Testo integrale con note e bibliografia

1. Considerazioni introduttive
Il nuovo d.l. 24/08/2021, n. 118 , ha introdotto nel nostro ordinamento, accanto a talune modifiche alla legge fallimentare ed all’anticipazione immediata di alcune norme del nuovo Codice della Crisi di impresa – la cui entrata in vigore è stata nel frattempo rinviata – un istituto di nuova concezione, come la composizione negoziata, destinato ad intercettare precocemente l’emersione della crisi cercando per quanto possibile di favorire, grazie anche alla presenza di un esperto indipendente, la sua soluzione in un momento in cui la stessa risulti ancora reversibile .
Il nuovo articolato traduce in norme giuridiche positive le proposte formulate dalla Commissione nominata dalla Ministra Cartabia con il d.m. dello scorso 22/04/2021, cui era stato affidato l’ambizioso obiettivo di valutare l’opportunità di differire l’entrata in vigore in tutto od in parte del “Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza” ; formulare proposte correttive al medesimo, nonché relative alla integrazione nello stesso dei principi attuativi della Direttiva 20/06/2019, n. 1023 (c.d. Insolvency), ovvero – ancora – adeguatrici del testo normativo del Codice – anche in via temporanea – alle esigenze poste dall’emergenza sanitaria in atto. Un obiettivo ambizioso, quindi, che chiamava in tempi rapidissimi a valutare in un unico contesto esigenze fra loro spesso non convergenti, talune delle quali legate ad una contingenza emergenziale che si spera possa evolvere favorevolmente nei prossimi mesi, o al più tardi nel corso della prima metà 2022, e che dall’altro necessitano invece di una più ponderata ed attenta analisi di compatibilità, nella consapevolezza che l’attuazione della Direttiva comunitaria sulla crisi d’impresa ed i relativi quadri di ristrutturazione preventiva lascia ampi margini di manovra ai singoli stati dell’Unione .
Nel frattempo, occorre ricordare che il citato intervento emergenziale è stato convertito con talune modificazioni dalla legge n. 147 del 21 ottobre 2021 e che gli emendamenti ivi apportati, unitamente all’incarico attribuito alla medesima Commissione, in composizione ampliata, di fornire indicazioni per l’attuazione della Direttiva c.d. Insolvency all’interno del Codice della crisi, escludono pretese motivazioni “antiriformisiche” , come pure finalità intese ad abrogare lo stesso Codice, promulgato con il d.lgs. 12/01/2019, n. 14 e, come già detto, in seguito ampiamente rimaneggiato.
Prima ancora di indicare, sommariamente, le linee di intervento del nuovo articolato normativo, avuto riguardo al tema che mi è stato assegnato è possibile subito notare come le nuove disposizioni – seppure non abbiano lo scopo di attuare la citata Direttiva comunitaria sui quadri di ristrutturazione preventiva – si pongano tuttavia in linea con i principi in essa contenuti. In particolare, come si legge nell’art. 3 del testo sovranazionale, gli Stati sono invitati ad assicurare che le rappresentanze dei lavoratori possano accedere ad informazioni “pertinenti ed aggiornate” sulla disponibilità di sistemi d’allerta e possano fornire sostegno ai fini della valutazione della situazione economica del debitore. Inoltre, l’art. 6 co. 5 prevede che la sospensione delle azioni esecutive nel contesto di un quadro di ristrutturazione preventiva non debba riguardare i diritti dei lavoratori, mentre più in generale l’art. 13 – sia pure formulato in negativo – assicura diritti di informazione e consultazione su “tutte le procedure di ristrutturazione preventiva che potrebbero incidere sull’occupazione”, come pure sulla retribuzione o sui diritti pensionistici dei lavoratori, in via preventiva rispetto all’adozione dell’accordo od alla omologazione da parte dell’autorità giudiziaria. L’ultimo comma estende tali diritti ai casi in cui il piano di ristrutturazione implichi misure che possono “comportare cambiamenti nell’organizzazione del lavoro e nelle relazioni contrattuali con i lavoratori” .
Ciò posto, è possibile passare in rassegna i motivi e le linee di intervento del nuovo d.l. 118/21.

2. I motivi del nuovo intervento normativo
Un primo dato da cui partire è che già in occasione del precedente rinvio dell’entrata in vigore del CCI si è correttamente scritto che era preferibile affrontare la situazione emergenziale ricorrendo ad un tessuto normativo collaudato, piuttosto che affrontare questa tormentata fase – non soltanto sanitaria ma evidentemente anche connotata da gravissime ricadute economiche – con disposizioni del tutto nuove, costituenti un corpus di cui nessun operatore giuridico aveva sperimentato eventuali carenze o aporie interpretative . Come si è ricordato ancora , nella relazione illustrativa del precedente intervento si era osservato che (il sistema dell’allerta) “è stato concepito nell'ottica di un quadro economico stabile e caratterizzato da oscillazioni fisiologiche, all'interno del quale, quindi, la preponderanza delle imprese non sia colpita dalla crisi, e nel quale sia possibile conseguentemente concentrare gli strumenti predisposti dal codice sulle imprese che presentino criticità. In una situazione in cui l'intero tessuto economico mondiale risulta colpito da una gravissima forma di crisi, invece, gli indicatori non potrebbero svolgere alcun concreto ruolo selettivo, finendo di fatto per mancare quello che è il proprio obiettivo ed anzi generando effetti potenzialmente sfavorevoli”.
Tali rilievi, ritenuti assolutamente condivisibili nell’aprile/giugno del 2020 non sono men veri nell’attualità, in cui dopo una “seconda ondata” pandemica, dalle conseguenze notoriamente tragiche non soltanto sul piano sanitario, ma anche su quello economico finanziario (si pensi ai lock down settoriali ed ai risultati negativi per moltissime imprese non rivolte anche ai mercati internazionali), se ne preannuncia una ulteriore, con la connessa proroga dello stato di emergenza.
Si può forse anzi ritenere che la cessazione di interventi di sostegno transitori (ad es. la moratoria sui mutui o i divieti di licenziamento) possa persino portare a ritenere che il quadro economico, patrimoniale e finanziario di moltissime imprese, anche di carattere dimensionalmente assai ridotto, si sia addirittura aggravato rispetto alla prima fase della pandemia, portando con sé ricadute sui lavoratori, professionisti e piccoli imprenditori che, a loro volta, in una possibile spirale negativa, potrebbero rallentare l’auspicata ripresa della domanda interna e l’esigenza più generale di ripresa del PIL .
Non, quindi, una logica abrogativa de facto del nuovo Codice, già più volte comunque rinviato, ma la consapevolezza, come già nel recente passato pure si era osservato, che molteplici meccanismi ivi contenuti, in primis l’allerta interna e soprattutto esterna, pensati per una situazione imprenditoriale ed economica fisiologica ed espansiva, avrebbero impattato con una situazione reale drammaticamente diversa, purtroppo protrattasi per un intero ulteriore lungo anno rispetto ai pochi mesi inizialmente sperati, generando quantomeno meccanismi di “rigetto” o comunque opposti alle finalità inizialmente e del tutto condivisibilmente perseguite .
A tale considerazione di fondo, poi, si aggiungono due rilievi incontestabili. Il primo, relativo al rinvio già operato dal legislatore italiano del meccanismo dell’allerta esterna – cioè uno dei due pilastri ipotizzati dal CCI quali early worning tools nazionali - in quanto, con l’art. 5, co. 14, del d.l. 22/03/2021, n. 41 (c.d. decreto sostegni), così come modificato dalla legge di conversione l. 21/05/2021, n. 69, si era già stabilito che gli obblighi di segnalazione degli inadempimenti rilevanti, a cura dei creditori pubblici qualificati, si applicano: relativamente all’Agenzia delle entrate, con riguardo ai debiti IVA risultanti a partire dalla comunicazione delle liquidazioni periodiche del primo trimestre del secondo anno successivo all’entrata in vigore del Codice della Crisi; per l’INPS e l’agente della riscossione, dall’anno successivo a quello di entrata in vigore del Codice della Crisi d’impresa.
Il secondo dato, invece, è relativo al fatto che l’Italia si è avvalsa della facoltà di rinviare l’entrata in vigore della Direttiva, ai sensi dell’art. 34, par. 2 della Direttiva stessa, di un anno, con termine per il recepimento che scade il 17 luglio 2022, di cui occorre evidentemente tenere conto, potendo lo stesso intercettare nel processo di attuazione del testo sovranazionale talune modifiche di norme del CCI che in questo momento risultava prematuro affrontare e che – in assenza di rinvio – avrebbero potuto nuovamente investire un testo appena entrato in vigore, generando ulteriori incertezze fra gli interpreti e forse una sfiducia ancor più definitiva verso un corpus normativo appena applicato e poi immediatamente ulteriormente modificato.
Questo spiega, molto più semplicemente di alcune pretese volontà abrogatrici, il doppio rinvio operato rispetto all’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi: 16 maggio 2022 e – soltanto per il titolo II – il 31 dicembre 2023: data quest’ultima scelta non a caso, ma volta a coordinarsi con il rinvio operato dal legislatore per l’allerta esterna e per dare tempo ai nuovi strumenti transitori, introdotti dallo stesso d.l. 118/2021, di essere sperimentati e valutati nella loro efficacia.

3. Le principali novità: la composizione negoziata
Alla luce di tale premessa, secondo la linea programmatica tracciata nell’incipit iniziale, è possibile incominciare con il sottolineare come la chiave di lettura delle principali novità sia costituita dalla volontà, ben espressa nella relazione illustrativa al decreto di nuovo conio, di “fornire alle imprese in difficoltà nuovi strumenti per prevenire l’insorgenza di situazioni di crisi o per affrontare e risolvere tutte quelle situazioni di squilibrio economico-patrimoniale che, pur rivelando l’esistenza di una crisi o di uno stato di insolvenza, appaiono reversibili”. Il nuovo articolato normativo, pertanto, arricchisce il menù degli strumenti di regolazione delle crisi di impresa, nella consapevolezza che molte di esse – se affrontate tempestivamente ed in una fase precoce – potrebbero trovare soluzione non necessariamente attraverso dispendiosi procedimenti giudiziali, come il concordato preventivo (in molti casi concreti destinato a protrarsi per molti mesi, incrementando esponenzialmente i costi per l’impresa e per gli stessi creditori, oltre che destinato a limitare grandemente se non bloccare l’attività caratteristica del debitore per l’effetto di attesa e “ripulsa” che la mera pendenza della procedura concordataria genera sui fornitori, banche, ma anche clienti), bensì attraverso una fase di negoziazione stragiudiziale “rafforzata”.
Del resto, questa è anche la finalità perseguita dalla composizione assistita codicistica, sia pure con una disciplina che in alcuni tratti è apparsa immediatamente ai più farraginosa (in particolare nella parte in cui gli artt. 16-18 CCI costruiscono un complesso meccanismo di nomina di un collegio di ben tre professionisti destinati ad occuparsi della crisi di una singola impresa, con un del tutto probabile allungamento di questa fase iniziale e criticità di coordinamento, a discapito della necessaria immediatezza della presa in carico della situazione) o destinata, pur in assenza di specifici meccanismi incentivanti una partecipazione collaborativa dei creditori, a concludersi con una segnalazione al P.M. anche nei casi in cui non si sia in presenza di un contegno dilatorio od abusivo del debitore, con la forte possibilità che - a quel punto – in una situazione di bilanci deteriorati, come sopra si è ricordato, non vi fossero strumenti sufficientemente flessibili per evitare una liquidazione distruttiva di valore.
Ben si spiega, pertanto, l’introduzione di quella che è la principale novità del nuovissimo intervento normativo, cioè la “composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa” (art. 2 e ss. del d.l. 118/21) ispirata ai seguenti principi, qui soltanto sunteggiati:
a) semplificazione (un solo professionista, chiamato esperto, in luogo di un collegio di tre diversi soggetti di nomina eterogenea, riconoscimento che questa fase può avere sbocchi diversi e fra loro alternativi, di cui si cerca un raccordo organico con istituti già noti del diritto concorsuale o con alcuni di nuova introduzione);
b) riduzione dei costi (l’art. 16 tratteggia infatti criteri di liquidazione dei compensi certamente inferiori a quelli dovuti agli OCRI oltre che agli OCC della legge n. 3/2012, con un meccanismo di incentivazione in caso di esito positivo della fase di negoziazione);
c) volontarietà (si è infatti ritenuto che proprio la gravità della crisi sistemica indotta dall’emergenza sanitaria giustifichi un approccio volontario e graduale al nuovo istituto, pur non rinunciandosi al mantenimento in nuce di una forma di allerta interna, costituita dalla segnalazione degli organi di controllo di cui all’art. 15, nella consapevolezza che le modifiche relative agli obblighi di realizzazione degli adeguati assetti volti a rilevare l’insorgenza della crisi e la nuova regolamentazione delle responsabilità contenute del Codice sono già norme vigenti, come pure indirettamente incentivando il ricorso alla composizione negoziata attraverso alcuni benefici premiali, peraltro assai più limitati di quelli di cui all’art. 25 CCI);
d) professionalità del suo attore principale, l’esperto, la cui attività è finalizzata ad “individuare una soluzione per il superamento delle condizioni di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che rendono probabile la crisi o l’insolvenza dell’imprenditore”, potendosi perseguire tale risultato anche mediante il trasferimento dell’azienda o di rami di essa; di questo nuovo protagonista/facilitatore si delineano requisiti professionali e formativi, questi ultimi finalizzati anche a maturare il possesso di competenze diverse da quelle normalmente possedute da chi assume incarichi di curatore, ma rivolte anche al campo della mediazione;
e) tutela equilibrata delle diverse parti: su questo profilo, di cui occorrerà testare nella pratica il funzionamento e la completezza, si segnala la presenza di check and balances che sono rivolti a consentire, da un lato, al debitore la prosecuzione della propria attività di impresa, sia ordinaria che straordinaria, ma soltanto ove sia coerente con la prosecuzione della continuità e non ingeneri pregiudizi a carico dei creditori, dall’altro a mantenere in capo ai creditori un forte potere dissuasivo rispetto a condotte pregiudizievoli ed alla possibilità dell’esperto di segnalare la propria contrarietà ad atti del debitore non solo nel corso delle trattative o all’organo di controllo della società la cui crisi risulti coinvolta nella negoziazione, ma anche al tribunale ed ai terzi, mediante apposita segnalazione e pubblicazione del dissenso sul registro delle imprese (pur se nei primi commenti si discute del carattere eccessivamente “blando” di tale “sanzione” v’è da chiedersi di fatto quale spazio possa avere l’ulteriore prosecuzione della negoziazione o la possibilità di raggiungimento di accordi, anche omologati, con i creditori, quando questi siano immediatamente avvertiti e resi “diffidenti” da un tale red alert conoscibile a chiunque);
f) mantenimento della responsabilità del debitore per gli atti ed i pagamenti compiuti (vds. art. 12 co. 4), anche di carattere penale – atteso che la relativa esenzione (peraltro esattamente corrispondente mutatis mutandis a quanto già prevede l’art. 217 bis l.f.) comunque non riguarda pagamenti ed operazioni non coerenti con l’andamento delle trattative e le prospettive di risanamento dell’impresa, ovvero non autorizzati dal tribunale;
g) attribuzione – ferma la natura stragiudiziale di questa fase di negoziazione – di poteri di intervento in capo al tribunale che hanno da un lato lo scopo di realizzare una sorta di enforcement delle attività di discussione e trattativa fra le parti, ponendo il debitore al riparo da iniziative aggressive dei creditori (c.d. misure protettive), dall’altro rassicurare questi ultimi ed impedire ragionevolmente al primo di compiere attività od operazioni “autolesionistiche”, attraverso un coacervo di autorizzazioni relative alle operazioni di carattere straordinario potenzialmente più dannose (essenzialmente finanziamenti prededucibili e cessione d’azienda o suoi rami con l’esenzione per il cessionario della responsabilità solidale di cui all’art. 2560 c.c., ma non di quella dell’art. 2112 c.c.).
Occorre poi dare conto della emanazione, con Decreto dirigenziale del 28/09/2021, delle norme attuative del d.l. n. 118/2021, contenenti un test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento, una check list particolareggiata per la redazione del piano di risanamento e per l’analisi della sua coerenza, unitamente ad un innovativo protocollo di conduzione della composizione negoziata, destinato a guidare gli esperti nel compito di facilitazione dei diversi stakeholders coinvolti nelle trattative rivolte al superamento della crisi .
In questa linea di approccio va peraltro immediatamente messo in luce il presupposto di accesso al nuovo percorso stragiudiziale: deve trattarsi di uno “squilibrio patrimoniale o economico finanziario” tale da rendere “probabile la crisi o l’insolvenza…quando risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell’impresa” (art. 2 co. 1), tanto è vero che l’esperto “se ritiene che le prospettive di risanamento sono concrete” allora incontra le altre parti (dopo la preliminare audizione del debitore), mentre “se non ravvisa concrete prospettive di risanamento, all’esito della convocazione o in un momento successivo…ne dà notizia all’imprenditore e al segretario generale della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura che dispone l’archiviazione dell’’istanza di composizione negoziata” (art. 5 co. 5). Tale notizia è altresì trasmessa al tribunale, quando siano già state concesse misure protettive o cautelari (cfr. art. 5 co. 8) che, a propria volta, laddove ritenga di essere di fronte ad una situazione di vera e propria insolvenza, ben potrà segnalare la situazione alla locale Procura della Repubblica, ex art. 7 l.f. Del resto, ove l’accesso a questo percorso non fosse precluso all’imprenditore insolvente e privo di prospettive di risanamento (ad es. perché l’azienda si è già disgregata, volontariamente od a seguito di procedure esecutive individuali) non si comprenderebbe perché l’art. 9, in tema di gestione interinale dell’impresa, specifichi dopo le modifiche apportate in sede di conversione, che l’imprenditore in crisi deve gestire l’impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria dell’attività, mentre se si trova già in uno stato più grave di insolvenza, ma esistono concrete prospettive di risanamento, allora deve gestire l’attività “nel prevalente interesse dei creditori” (art. 9 co. 1). Non è evidentemente disciplinata la gestione in caso di insolvenza irreversibile, non certo per una omissione, quanto perché in tal caso l’imprenditore deve essere espulso dalla negoziazione e quest’ultima deve essere archiviata, dovendo tale situazione essere affrontata con le più tradizionali procedure concorsuali.

4. Alcuni profili giuslavoristici del d.l. 118/2021
La natura introduttiva di questa relazione consente in questa sede solo alcune considerazioni sommarie sui profili giuslavoristici che pure, meritoriamente, non mancano nel nuovo articolato normativo .
Vengono in considerazione, a questi fini, le seguenti disposizioni, qui sinteticamente sunteggiate:
a) viene stabilito che l’imprenditore ha il dovere di rappresentare la propria situazione all’esperto, ai creditori ed agli altri soggetti interessati in modo completo e trasparente, nonché gestire il patrimonio e l’impresa senza pregiudicare ingiustamente gli interessi dei creditori (art. 4 co. 5);
b) vengono imposti dei doveri di collaborazione leale e di riservatezza per tutte le parti coinvolte nelle trattative (art. 4 co. 7);
c) viene introdotta una modalità sussidiaria di informazione e consultazione sindacale volta a consentire alle rappresentanze dei lavoratori, quando non sia già prevista dalla legge o dai contratti collettivi, un effettivo coinvolgimento nell’adozione da parte dell’imprenditore di “rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, anche solo per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni” (art. 4 co. 8);
d) la precisazione che, nonostante l’applicazione di misure protettive o cautelari, non sono inibiti i pagamenti (art. 6 co. 1);
e) l’esclusione dei diritti di credito dei lavoratori dall’ambito di efficacia delle misure protettive (art. 6 co. 3);
f) la possibilità di procedere, previa autorizzazione giudiziale, al trasferimento dell’azienda o di rami della stessa senza gli effetti di cui all’art. 2560 co. 2 c.c., ma con la precisazione che in tal caso resta comunque fermo l’art. 2112 c.c. (art. 10 co. 1 lett. d);
g) l’esclusione delle prestazioni da lavoro dipendente della possibilità di rideterminazione secondo buona fede del contenuto dei contratti divenuti eccessivamente onerosi per effetto della pandemia da SARS-COV-2 (art. 10 co. 2);
f) è stato modificato l’art. 182 quinquies l.f., prevedendosi che il tribunale possa autorizzare il pagamento delle retribuzioni anteriori in favore dei lavoratori addetti all’attività di cui è prevista la continuazione.
Sicuramente positiva appare la prescrizione in ordine al dovere dell’imprenditore di rappresentare non solo ai creditori, ma a tutte le parti interessate e quindi certamente anche ai lavoratori ed alle loro rappresentanze, la propria situazione secondo principi di veridicità e trasparenza. Si tratta di un dovere che, come inizialmente accennato, è preso in considerazione anche dalla ricordata Direttiva UE 20/06/2019, n. 1023 , la cui funzione risulta evidentemente strumentale rispetto alla introduzione di quadri di ristrutturazione preventiva che non siano “calati dall’alto” ma rendano gli stessi lavoratori un attore non irrilevante della ristrutturazione. L’espressione “situazione” è sufficientemente generica da ricomprendere sia i dati economici-finanziari che delineano la situazione di crisi o di insolvenza reversibile nella quale si trova l’impresa, sia i possibili scenari di intervento correttivo, comprese tutte quelle misure che possano incidere non soltanto sui livelli occupazionali o sui diritti di credito dei lavoratori, ma anche sull’organizzazione del lavoro. Quasi come un contraltare a tale prescrizione si pongono, invece, i doveri di leale collaborazione e di riservatezza che devono riguardare tutte le parti coinvolte nelle trattative. Peraltro, appare altresì evidente che mentre il livello di riservatezza su dati sensibili, know how aziendale ed altri elementi di competitività dell’impresa sul mercato deve essere assicurato in termini tendenzialmente assoluti, altri dati più generali riguardanti la crisi possono essere declinati diversamente a seconda che sia lo stesso imprenditore a rinunciare alla confidenzialità della propria crisi, ricorrendo a domande di protezione o richieste di autorizzazione giudiziale di cui è assicurata la pubblicità mediante iscrizione nei registri tenuti dalle Camere di commercio.
Accanto a tali primi rilievi, va sicuramente segnalata l’introduzione di forme sussidiarie di informazione e consultazione sindacale. Si prevede, infatti, che ove non siano già previste dalle leggi o dai contratti collettivi, “se nel corso della composizione negoziata sono assunte rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, anche solo per quanto riguarda l'organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni” il datore di lavoro debba fornire a riguardo una informazione scritta alle rappresentanze sindacali .
Il presupposto dimensionale è che lo stesso occupi complessivamente più di quindici dipendenti. L’informativa ha inoltre un carattere preventivo, in quanto deve essere inviata prima della adozione delle misure, e trasmessa a mezzo posta elettronica certificata (evidentemente allo scopo di lasciare una “traccia” certa della sua esistenza e datazione). I destinatari dell’informativa sono “i soggetti sindacali di cui all'art. 47, co. 1, della legge 29 dicembre 1990, n. 428”.
Come noto, già il d.lgs. n. 25/2007, in attuazione della Direttiva 2002/14/CE, aveva rafforzato i diritti di informazione e consultazione sindacale previsti dalla contrattazione collettiva, presidiando la loro obbligatorietà con alcune sanzioni amministrative. Tale disposizioni, concernenti appunto sia l’informazione (ossia la trasmissione di dati da parte del datore di lavoro ai rappresentanti dei lavoratori, finalizzata alla conoscenza ed all’esame di questioni attinenti all’attività di impresa), che la consultazione (ogni forma di confronto, scambio di opinioni e dialogo tra rappresentanti dei lavoratori e datore di lavoro su questioni relative all’attività di impresa) restavano e sono tuttavia applicabili alle imprese o unità produttive situate in Italia che abbiano più di cinquanta dipendenti.
Appare perciò certamente positivo che il nuovo presupposto dimensionale per i diritti di informativa e consultazione delineati dal d.l. 118/2021 sia rappresentato dal superamento della soglia di 15 dipendenti, che in un paese come il nostro, caratterizzato da un tessuto produttivo fondato su PMI e micro-imprese, risulterà indubbiamente di più facile verificazione rispetto alla indicazione di cinquanta unità contenuto nella citata normativa di attuazione della direttiva 2002/14/CE.
Certo, si possono condividere i dubbi sollevati sul quomodo dei diritti così introdotti , ma va pur sempre notato che, da un lato, come detto, essi toccano una pletora ben più ampia di imprese e che, dall’altro, il procedimento di informazione ed eventuale consultazione ha carattere sussidiario, nel senso che esso si applica laddove non siano già previste legalmente o contrattualmente altre forme (più favorevoli) di coinvolgimento delle rappresentanze sindacali .
In concreto, i rappresentanti dei lavoratori cui sia inviata l’informativa preventiva possono, entro tre giorni dalla ricezione dell'informativa, chiedere all'imprenditore un incontro. La conseguente consultazione deve avere inizio entro cinque giorni dal ricevimento dell'istanza e, salvo diverso accordo tra i partecipanti, si intende esaurita decorsi dieci giorni dal suo inizio. La consultazione si deve tenere con la partecipazione dell'esperto e con il già citato vincolo di riservatezza rispetto alle informazioni che vagano come tali qualificate dal datore di lavoro o dai suoi rappresentanti nel legittimo interesse dell'impresa.
Senza dubbio in linea con le prescrizioni comunitarie appare la regola per cui i diritti economici dei lavoratori non possono essere compressi dalla composizione negoziata, come pure il rilievo per cui le eventuali misure protettive confermate o prorogate in sede giudiziale (cfr. art. 7 d.l. 118/2021) non riguardano le azioni esecutive dei lavoratori . Del resto, appare evidente che se il presupposto oggettivo di accesso alla composizione negoziata riguarda imprese di cui sia probabile la crisi, nonché in crisi o in situazione di insolvenza purchè reversibile, ben difficilmente tale reversibilità può in concreto predicarsi per imprenditori che abbiano accumulato un sensibile debito retributivo e contributivo, venendo addirittura già attinto da azioni esecutive individuali dei lavoratori dipendenti.
Infine, possono essere letti congiuntamente sia la regola per cui i pagamenti non sono inibiti durante la fase di composizione negoziata, sia la modifica dell’art. 182 quinquies l.f. apportata dall’art. 20, co. 1 lett. d) n. 1 del più volte citato d.l. 118/2021.
Sotto il primo profilo, la regola corrisponde all’idea della composizione negoziata come percorso dialettico di soluzione della crisi e non, certamente, quale procedura concorsuale o necessario prodromo della stessa. Si tratta peraltro di una libertà non assoluta, ma funzionale e graduata rispetto alla gravità della situazione economico-finanziaria nella quale si trova l’impresa. L’art. 9 del d.l. 118/2021, infatti, così come modificato in sede di conversione, prevede che l'imprenditore che si trovi in una situazione di semplice crisi debba gestire l'impresa in modo da evitare pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria della propria attività (e pertanto pur in assenza di uno spossessamento anche attenuato, non può certo ritenersi consentita l’assunzione di spese o pagamenti che non siano funzionali alla prosecuzione della continuità ed alla sua sostenibilità). Quando, invece, risulti che l'imprenditore è in una situazione più grave di insolvenza, ma esistono concrete prospettive di risanamento, lo stesso è chiamato a gestire l'impresa nel prevalente interesse dei creditori.
Tale possibilità di procedere ai pagamenti riguarda, evidentemente, anche le eventuali retribuzioni dei dipendenti, anche se fossero già scadute anteriormente alla richiesta di apertura della composizione negoziata e di nomina dell’esperto.
Il secondo profilo di novità, invece, come detto riguarda l’art. 182 quinquies l.f., laddove si è inserito un nuovo periodo finale in calce al quinto comma, prevedendo che “Il tribunale può autorizzare il pagamento delle retribuzioni dovute per le mensilità antecedenti al deposito del ricorso ai lavoratori addetti all'attività di cui è prevista la continuazione”. Si tratta di una innovazione, immediatamente applicabile, che ha lo scopo di risolvere talune incertezze della giurisprudenza di merito a concedere simile tipo di autorizzazione per la difficoltà letterale di includere le prestazioni lavorative fra quelle “prestazioni di beni o servizi” che siano attestate come “essenziali per la prosecuzione dell’attività di impresa e funzionali ad assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”. Pur se chi scrive ritiene che tale interpretazione estensiva sia possibile, altro indirizzo a volte ha fatto riferimento alla possibilità di autorizzare il pagamento delle retribuzioni anteriori ai sensi dell’art. 161 co. 7 l.f. (autorizzazione di atti urgenti di straordinaria amministrazione) rilevando la straordinarietà nella deroga alla regola della par condicio così introdotta. Non mancano tuttavia talune prese di posizione negative della giurisprudenza di merito, sì che si può certamente affermare come sul punto l’art. 182 quinquies l.f. abbia ricevuto un’applicazione “a macchia di leopardo”. La nuova disposizione ha pertanto lo scopo di eliminare ogni dubbio circa l’autorizzabilità di tali pagamenti, anche durante la fase del concordato in bianco, con il limite in cui una continuità aziendale sia ancora in essere e non si sia già verificata una completa disgregazione dell’azienda. Pertanto, una interpretazione costituzionalmente orientata della nuova norma, sembra richiedere tale unico presupposto, al fine di poter procedere al pagamento di tutte le retribuzioni scadute e non solo di quelle dei lavori delle singole unità produttive che ancora – spesso con una valutazione arbitraria e del tutto provvisoria – siano ancora in attività.
In conclusione, come si può vedere già da queste prime considerazioni, il mosaico che esce dall’intervento emergenziale del d.l. 118 del 24 agosto scorso - anche qui non discostandosi peraltro da una “prassi” che ha visto nei mesi estivi tutte le più incisive modifiche della legge fallimentare stratificatesi negli ultimi anni - traccia un disegno complessivo tutt’altro che minimale, destinato a completarsi con la prossima attuazione della Direttiva comunitaria c.d. Insolvency. Si tratta di un disegno che, inoltre, va sicuramente nel senso di una valorizzazione dei diritti dei lavoratori e delle loro rappresentanze e che, sia pure con alcuni profili certamente perfettibili, è ora atteso al banco di prova delle prime applicazioni pratiche .

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