«Trasferimento di imprese – Direttiva 2001/23/CE – Mantenimento dei diritti dei lavoratori – Contratto collettivo applicabile al cedente e al lavoratore al momento del trasferimento»
Nella causa C‑426/11, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Supreme Court of the United Kingdom (Regno Unito) con decisione del 10 agosto 2011, pervenuta in cancelleria il 12 agosto 2011, nel procedimento
Mark Alemo-Herron e altri
contro
Parkwood Leisure Ltd,
LA CORTE (Terza Sezione), composta da R. Silva de Lapuerta, facente funzione di presidente della Terza Sezione, K. Lenaerts, G. Arestis, J. Malenovský (relatore) e D. Šváby, giudici, avvocato generale: P. Cruz Villalón cancelliere: L. Hewlett, amministratore principale vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 20 settembre 2012, considerate le osservazioni presentate:
– per M. Alemo-Herron e altri, da T. Linden, barrister, e L. Prince, advocate;
– per la Parkwood Leisure Ltd, da A. Lynch, QC;
– per il governo del Regno Unito, da H. Walker, in qualità di agente;
– per la Commissione europea, da G. Rozet e J. Enegren, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 19 febbraio 2013, ha pronunciato la seguente
Sentenza
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 3 della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti (GU L 82, pag. 16).
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra il sig. Alemo-Herron e altri e la Parkwood Leisure Ltd (in prosieguo: la «Parkwood») in merito all’applicazione di un contratto collettivo.
Contesto normativo
Il diritto dell’Unione
La direttiva 2001/23 costituisce la codificazione della direttiva 77/187/CEE del Consiglio, del 14 febbraio 1977, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti (GU L 61, pag. 26), come modificata dalla direttiva 98/50/CE del Consiglio, del 29 giugno 1998 (GU L 201, pag. 88; in prosieguo: la «direttiva 77/187»).
L’articolo 3, paragrafi da 1 a 3, della direttiva 2001/23 prevede quanto segue:
«1. I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario.
Gli Stati membri possono prevedere che il cedente, anche dopo la data del trasferimento, sia responsabile, accanto al cessionario, degli obblighi risultanti prima della data del trasferimento da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento.
2. Gli Stati membri possono adottare i provvedimenti necessari per garantire che il cedente notifichi al cessionario tutti i diritti e gli obblighi che saranno trasferiti al cessionario a norma del presente articolo, nella misura in cui tali diritti e obblighi siano o [avrebbero] dovuto essere noti al cedente al momento del trasferimento. Il fatto che il cedente ometta di notificare al cessionario tali diritti e obblighi non incide sul trasferimento di detto diritto o obbligo e dei diritti di qualsiasi lavoratore nei confronti del cessionario e/o del cedente in relazione a detto diritto o obbligo.
3. Dopo il trasferimento, il cessionario mantiene le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ultimo per il cedente fino alla data della risoluzione o della scadenza del contratto collettivo o dell’entrata in vigore o dell’applicazione di un altro contratto collettivo.
Gli Stati membri possono limitare il periodo del mantenimento delle condizioni di lavoro, purché esso non sia inferiore ad un anno».
Ai sensi dell’articolo 8 della direttiva:
«La presente direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari o amministrative più favorevoli ai lavoratori o di incoraggiare o consentire l’applicazione di accordi collettivi o di accordi tra le parti sociali più favorevoli ai lavoratori».
Il diritto del Regno Unito
La direttiva 77/187 è stata recepita nel Regno Unito con il regolamento relativo al trasferimento di imprese (tutela dell’occupazione) del 1981 [Transfer of Undertakings (Protection of Employment) Regulations 1981; in prosieguo: il «TUPE»).
L’articolo 5, paragrafo 2, lettera a), del TUPE, che recepisce il contenuto dell’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2001/23, così recita:
«Tutti i diritti, poteri ed obblighi del cedente derivanti dal contratto o ad esso connessi sono trasferiti al cessionario in virtù del presente regolamento».
In forza del diritto nazionale, le parti hanno la possibilità di inserire nel loro contratto una clausola che prevede che la retribuzione del lavoratore sarà determinata periodicamente da un terzo quale il National Joint Council for Local Governement Services (in prosieguo: il «NJC»), di cui il datore di lavoro non è membro o in seno al quale non è rappresentato. In base al sistema che disciplina i rapporti tra le parti sociali nel Regno Unito, si presume che tale tipo di accordo collettivo non vincoli le parti, a meno che queste ultime non dispongano diversamente. Ciò posto, le disposizioni di un siffatto accordo collettivo possono assumere efficacia come condizioni del contratto di lavoro individuale concluso tra il datore di lavoro e il dipendente. Tale risultato è ottenibile, come nel caso di specie, includendo nel contratto una clausola secondo cui il lavoratore può beneficiare delle condizioni concordate tra il datore di lavoro e un sindacato ovvero negoziate da qualche altro organismo, quale il NJC. Una volta inserite nel contratto, tali condizioni assumono l’efficacia di condizioni contrattuali.
Procedimento principale e questioni pregiudiziali
Nel 2002 uno dei consigli distrettuali di Londra, il Lewisham London Borough Council (in prosieguo: il «Lewisham»), ha ceduto il servizio «tempo libero» alla CCL Limited (in prosieguo: la «CCL»), un’impresa del settore privato, che ha assunto i lavoratori di tale servizio tra il suo personale. Nel maggio 2004 la CCL ha ceduto il suddetto servizio alla Parkwood, impresa appartenente anch’essa al settore privato.
All’epoca in cui il servizio «tempo libero» dipendeva dal Lewisham, i contratti di lavoro tra quest’ultimo e i lavoratori di tale servizio fruivano delle condizioni di lavoro negoziate in seno al NJC, organismo di contrattazione collettiva del settore pubblico locale. L’assoggettamento agli accordi negoziati in seno al NJC non derivava dalla legge, bensì da una clausola contrattuale prevista nel contratto di lavoro, che era del seguente tenore:
«Durante il vostro periodo di impiego presso il [Lewisham] le condizioni di lavoro saranno conformi ai contratti collettivi negoziati periodicamente dal NJC (…), a integrazione degli accordi conclusi a livello locale dai comitati di negoziazione del [Lewisham]».
Al momento della cessione del servizio «tempo libero» alla CCL era applicabile il contratto stipulato dal NJC per il periodo 1º aprile 2002 ‑ 31 marzo 2004. Il trasferimento alla Parkwood dell’impresa che gestiva tale servizio è avvenuto nel maggio 2004.
La Parkwood non fa parte del NJC e non potrebbe farvi parte in nessun caso, poiché è un’impresa privata esterna alla pubblica amministrazione.
Un nuovo accordo, concluso nel giugno 2004 in seno al NJC, è entrato in vigore retroattivamente al 1º aprile 2004, con effetti fino al 31 marzo 2007. Tale accordo è stato dunque concluso dopo il trasferimento dell’impresa di cui trattasi alla Parkwood. Di conseguenza, la Parkwood ne ha tratto la conclusione che il nuovo accordo non era vincolante nei suoi confronti e ne ha dato comunicazione ai lavoratori, negando loro l’aumento degli stipendi pattuito in seno al NJC per il periodo aprile 2004 ‑ marzo 2007.
In seguito al rifiuto della Parkwood di assoggettarsi agli accordi stipulati in seno al NJC, i lavoratori hanno presentato dinanzi all’Employment Tribunal un ricorso, che è stato respinto nel 2008. Essi hanno interposto appello contro tale sentenza dinanzi all’Employment Appeal Tribunal, che ha accolto il loro ricorso il 12 gennaio 2009. La Parkwood ha impugnato la decisione di quest’ultimo giudice dinanzi alla Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division).
Il 29 gennaio 2010 il suddetto giudice ha accolto il ricorso proposto dalla Parkwood e ha ristabilito la decisione dell’Employment Tribunal che respingeva l’istanza dei ricorrenti nel procedimento principale. La Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) ha ritenuto che la sentenza del 9 marzo 2006, Werhof (C‑499/04, Racc. pag. I‑2397), implicasse che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 77/187 non vincolava il cessionario a un qualsivoglia accordo collettivo concluso dopo il trasferimento dell’impresa.
I ricorrenti nel procedimento principale hanno proposto un ricorso contro la decisione della Court of Appeal (England & Wales) (Civil Division) dinanzi alla Supreme Court of the United Kingdom, la quale ha deciso di sottoporre alla Corte alcuni quesiti concernenti l’interpretazione e l’effetto della direttiva 2001/23. Il giudice del rinvio considera, infatti, che la questione, alla quale la Corte è stata chiamata a rispondere nella citata sentenza Werhof, non sia identica a quella che deve essere risolta nel procedimento principale.
A tale riguardo, essa fa valere che il diritto tedesco, in esame nella causa che ha dato luogo alla citata sentenza Werhof, ha una concezione «statica» della protezione dovuta ai dipendenti dopo un trasferimento d’impresa o di attività. Tale diritto prevede che le norme derivanti da accordi collettivi facciano parte del contratto di lavoro soltanto con il contenuto che avevano al momento in cui l’impresa o l’attività è stata trasferita e che esse non siano aggiornate dopo il trasferimento.
Per contro, la questione che si pone nel procedimento principale consiste nel determinare se si possa impedire a uno Stato membro di concedere ai lavoratori, in caso di trasferimento di impresa o di attività, una protezione «dinamica», in applicazione del diritto contrattuale nazionale, ossia una protezione in virtù della quale al cessionario possono essere opposti non soltanto contratti collettivi in vigore al momento del trasferimento di cui trattasi, ma anche quelli successivi al suddetto trasferimento.
Ciò premesso, la Supreme Court of the United Kingdom ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se, come nel caso di specie, quando un lavoratore vanta un diritto contrattuale, opponibile nei confronti del cedente, di usufruire di condizioni negoziate e concordate periodicamente da organismi terzi di contrattazione collettiva e tale diritto è considerato dalla legislazione nazionale dinamico – e non statico – tra il lavoratore e il datore di lavoro cedente, l’articolo 3 della direttiva [2001/23], letto congiuntamente alla sentenza Werhof [citata]:
a) richieda che tale diritto sia protetto e opponibile nei confronti del cessionario nel caso di trasferimento cui si applica [tale] direttiva;
oppure
b) autorizzi i giudici nazionali a ritenere che tali diritti siano protetti e opponibili nei confronti del cessionario nel caso di trasferimento cui si applica [tale] direttiva;
oppure
c) osti a che i giudici nazionali considerino tali diritti protetti e opponibili nei confronti del cessionario nel caso di un trasferimento cui si applica la [medesima] direttiva.
2) Se, qualora uno Stato membro abbia rispettato il proprio obbligo di recepire nel suo diritto interno i requisiti minimi di cui all’articolo 3 della direttiva 2001/23, ma sorga la questione se le misure di recepimento debbano essere interpretate nel senso di andare oltre tali requisiti in maniera favorevole ai lavoratori tutelati, attribuendo diritti contrattuali dinamici nei confronti del cessionario, i giudici dello Stato membro siano liberi di applicare il diritto nazionale per quanto riguarda l’interpretazione delle norme di recepimento, sempreché tale interpretazione non sia contraria al diritto comunitario o se debba essere adottato un altro approccio riguardo all’interpretazione e, in caso affermativo, quale.
3) Se, nel caso di specie, posto che non viene richiesto al datore di lavoro di riconoscere ai lavoratori diritti di carattere dinamico in base al diritto nazionale relativamente alle condizioni concordate a livello di accordo collettivo comporterebbe la violazione dei diritti di tale datore di lavoro ai sensi dell’articolo 11 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali [firmata a Roma il 4 novembre 1950], il giudice nazionale sia libero di applicare l’interpretazione del TUPE fatta valere dai lavoratori».
Sulle questioni pregiudiziali
Con le sue tre questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 3 della direttiva 2001/23 debba essere interpretato nel senso che osta a che uno Stato membro preveda, in caso di trasferimento di impresa, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, che le clausole di rinvio dinamico ai contratti collettivi negoziati e adottati dopo la data del trasferimento siano opponibili al cessionario.
Va rilevato anzitutto che la citata sentenza Werhof, relativa all’articolo 3 della direttiva 77/187, contiene vari elementi rilevanti ai fini del procedimento principale. Sebbene quest’ultimo riguardi la direttiva 2001/23, i suddetti elementi vi possono essere pienamente trasposti poiché tale direttiva codifica la direttiva 77/187 e le disposizioni rilevanti dell’articolo 3 di entrambe queste direttive sono formulate in modo identico.
In primo luogo, giova ricordare che, al punto 37 della citata sentenza Werhof, la Corte ha statuito che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 77/187 dev’essere interpretato nel senso che non osta a che, qualora il contratto di lavoro rinvii ad un contratto collettivo vincolante per il cedente, il cessionario, che non è parte di un siffatto contratto, non sia vincolato a contratti collettivi successivi a quello in vigore al momento del trasferimento d’impresa.
Dall’articolo 8 della direttiva 2001/23 emerge poi che quest’ultima non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare o di introdurre disposizioni legislative, regolamentari e amministrative più favorevoli ai lavoratori o di incoraggiare oppure consentire l'applicazione di contratti collettivi o di accordi tra le parti sociali più favorevoli ai lavoratori.
Per quanto riguarda il procedimento principale, è pacifico, come emerge dalla formulazione stessa della seconda questione posta, che le clausole di rinvio ai contratti collettivi negoziati e adottati dopo la data del trasferimento d’impresa considerato, che conferisce diritti contrattuali di carattere dinamico, risultano più favorevoli ai lavoratori.
Atteso quanto precede, la direttiva 77/187 non mira unicamente a salvaguardare, in occasione di un trasferimento di impresa, gli interessi dei lavoratori, ma intende assicurare un giusto equilibrio tra gli interessi di questi ultimi, da un lato, e quelli del cessionario, dall’altro. Più specificamente, essa precisa che il cessionario dev’essere in grado di procedere agli adeguamenti ed ai cambiamenti necessari alla continuazione della sua attività (v., in tal senso, sentenza Werhof, cit., punto 31).
A tale riguardo, va rilevato che il trasferimento d’impresa di cui trattasi nel procedimento principale è avvenuto tra una persona giuridica di diritto pubblico, da una parte, e una persona giuridica di diritto privato, dall’altra.
Trattandosi di un trasferimento d’impresa dal settore pubblico al settore privato, si deve considerare che la continuazione dell’attività del cessionario, viste le inevitabili differenze esistenti tra questi due settori in materia di condizioni di lavoro, necessiterà di importanti adeguamenti e cambiamenti.
Orbene, una clausola di rinvio dinamico a contratti collettivi negoziati e adottati dopo la data del trasferimento di impresa di cui trattasi, destinati a disciplinare l’evoluzione delle condizioni di lavoro nel settore pubblico, può limitare considerevolmente il margine di manovra necessario all’adozione di dette misure di adeguamento e cambiamento da parte di un cessionario privato.
In una siffatta situazione, una clausola del genere è atta pregiudicare il giusto equilibrio tra gli interessi del cessionario nella sua veste di datore di lavoro, da una parte, e quelli dei lavoratori, dall’altra.
In secondo luogo, va rilevato che, secondo una giurisprudenza costante, occorre interpretare le disposizioni della direttiva 2001/23 nel rispetto dei diritti fondamentali quali enunciati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») (v., in tal senso, sentenza del 27 settembre 2012, Cimade e GISTI, C‑179/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 42).
A tale proposito, il giudice del rinvio indica, certo, che nel procedimento principale non è in discussione il diritto di non associarsi. Tuttavia, l’interpretazione dell’articolo 3 della direttiva 2001/23 deve ad ogni modo conformarsi all’articolo 16 della Carta che sancisce la libertà d’impresa.
Tale diritto fondamentale comporta, in particolare, la libertà contrattuale, come emerge dalle spiegazioni elaborate al fine di guidare l’interpretazione della Carta (GU 2007, C 303, pag. 17) e che, conformemente agli articoli 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE e 52, paragrafo 7, della Carta, devono essere prese in considerazione per l’interpretazione di quest’ultima (sentenza del 22 gennaio 2013, Sky Österreich, C‑283/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 42).
Alla luce dell’articolo 3 della direttiva 2001/23, ne deriva che, in virtù della liberta d’impresa, il cessionario deve avere la possibilità di fare valere efficacemente i propri interessi in un iter contrattuale al quale partecipa e di negoziare gli elementi che determinano l’evoluzione delle condizioni di lavoro dei suoi dipendenti in vista della sua futura attività economica.
Tuttavia, è giocoforza constatare che il cessionario di cui trattasi nel procedimento principale non ha alcuna possibilità di fare parte dell’organismo di contrattazione collettiva in parola. Ciò premesso, tale cessionario non ha la facoltà né di fare valere efficacemente i propri interessi in un iter contrattuale né di negoziare gli elementi che determinano l’evoluzione delle condizioni di lavoro dei suoi dipendenti in vista della sua futura attività economica.
In una situazione siffatta, la libertà contrattuale del suddetto cessionario è talmente ridotta che una limitazione del genere può pregiudicare la sostanza stessa del suo diritto alla libertà d’impresa.
Orbene, l’articolo 3 della direttiva 2001/23, in combinato disposto con l’articolo 8 della medesima direttiva, non può essere interpretato nel senso che autorizza gli Stati membri ad adottare le misure che, pur essendo più favorevoli ai lavoratori, possono pregiudicare la sostanza stessa del diritto del cessionario alla libertà d’impresa (v., per analogia, sentenza del 6 settembre 2012, Deutsches Weintor, C‑544/10, non ancora pubblicata nella Raccolta, punti 54 e 58).
In considerazione di quanto precede, occorre rispondere alle tre questioni poste dichiarando che l’articolo 3 della direttiva 2001/23 deve essere interpretato nel senso che osta a che uno Stato membro preveda, nel caso di un trasferimento d’impresa, che le clausole di rinvio dinamico ai contratti collettivi negoziati e adottati dopo la data del trasferimento siano opponibili al cessionario, qualora quest’ultimo non abbia la possibilità di partecipare al processo di negoziazione di siffatti contratti collettivi conclusi dopo il trasferimento.
Sulle spese
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:
L’articolo 3 della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che osta a che uno Stato membro preveda, nel caso di un trasferimento d’impresa, che le clausole di rinvio dinamico ai contratti collettivi negoziati e adottati dopo la data del trasferimento siano opponibili al cessionario, qualora quest’ultimo non abbia la possibilità di partecipare al processo di negoziazione di siffatti contratti collettivi conclusi dopo il trasferimento.