oggetto, infatti, di sentenza di accoglimento della Corte costituzionale, previa sospensione della legge regionale che ne risulta investita (vedi infra).

1.5.L’emergenza pandemica ha enfatizzato i problemi (anche) giuridici – in materia di tutela della salute nel lavoro – offrendo occasioni preziose per approfondirne ed affinarne le soluzioni.
In tale prospettiva, va considerato, tuttavia, che la legislazione emergenziale – pur introducendo innovazioni, anche nella soggetta materia – si innesta sulla disciplina ordinaria pregressa della stessa materia, mutuandone suggestioni sia sul piano delle fattispecie che su quello degli effetti.
Coerentemente, la disciplina medesima – e la relativa elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale – non può essere trascurata.
Assume, infatti, palese rilievo al fine di ottimizzarne la lettura, anche alla luce di suggestioni rivenienti dalla legislazione emergenziale sopravvenuta (vedi infra).
E consente, nel contempo, la lettura della stessa legislazione emergenziale, valorizzandone l’innesto nella tradizione.
Si tratta di scelta di metodo – all’evidenza virtuosa ed ineludibile – che non sempre ha ricevuto seguito o, comunque, riscontro puntuale nella lettura della legislazione emergenziale.
Da un lato, la lettura del blocco dei licenziamenti al tempo del Covid-19 – pure essendone la disciplina innestata sul nostro sistema di tutela contro i licenziamenti – ne ha, talora, malinteso la stessa nozione legale di licenziamento per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 604/66 – e ne ha ignorato la estraneità ai limiti di applicazione imposti per la disciplina limitativa dei licenziamenti (ai sensi della legge 604 del 1966: art, 10 in relazione agli articoli 2-8) – discostandosi da una elaborazione costante più che cinquantennale (a cominciare da Corte cost. 7/1958, 45/1965, 121/72).
Al contrario, una recente ordinanza del Tribunale di Modena – in tema di obbligo vaccinale degli operatori sanitari – proietta la luce della disciplina emergenziale sopravvenuta, nella stessa materia, sulla interpretazione evolutiva – nella accezione recentemente accolta dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione – della disciplina applicabile ratione temporis.
Ne risulta confermato, vieppiù. il significato della stessa disciplina, quale era emerso all’esito della applicazione di altri canoni ermeneutici (letterale, teleologico, sistematico) .

 

 

 

 

 

 

 

2.Segue: tra autodeterminazione individuale del lavoratore ed obbligo di sicurezza del datore di lavoro.
2.1.L’autodeterminazione individuale del lavoratore in materia sanitaria – anche nel suo contento di libertà di cura – deve essere, all’evidenza, contemperata con l’interesse collettivo alla tutela della salute.
Coerente risulta – come pure è stato anticipato - l’obbligo di prevenzione posto a carico del lavoratore (art. 20 decreto legislativo 81 del 2008).
Impone, infatti, al lavoratore (comma 1) l’obbligo di “prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni od omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.
I comportamenti particolari – contestualmente imposti al lavoratore (comma 2) – ne confermano la destinazione a garantire, da un lato, la tutela della salute – nella duplice dimensione individuale e collettiva – ed a contrastare, dall’altro, rischi sia endogeni che esogeni.


2.2. Parimenti volto alla protezione di entrambi gli interessi – individuale, appunto, e collettivo – risulta l’obbligo di sicurezza del datore di lavoro (articolo 2087 c.c.) .
La struttura aperta della stessa norma codicistica – che impone l’adozione delle misure idonee a prevenire i rischi (sia endogeni che esogeni) – pare, tuttavia, delimitata – al tempo del Covid -19 – dai protocolli condivisi e legificati: la loro osservanza, infatti, sembra escludere la responsabilità del datore di lavoro.
Parimenti funzionale alla prevenzione degli stessi rischi, ne risultano la redazione e l’aggiornamento – in relazione alla evoluzione del contesto – del documento di valutazione, nell’adempimento dell’obbligo strumentale imposto al datore di lavoro.
Palese ne risulta, comunque, la coerenza con i limiti - alla libertà di iniziativa economica privata - imposti dalla costituzione, laddove (articolo 41, secondo comma) stabilisce che “non può svolgersi (…) in modo da recare danno alla sicurezza (…..).

2.3.Non può essere, all’evidenza, trascurata la coerenza – con il dovere di solidarietà (art. 2 cost.) – della protezione della salute come interesse della collettività.
Né la rilevanza – parimenti anticipata - delle suggestioni rivenienti dal diritto e dalla giurisprudenza comunitari (ed ora eurounitari).
Particolare rilievo assume, in tale prospettiva, la sentenza di condanna – per così dire – della Repubblica italiana , che risulta così massimata:
“Non avendo prescritto che il datore di lavoro debba valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza esistenti sul luogo di lavoro, avendo consentito al datore di lavoro di decidere se fare o meno ricorso a servizi esterni di protezione e di prevenzione quando le competenze interne all'impresa sono insufficienti, non avendo definito le capacità e le attitudini di cui devono essere in possesso le persone responsabili delle attività di protezione e di prevenzione dei rischi professionali per la salute e la sicurezza dei lavoratori, la repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono in forza degli art. 6, n. 3, lett. a), e 7, n. 3, 5 e 8, direttiva del consiglio 12 giugno 1989 n. 89/391/Cee, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro.
La disposizione di cui all'art. 4, 1º comma, d.leg. n. 626 del 1994, la quale pone l'obbligo del datore di lavoro di valutare i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori sui luoghi di lavoro con espresso e limitato riferimento alle ipotesi ivi previste, costituisce non corretta trasposizione nell'ordinamento nazionale del disposto dell'art. 6, n. 3, lett. a), della direttiva n. 391/89/Cee, che pone un obbligo generale per il datore di lavoro di valutare l'insieme dei rischi sopra indicati, senza limitazione ad alcune specifiche fattispecie
La disposizione di cui all'art. 8, 5º comma, d.leg. n. 626 del 1994, la quale prevede la facoltà e non l'obbligo del datore di lavoro di ricorrere, in caso di insufficienza di competenze interne all'azienda, a persone e servizi esterni per la protezione e la prevenzione di rischi professionali, non costituisce corretta trasposizione nell'ordinamento nazionale della disposizione recata dall'art. 7, n. 3, della direttiva n. 391/89/Cee, che detto ricorso all'esterno pone come obbligatorio.
Le disposizioni di cui all'art. 8, 9º e 11º comma, d.leg. n. 626 del 1994, le quali rimettono all'autorità ministeriale la facoltà di stabilire regole in ordine alle competenze dei soggetti responsabili delle attività di protezione e prevenzione dei rischi e stabiliscono l'obbligo dei datori di lavoro di comunicare alle autorità nazionali informazioni sui soggetti responsabili, non costituiscono corretta trasposizione nell'ordinamento nazionale delle disposizioni recate dall'art. 7, n. 5 e 8, della direttiva n. 391/89/Cee, che in materia pongono alcune regole generali e rimettono ai singoli stati membri l'adozione di disciplina di dettaglio chiara e sufficientemente precisa”.
Non può essere negato, infatti, che tale sentenza ha contribuito ad incentivare e ad orientare la evoluzione più recente della nostra legislazione in materia di sicurezza e salute nel lavoro.

 

 

 

 

 

 

 

3.Segue: riserva di legge per trattamenti sanitari obbligatori.
3.1.La riserva di legge – stabilita per l’imposizione di trattamenti sanitari (art. 32, secondo comma, cost.) – sembra affidare alla discrezionalità del decisore politico ogni scelta non solo sul se, ma anche sul come.
La obbligatorietà si coniuga, in tale prospettiva, con la raccomandazione o la incentivazione del trattamento.
Anche in questo caso si impone un bilanciamento equilibrato tra le esigenze di tutela della salute individuale e collettiva, da un lato, e la libertà di cura, dall’altro.
Tuttavia la giurisprudenza costituzionale – in materia di vaccinazioni – “è salda nell'affermare che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l'art. 32 Cost.:
se il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri;
se si prevede che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze che appaiano normali e, pertanto, tollerabili; e se, nell'ipotesi di danno ulteriore, sia prevista comunque la corresponsione di una equa indennità in favore del danneggiato, e ciò a prescindere dalla parallela tutela risarcitoria (sentenze n. 258 del 1994 cit., e n. 307 del 1990, id., 1990, I, 2694).

3.2.Resta affidata, tuttavia, alla discrezionalità del decisore politiico – secondo la stessa giurisprudenza costituzionale – la scelta non solo sul se, ma anche sul come imporre il trattamento sanitario.
Coerenti suggestioni – in tal senso – provengono dal panorama comparatistico.
Ad un estremo, si trovano esperienze che ancora di recente hanno conosciuto obblighi vaccinali muniti di sanzione penale (Francia); all'estremo opposto si trovano programmi promozionali massimamente rispettosi dell'autonomia individuale (come nel Regno unito); nel mezzo, si ravvisa una varietà di scelte diversamente modulate, che comprendono ipotesi in cui la vaccinazione è considerata requisito di accesso alle scuole (come avviene negli Stati uniti, in alcune comunità autonome in Spagna e tuttora anche in Francia) ovvero casi in cui la legge richiede ai genitori (o a chi esercita la responsabilità genitoriale) di consultare obbligatoriamente un medico prima di operare la propria scelta, a pena di sanzioni pecuniarie (Germania).
Il livello delle coperture vaccinali – alimentato anche dal diffondersi del convincimento circa l’utilità, o meno, delle vaccinazioni – orienta la scelta del decisore politico.
Concorre, tuttavia, la gravità del rischio sanitario da contrastare.
La scelte del decisore politico riposa, in ogni caso, sulle indicazioni della scienza medica.

3.3.Parimenti funzionali alla tutela della salute – nella duplice dimensione individuale e collettiva – pare, altresì, la obbligatorietà degli accertamenti di sieropositività.
Risulta stabilita dalla Corte costituzionale , che ha dichiarato “costituzionalmente illegittimo l'art. 5, 3º e 5º comma, l. 5 giugno 1990 n. 135 recante il programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l'Aids, nella parte in cui non prevede l'obbligatorietà di accertamenti sanitari volti a stabilire l'assenza di sieropositività all'infezione da Hiv come condizione per l'espletamento di attività che comportano rischi per la salute di terzi”.
3.4.Su tali precedenti – rivenienti dalla legislazione ordinaria pregressa e dalla relativa elaborazione (giurisprudenziale e dottrinaria) – si innesta la disciplina emergenziale, nella stessa materia, al tempo del Covid-19.
All’evidenza, non se ne può prescindere al fine della corretta lettura di entrambe le discipline.

 


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4.Segue: competenza legislativa dello stato.
4.1.La pandemia, all’evidenza, non ha immutato il riparto di competenza legislativa tra stato e regioni (articolo 117 cost.).
Per quel che qui interessa, resta la potestà legislativa dello stato relativa a: principî fondamentali nella materia – di competenza concorrente - di tutela della salute (comma 3, ultimo periodo); livelli essenziali di assistenza (comma 2, lettera m); profilassi internazionale (comma 2, lettera q).
Assume particolare rilievo al tempo del Covid-19, tuttavia, la materia della profilassi internazionale.
Forma oggetto, infatti, di sentenza di accoglimento della Corte costituzionale ,previa sospensione della legge regionale che ne risulta investita.

4.2.La sentenza di accoglimento della Corte costituzionale risulta, infatti, così massimata:
“Va dichiarata la illegittimità costituzionale degli artt. 1, 2, e 4, commi 1, 2 e 3 l. reg. Valle d'Aosta 9 dicembre 2020, n. 11 (Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV -2 nelle attività sociali ed economiche della Regione autonoma Valle d'Aosta in relazione allo stato d'emergenza); legge regionale impugnata ha dato luogo ad un meccanismo autonomo ed alternativo di gestione dell'emergenza sanitaria, cristallizzando con legge una situazione che la normativa statale consente alle Regioni di gestire esclusivamente in via amministrativa in base al principio di sussidiarietà. A fronte di malattie altamente contagiose in grado di diffondersi a livello globale, ragioni logiche, prima che giuridiche, radicano nell'ordinamento costituzionale l'esigenza di una disciplina unitaria, di carattere nazionale, idonea a preservare l'uguaglianza delle persone nell'esercizio del fondamentale diritto alla salute e a tutelare contemporaneamente l'interesse della collettività”.

 

5.Segue: lettura della legislazione emergenziale alla luce della disciplina precedente e viceversa.
5.1. La legislazione emergenziale al tempo del Covid -19 – pur introducendo innovazioni, in materia di tutela della salute sul lavoro – si innesta sulla disciplina ordinaria pregressa della stessa materia, mutuandone suggestioni sia sul piano delle fattispecie che su quello degli effetti.
Coerentemente, la disciplina medesima – e la relativa elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale – non può essere trascurata.
Assume, infatti, palese rilievo – come pure è stato anticipato - al fine di ottimizzarne la lettura, anche alla luce di suggestioni rivenienti dalla legislazione emergenziale.
E consente, nel contempo, la lettura della stessa legislazione emergenziale, valorizzandone l’innesto nella tradizione.
Si tratta di scelta di metodo – all’evidenza virtuosa ed ineludibile – che ha ricevuto puntuale riscontro, come è stato ricordato, in una recente ordinanza del Tribunale di Modena.

5-2.Pronunciando sull’obbligo vaccinale di operatori sanitari, infatti, ha proiettato la luce della disciplina emergenziale sopravvenuta, nella stessa materia, sulla interpretazione evolutiva – nella accezione recentemente accolta dalle sezioni unite civili della Corte di cassazione – della disciplina pregressa, applicabile ratione temporis.
Ne risulta confermato, vieppiù. il significato della stessa disciplina, quale era emerso all’esito della applicazione di altri canoni ermeneutici (letterale, teleologico, sistematico).

5.3.In principio, è la sentenza delle sezioni unite civili evocata dal Tribunale di Modena.
Per quel che qui interessa, infatti, ne risulta:
- “ (…..) la forza propulsiva dell'attività interpretativa rimessa al giudice, anche nella sua declinazione di ermeneutica c.d. evolutiva (o storico-evolutiva), affinchè l'ordinamento giuridico risponda, in ogni momento, alle esigenze cangianti della realtà socio-economica di riferimento (…..);
- “ l'anzidetto canone interpretativo - che si coordina con gli altri (letterale, teleologico, sistematico) per guidare lo svolgimento dell'interpretazione giuridica, così da costituire un complesso di criteri filtranti la "lettura" delle norme, le quali, in quanto modelli deontici di condotta, necessitano di trovare concreta attuazione e, quindi, di essere immerse nella realtà viva e mutevole dell'ordinamento - può ben esplicare la propria modalità operativa anche nutrendosi del diritto positivo di più recente conio, successivo, dunque, all'assetto regolatorio pertinente alla disciplina da interpretare, gettando su di essa un luce retrospettiva capace di disvelarne senso e orientamento anche differenti da quelli sino ad allora affermati, ove rispondenti alle predette esigenze”.

5.4.In coerenza con le indicazioni delle sezioni unite, pare agevole – sulla falsariga del Tribunale di Modena - gettare una luce retrospettiva -proveniente dalla vigente disciplina emergenziale in materia di obbligo vaccinale degli esercenti professioni sanitarie e degli operatori sanitari - sulla disciplina pregressa nella stessa od analoga materia (vedi retro).
Ne risulta che la legislazione emergenziale sia niente altro che la evoluzione diacronica della legislazione ordinaria pregressa nella stessa materia.
C’é da domandarsi se gli obblighi di prevenzione posti a carico del lavoratore e l’obbligo di sicurezza del datore di lavoro contenessero già quanto stabilito dalla legislazione emergenziale sopravvenuta.
Comunque la configurazione come “requisito essenziale (…..) delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati”, in caso di inadempienza– stabilita, esplicitamente, dalla legislazione emergenziale impositiva dell’obbligo vaccinale per gli esercenti professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario - risulta, tuttavia, implicita – alla luce di principi civilistici – per qualsiasi altra inadempienza – nella prestazione lavorativa – di obblighi, parimenti, imposti dalla legislazione (anche) pregressa.
Del pari alla luce di principi civilistici, la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni senza ricevere retribuzione od altro compenso – stabilita,esplicitamente, dalla legislazione emergenziale per l’inadempimento dell’obbligo vaccinale – risulta implicito per il difetto di qualsiasi altro requisito, parimenti essenziale, delle prestazioni lavorative.
Non trovano, invece, applicazione estensiva – al di fuori della stessa legislazione emergenziale – le norme procedimentali, che ne risultano previste, per l’accertamento dei soggetti gravati dall’obbligo vaccinale e degli inadempimenti dello stesso obbligo, in funzione del sistema sanzionatorio prospettato (sospensione della prestazione lavorativa, appunto, senza compenso).

5.5. L’esaminata legislazione emergenziale – in materia di obbligo vaccinale per gli esercenti professioni sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario – risulta rispettosa, poi, dei principi, che governano – per quanto si è detto (vedi retro) - l’imposizione di trattamenti sanitari (art. 32, secondo comma, Cost.)
Resta affidata, infatti, alla discrezionalità del decisore politico – per quanto si è detto - ogni scelta non solo sul se, ma anche sul come della imposizione del trattamento sanitario.
La obbligatorietà si coniuga, in tale prospettiva, con la raccomandazione o la incentivazione del trattamento.
E la scelta del legislatore nel caso di specie – per la obbligatorietà della vaccinazione, appunto – risulta, da un lato, coerente con univoche suggestioni comparatistiche e riposa, dall’altro, su indicazioni della scienza medica e sulla valutazione della gravità del rischio sanitario paventato e dei comportamenti spontanei della collettività in ordine al trattamento sanitario volto a contrastare lo stesso rischio .
Sussistono, peraltro, le condizioni alle quali la giurisprudenza costituzionale subordina – per quanto si è detto – la compatibilità, con l’articolo 32 della costituzione, delle leggi impositive di trattamenti sanitari.
Anche nella specie, infatti, “il trattamento è diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri”.
Né manca la considerazione della incidenza – del trattamento imposto - sullo stato di salute di colui che è obbligato, esonerandolo dal trattamento, nel caso di incidenza negativa sul suo stato di salute.

 

 

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