Testo integrale con note e bibliografia

1. La ridefinizione complessiva del trasferimento dell’impresa in crisi e i rapporti di lavoro
Autorevole dottrina in una recente monografia dedicata al rapporto di lavoro nel trasferimento dell'azienda ha affermato che “il trasferimento del complesso aziendale o di una sua parte, ove avvenga nel peculiare contesto rappresentato dalla crisi dell'impresa, assume connotazione del tutto peculiari ed anche particolarmente complesse” .
Prosegue l'Autore affermando che “la tutela dell'interesse individuale alla prosecuzione del rapporto di lavoro con il cessionario ed al mantenimento dei diritti deve coordinarsi con interessi diversi, come quello al mantenimento della integrità della compagine aziendale e l'interesse dei creditori nel caso dell'impresa insolvente.”
L'incontro tra il diritto del lavoro e il diritto fallimentare nel corso del tempo ha significativamente creato un animato dibattito tra dottrina concorsuale e dottrina lavoristica .
Il percorso accidentato e foriero di molteplici dubbi interpretativi e notevoli incertezze anche nelle varie interpretazioni giurisprudenziali, intervenute nelle Corti italiane, anche a seguito degli interventi della Corte di Giustizia, ha portato ad una nuova complessiva ristruttura della disciplina.
Il nuovo codice della crisi dell'impresa e dell'insolvenza, entrato definitivamente in vigore nel luglio 2022, definisce infatti compiutamente una ridefinizione complessiva della disciplina dei rapporti di lavoro, nell'ambito di tutte le procedure concorsuali, con particolare riferimento sia alle procedure conservatorie (in primis il concordato preventivo) sia nella “nuova” procedura denominata liquidazione giudiziale.
Proseguendo quindi nel tentativo di prima lettura delle novità introdotte dalla riforma , il presente intervento cercherà di comprendere quale sia, in concreto, lo stato dell’arte della situazione ante riforma e, relativamente ai rapporti di lavoro sui quali potranno essere i nuovi sviluppi con l’arrivo della riforma.
Prima di procedere a tale analisi, pare doveroso riassumere, sia pure per sommi capi, lo stato dell'arte antecedente la riforma.

2. Lo stato dell’arte ante riforma
Il trasferimento dell'impresa e le conseguenze sui rapporti di lavoro è tema che ha attraversato per oltre un trentennio dottrina e giurisprudenza e che trovò infatti una sua prima definizione nella disciplina dettata in attuazione della direttiva 77/187/CE di cui all'art. 47 L. 428/1990, poi modificata dal D. Lgs 2 febbraio 2001 n. 18 in attuazione delle previsioni di cui alla direttiva n. 98/50/CE.
Venne così introdotta una procedimentalizzazione delle fasi antecedenti la cessione aziendale, finalizzata ad offrire un'appropriata tutela alla posizione dei lavoratori, con particolare riguardo al mantenimento occupazionale da parte dell'azienda cessionaria.
A tal fine si introdusse un obbligo “rivoluzionario” di informazione e di partecipazione nei confronti delle Parti sociali, tale da riconoscere un potere di controllo, sia pure limitato, con conseguente supervisione della vicenda traslativa, tale da lasciare sostanzialmente impregiudicata la posizione dei lavoratori.
Il rispetto di tale disposizione trovava i suoi presupposti sotto diversi profili:
- in primo luogo veniva in evidenza quello dimensionale, applicandosi la predetta disciplina alle aziende occupanti complessivamente più di quindici dipendenti;
- in secondo luogo l'importanza dei contenuti della comunicazione, ben determinati dalla norma, riguardanti: i motivi che determinano l'intenzione di procedere alla cessione dell'azienda; e, soprattutto, le conseguenze giuridiche, economiche e sociali per i lavoratori nonché le eventuali misure previste per l'accompagnamento nel trasferimento della titolarità dell'azienda nei confronti dei lavoratori stessi;
- da ultimo, l'esperimento dell'esame congiunto e le conseguenze del mancato rispetto dell'obbligo di comunicazione e, quando richiesto, dell'avvio dell'esame congiunto
La procedura dettata per l'effettuazione dei trasferimenti d'azienda di cui all'art. 47 ha assunto particolare rilevanza quando inserita nel contesto di aziende che si trovino in stato di crisi.
Il comma 4 bis e il comma 5 – ante riforma relativi alle situazioni di crisi, nel loro tortuoso e spesso contrastante percorso di adattamento ai canoni e alle interpretazioni giurisprudenziali europee, avevano attribuito assoluto valore all'accordo che poteva esser raggiunto nell'accordo sindacale da raggiungersi nell'ambito dell'esame congiunto.
E' in questo contesto che le Parti hanno affrontato il tema centrale della questione: la necessità di equilibrare l'interesse di tutela individuale del lavoratore all'interesse dell'imprenditore alla salvaguardia del proprio complesso aziendale, per quanto riguarda le situazioni di crisi che non saranno preordinate alla liquidazione dei beni aziendali.
Interessi che invece nel verificarsi di situazioni di crisi irreversibili e quindi orientate alla liquidazione dei beni, assumono caratteristiche di maggior considerazione tale da assumere la natura di interessi collettivi, atteso che, in questi casi, l'attenzione si sposta sul piano dell'agevolazione per la circolazione dell'azienda quale strumento di salvaguardia – nei limiti del possibile – della massima occupazione, al prezzo di sacrificare anche alcuni dei diritti garantiti dall'art. 2112 c.c., comunque temperati dalla partecipazione – e dalla necessità di accordi - delle Parti sociali in sede di esame congiunto.
La disciplina del trasferimento d'azienda delle imprese in stato di crisi ha trovato il suo fondamento comunitario nella Direttiva 2001/23/CE e la regolamentazione interna della materia è stata attuata a seguito della condanna ricevuta dalla Repubblica Italiana per il mancato recepimento della Direttiva comunitaria n. 77/187/CE, che aveva ad oggetto la gestione dei trasferimenti d'impresa con riguardo ai rapporti di lavoro.
In questo contesto il Legislatore italiano decise di intervenire non solo per l'esigenza di conformità alle regole comunitarie, ma anche al fine di rìdefinire una più organica disciplina del trasferimento d'azienda in crisi o fallita, con ampia deroga rispetto a quella generale.
Nella sostanza veniva offerta all'imprenditore - sia pure in presenza di accordo sindacale - di derogare completamente all'art. 2112 cod. civ. qualora il trasferimento avesse riguardato imprese da un lato in “stato di crisi aziendale a norma dell'art. 2, quinto comma, lettera c) della legge 12 agosto 1977, n. 675,” il cui stato fosse stato accertato dall'organo ministeriale denominato “CIPI”, o imprese sottoposte a procedura concorsuale con fini liquidatori.
Era quindi possibile derogare non solo alla responsabilità solidale tra cedente e cessionario e al mantenimento delle medesime condizioni di lavoro, ma risultava anche possibile derogare alla regola che prevedeva la prosecuzione dei rapporti di lavoro con il cessionario.
Sul punto si susseguirono due importanti interventi della Corte di Giustizia, a seguito di interventi promossi dalle Preture del lavoro di Milano e di Lecce, che avevano correttamente sollevato la questione dell'incompatibilità della disciplina nazionale con la disciplina comunitaria: in particolare veniva criticato come la disciplina nazionale avesse allargato l'ipotesi di deroga anche a favore di imprese non sottoposte a procedure di tipo liquidatorio.
A seguito della sentenza di condanna 11 giugno 2009, C. 561/2007 la normativa lavoristica fu oggetto di un nuovo intervento: venne così rimossa la possibilità di derogare completamente alle tutele individuali dei lavoratori per le imprese ancora in bonis in presenza di una mera situazione di crisi aziendale, avendo la procedura di accertamento della crisi il fine di sanare il dissesto dell'impresa e non quello della sua liquidazione.
Ne derivò quindi una formulazione dell'art. 47 L. 428/90 fondata su due differenti categorie derogatorie: nel comma 5, veniva stabilita la disapplicazione delle tutele individuali dei lavoratori; nel comma 4 bis si cercava di rendere più “adattabile” alla realtà italiana la tutela per i lavoratori delle aziende in crisi.
Anche questa disciplina pose seri problemi di divergenze tra ordinamento interno e ordinamento comunitario, potendo porre un evidente conflitto tra il principio comunitario di limitazioni delle ipotesi di deroga alle regola del mantenimento dei diritti dei lavoratori.
3. La nuova disciplina del CCI
La necessità di porre fine a tale possibile ulteriore contrasto, ha portato il legislatore a introdurre una nuova disciplina. La riforma introdotta con il d. Lgs 12 gennaio 2019 n. 14 e il D. Lgs 17 giugno 2022 interviene riscrivendo, o per meglio dire riformulando, le soluzioni applicabili ai vari tipi di trasferimento di cui alle procedure concorsuali.
In prima battuta l'art. 191 del CCI “Effetti del trasferimento di azienda sui rapporti di lavoro” precisa che al trasferimento di azienda nell'ambito delle procedure di liquidazione giudiziale, concordato preventivo ed esecuzione di accordi di ristrutturazione si applicano l'art. 47 della Legge 29 dicembre 1990, l'articolo 11 del decreto-legge 23 dicembre 2013 n. 145, convertito nella Legge 21 febbraio 2014 n. 98 e le altre disposizioni vigenti in materia.
La disposizione in oggetto, che ad una prima lettura appare pleonastica, non lo è perché, come meglio vedremo infra, le novità riguardanti l'art. 47 sono, sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo, assai importanti.
Prima di procedere all’esame di tali novità, pare utile ricordare, soprattutto a vantaggio dei lettori giuslavoristi scarsamente frequentatori della legge fallimentare, le modalità di cessione nelle procedure fallimentari.
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In tema di vendita d’azienda o dei suoi rami o di beni o rapporto in blocco, nell’ambito della nuova liquidazione giudiziale, la riforma ha lasciato sostanzialmente invariate le modalità di gestione di cessione dei beni aziendali, dovendo il Curatore specificare nel programma di liquidazione, ex art. 213 c. 4, “gli atti necessari per la conservazione del valore dell’impresa, quali l’esercizio dell’impresa del debitore e l’affitto d’azienda, nonché le modalità di cessione unitarie dell’azienda, di singoli rami, di beni o di rapporti giuridici individuabili in blocco.”
La nuova disciplina pare essere tesa a favorire il miglioramento funzionale del sistema delle vendite e circolazione dei complessi aziendali: il nuovo art. 214, c. 3, esclude la responsabilità: “salva diversa convenzione, è esclusa la responsabilità dell’acquirente per i debiti relativi all’esercizio delle aziende cedute prima del trasferimento.”
In tale contesto, l'art. 368, comma 4 del D.Lgs “Coordinamento con la disciplina del diritto del lavoro” interviene incisivamente sull'art. 47, riscrivendo integralmente l'intera disciplina.
In prima battuta viene infatti prevista una prima modifica agli obblighi di informazione, introducendo la possibilità che la comunicazione di cui all'art. 47 possa essere effettuata anche “solo da chi intenda proporre offerta di acquisto dell'azienda o proposta di concordato preventivo concorrente con quell'imprenditore”, prevedendo altresì che l'efficacia degli accordi con le Parti sociali “può essere subordinata alla successiva attribuzione dell'azienda.”
La disposizione in oggetto da un lato non fa altro che “formalizzare” quanto già accade nei (rari) casi di offerte concorrenti, relative alla proposta concordataria, per quanto occorre si rileva che la disposizione risulta non valorizzare in alcun modo la conservazione dei livelli occupazionali, come forse avrebbe potuto esser fatto, in analogia a quanto richiesto per l'affitto dell'azienda, o di suoi rami.
Proseguendo nell'esame delle novità, l'art. 4, lettera b) e c) ha previsto la sostituzione degli allora vigenti commi 4 e 5 dell'art. 47.
Ai fini di una maggior comprensione, vale la pena di riportare integralmente la nuova disposizione:
“ Nel caso in cui sia stato raggiunto, nel corso delle consultazioni di cui ai precedenti commi, con finalità di salvaguardia dell'occupazione, l'art. 2112 del codice civile, fermo il trasferimento dei rapporti di lavoro, trova applicazione, per quanto attiene alle condizioni di lavoro, nei termini e con le limitazioni previste dall'accordo medesimo, da concludersi anche attraverso i contratti collettivi di cui all'articolo del decreto legislativo 15 giungo 2015, n. 81, qualora il trasferimento riguardi aziende
a) per le quali vi sia stata la dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo, in regime di continuità indiretta, ai sensi dell'art. 84, comma 2. del codice della crisi e dell'insolvenza, con trasferimento di azienda successivo all'apertura del conordato stesso;
b) per le quali vi sia stata l'omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, quando gli accordi non hanno carattere liquidatorio;
c) per le quali è stata disposta l'amministrazione straordinaria, ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell'attività”.
Il comma sopradescritto realizza quindi il primo insieme di norme derogatorie, specificamente riferito alle procedure non liquidatorie e con estrema chiarezza chiarisce:
i) quali siano le imprese beneficiarie, che non potranno trovarsi in un semplice stato di “crisi aziendale”, ma che dovranno trovarsi nelle condizioni previste ai punti a), b), e c);
ii) la necessità di un accordo sindacale, con la necessaria previsione del passaggio di tutti i lavoratori, eliminando quindi in radice ogni possibilità di non passaggio dei lavoratori dall'azienda in “crisi” al cessionario.
Esemplificati i requisiti soggettivi e oggettivi di cui all'art. 4, si può agevolmente osservare come la nuova disciplina permetta quindi solo una modifica delle condizioni di lavoro, cosiccome previsto dall'accordo collettivo.
Del resto, nella prassi sindacale dei c.d. “tavoli di crisi”, le Organizzazioni sindacali hanno sempre ribadito, nella fase di negoziazione, la necessità che il trasferimento riguardi “tutti o nessuno”, con il risultato che gli operatori economici, si trovano costretti a derogare all’art. 2112 c.c. mediante altri strumenti, quali in particolare la corresponsione di somme di denaro, con necessità di conciliazioni individuali ex art. 2113.
Sotto tale aspetto non vi è più spazio per derogare al principio di continuità dei rapporti di lavoro, e ugualmente non vi sono possibilità di deroghe al principio di responsabilità solidale tra cedente e cessionario per i crediti dei lavoratori esistenti all'atto del trasferimento.
Conclusivamente, quindi, sembra di poter ritenere che le disposizioni del comma 4 bis siano perfettamente in linea con la disciplina eurocomunitaria.
Il CCI ha riscritto anche il comma 5 dell'art. 47, sostituendolo con le previsioni di cui all'art 368, comma 4 che così dispone:
“Qualora il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata apertura della liquidazione giudiziale o di concordato preventivo liquidatorio, ovvero emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, nel caso in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata, i rapporti di lavoro continuano con il cessionario.
Tuttavia, in tale ipotesi, nel corso delle consultazioni di cui ai precedenti commi, possono comunque stipularsi, con finalità di salvaguardia dell'occupazione, contratti collettivi ai sensi dell'articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in deroga all'art. 2112, commi 1, 3 e 4 del codice civile...”
Viene quindi a realizzarsi il secondo impianto derogatorio: anche qui risultano ben chiare le imprese beneficiarie, cosi come la necessità di un accordo sindacale, che può stabilire, anche se in concreto le Organizzazioni sindacali non paiono mai orientarsi in tal senso, modalità di selezione dei lavoratori non destinatari della continuità del rapporto di lavoro.
In concreto, l'accordo sindacale, per espresso impulso delle OO.SS., si limita ad una semplice “autorizzazione”a favore della curatela per la deroga di cui all'art. 2112 cod. civ., lasciando poi alla concreta gestione delle eccedenze la necessità di accordi individuali stipulati ai sensi degli artt 410 e ss, da realizzarsi, ovviamente, con la contribuzione economica, ove possibile e ovviamente autorizzata dagli Organi della procedura per la curatela (fallimento-ora liquidazione giudiziale), e di quella “offerta” dal cessionario interessato all’acquisizione del complesso aziendale.
Se è vero che non vi è più necessità di concordare la disapplicazione dell’art. 2112 c.c., vi è conseguentemente quindi la necessità di concludere un accordo con le Organizzazioni Sindacali con riferimento alle concrete modalità di applicazione delle deroghe, ferma la difficoltà nella negoziazione di accordi che, nel garantire la sopravvivenza e la conseguente cessione de complesso aziendale, preveda la perdita del posto di lavoro per i lavoratori non oggetto del passaggio al nuovo cessionario.
Giova da ultimo osservare come, nell'ambito delle procedure liquidatorie, sia invece esclusa l'applicazione della responsabilità solidale tra cedente e cessionario, di cui all'art. 2112, comma 2, così da favorire una miglior circolazione dell'azienda insolvente

4. Tutela del credito per tfr e intervento del Fondo di Garanzia
La novella ha altresì introdotto una disciplina dal contenuto fortemente innovativo relativamente alla corresponsione del trattamento di fine rapporto maturato sino al momento del trasferimento.
Così dispone il comma 5 bis:
Nelle ipotesi previste dal comma 5, non si applica l'articolo 2112, comma 2, del codice civile e il trattamento di fine rapporto è immediatamente esigibile nei confronti del cedente dell'azienda. Il Fondo di garanzia, in presenza delle condizioni previste dall'art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, interviene anche a favore dei lavoratori che passano senza soluzione di continuità alle dipendenze dell'acquirente; nei casi predetti, la data del trasferimento tiene luogo di quella della cessazione del rapporto di lavoro, anche ai fini dell'individuazione dei crediti di lavoro diversi dal trattamento di fine rapporto....”
L'entrata in vigore di questa parte della riforma consente da un lato, di escludere ex lege, la responsabilità solidale del cedente e del cessionario con riferimento ai crediti maturati nei confronti del cedente in epoca anteriore al trasferimento e, dall'altro, la formalizzazione della fictio iuris equiparante il trasferimento alla cessazione del rapporto di lavoro, dovrebbe opportunamente porre fine ai contrasti giurisprudenziali sorti in relazione all'intervento del Fondo di Garanzia.

5. Conclusioni
L’entrata in vigore della riforma in punto trasferimento d’azienda in crisi pare essere riuscita a definire i problemi interpretativi che hanno riguardato le discipline del trasferimento in casi di crisi d’impresa o di insolvenza.
In particolare è possibile ritenere che sono stati superati i ricorrenti dubbi di confronto della normativa italiana rispetto alla normativa unionale, e sembra essere stata ben riscritta la procedura dell’art. 47, sia per quanto riguarda le modalità di comunicazione, sia per la tutela del credito nell’ipotesi di trasferimento.
Solo la prassi che si svilupperà nei tavoli di crisi – in Tribunale e/o nei tavoli di confronto sindacale – potrà confermare se l’esigenza di bilanciamento tra mantenimento dell’occupazione e interesse del ceto creditori sia stata in effetti soddisfatta.

 

 

 

 

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