testo integrale con note e bibliografia

Premessa

Affrontare il tema dell'interazione del Codice della Crisi con la disciplina della procedura di amministrazione straordinaria potrebbe sembrare un compito semplice, se solo si considera che il legislatore, in sede di apertura dell'articolato, si è preoccupato di escludere dall'ambito di applicazione del Codice proprio l'amministrazione straordinaria, stabilendo la "salvezza" delle norme che già disciplinano questa procedura (art. 1, comma 2, lett. a), CCII.
Si potrebbe pertanto pensare all'amministrazione straordinaria come ad un’"isola felice" non travolta dalle ondate della grande riforma delle procedure concorsuali. E, a dir del vero, se, da un lato, si può affermare che l'amministrazione straordinaria abbia conservato le caratteristiche proprie che la portano ad essere riconosciuta come la procedura conservativa dell'impresa per antonomasia, dall'altra parte, non può certo dirsi che l'introduzione del Codice della Crisi non produca alcun effetto.
Non mi riferisco tanto alle disposizioni che intervengono direttamente sull'amministrazione straordinaria, al fine di renderla più funzionale o più informatizzata, si pensi ad es. all'art. 5 bis CCII, in materia di pubblicazione delle informazioni, ove si prevede che nel sito istituzionale del Ministero dello Sviluppo Economico siano pubblicate le informazioni pertinenti aggiornate sulla procedura, utilizzando sezioni di siti internet accessibili e di agevole consultazione; o, ancora, all'art. 27 CCII, in materia di competenza per materia e per territorio, che assegna al tribunale sede delle sezioni specializzate in materia di impresa, individuato in relazione al luogo ove il debitore ha il centro degli interessi principali, i procedimenti di accesso alla procedura e le controversie che ne derivano. Mi riferisco invece a due direttrici di analisi dalle quali emergono importanti interazioni fra il codice di nuova introduzione e l'amministrazione straordinaria. La prima riguarda le norme che intervengono indirettamente sull'amministrazione straordinaria per effetto di disposizioni di rinvio operate ancora sulla Legge Fallimentare del 1942, dalla disciplina propria dell'amministrazione straordinaria; la seconda direttrice, quella che più rileva in questa sede di confronto, riguarda le disposizioni di natura giuslavoristica e le novità portate dall'art. 368 CCII, con riferimento all'art. 47, L. 29 dicembre 1990, n. 428.

Effetti sulle norme di rinvio. Rinvio statico o dinamico?

Soffermiamoci brevemente sulla prima problematica.
E' opportuno premettere che il nostro ordinamento riconosce due procedure di amministrazione straordinaria, una speciale per la grandissima impresa che trova la propria disciplina nella c.d. Legge Marzano (D.L. 23 dicembre 2003, n. 347), e una comune, per le imprese di grandi dimensioni, disciplinata invece dalla c.d. Legge Prodi bis (D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270).
Ora, questi provvedimenti normativi contengono norme di chiusura a livello sistematico, in modo tale che la Legge Marzano fa espresso rinvio alle norme della Legge Prodi bis "per quanto non disposto diversamente dal presente decreto" (art. 8, L. Marzano), mentre la L. Prodi bis prevede il medesimo rinvio, ma alle norme sulla liquidazione coatta amministrativa, se ed in quanto compatibili (art. 36, L. Prodi bis). L'articolato di quest'ultima procedura prevede poi molteplici rinvii alle norme ancora portate dalla Legge Fallimentare del 1942, così come le disposizioni che disciplinano la Prodi bis.
Si tratta allora di capire, in assenza di un chiaro indirizzo di coordinamento da parte del legislatore, se i rinvii ancora in essere nelle disposizioni dedicate all'amministrazione straordinaria debbano essere intesi in senso statico (consentendo così la sopravvivenza di alcune norme della Legge Fallimentare), ovvero in senso dinamico, dovendosi allora ricercare gli istituti già richiamati, nelle nuove norme introdotte dal Codice della Crisi.
Vediamo quali "segnali" ha dato il legislatore per poter dirimere la tematica.
In primo luogo, il già citato art. 1 CCII che, dopo aver disposto la salvezza delle norme portate dalle leggi speciali in materia di amministrazione straordinaria, precisa però che, se la crisi o l'insolvenza di dette imprese non sono disciplinate in via esclusiva, restano applicabili anche le procedure ordinarie regolate dal presente codice.
In secondo luogo, il pieno coordinamento posto in essere fra le disposizioni del CCII e la disciplina della liquidazione coatta amministrativa (che si ricorda fungere da norma di chiusura e riferimento per tutte le procedure amministrate), si vedano ad esempio gli artt. 296, 297, 299, 302, 303, 304, 308, 312, 313, 314, 315, CCII, ove tutti i rinvii operati si riferiscono a disposizioni del Codice della Crisi, non sussistendo più in materia di liquidazione coatta amministrativa alcun rinvio alle disposizioni già portate dalla Legge Fallimentare.
Ma c'è di più: proprio in materia di liquidazione coatta amministrativa, il legislatore precisa a chiare lettere che i rinvii al R.D. 16 marzo 1942, n. 267 contenuti in leggi speciali si intendono fatti alle disposizioni del Codice della Crisi e secondo le norme di coordinamento (art. 294, secondo comma, CCII).
Sono questi indici che mi fanno propendere per il rinvio dinamico anche nell'amministrazione straordinaria, dovendosi altrimenti ritenere (poco credibilmente) che per questa procedura trovino applicazione alternativamente le vecchie norme della Legge Fallimentare, quando il rinvio sia operato direttamente dalla L. Prodi bis, e le nuove norme del Codice della Crisi, quando il rinvio sia operato a mezzo dell'applicazione delle norme sulla liquidazione coatta amministrativa.
Questa opinione non è però unanime nel panorama dei primi commentatori. Si è infatti rilevato autorevolmente che il legislatore è intervenuto con norme di coordinamento anche nell'amministrazione straordinaria, in particolare a mezzo dell'art. 49, D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83, novellando alcune norme della L. Prodi bis e sostituendo il rinvio già operato alla Legge Fallimentare con il richiamo alle corrispondenti disposizioni del nuovo Codice della Crisi.
Il riferimento è in particolare rivolto agli artt. 8, 15, comma 3 e 19, commi 3 e 4, L. Prodi bis, tutte norme che contengono ora richiami a disposizioni del CCII, in sostituzione dei vecchi rinvii operati alla Legge Fallimentare.
Questo intervento a macchia di leopardo del legislatore, operato solo nelle disposizioni che riguardano la fase di osservazione della L. Prodi bis, con salvezza quindi delle norme specifiche dell'amministrazione straordinaria (vale a dire quelle che intervengono dopo la formale apertura della procedura), ha dato il la a far ritenere che i rinvii operati alla Legge Fallimentare dalle norme proprie dell'amministrazione straordinaria debbano intendersi invece in senso statico e ritenersi quindi "salvi", secondo la previsione dell'art.1, comma 2, CCII.
Al fine di offrire la percezione di quanto questo tema possa avere effetti su una procedura che ha nell'esercizio d'impresa la propria principale caratteristica, si considerino ad esempio le problematiche che deriveranno in materia di rapporti giuridici pendenti, in forza delle importanti novità introdotte dal CCII . Per fare un esempio, in caso di subentro del commissario straordinario in un contratto ad esecuzione continuata o periodica, se dovesse trovare applicazione l'art. 74 L.Fall., a mezzo del rinvio statico, il commissario straordinario dovrebbe provvedere al pagamento integrale anche delle consegne già avvenute, se invece il rinvio fosse operato in senso dinamico alle nuove norme del CCII, troverebbero applicazione i nuovi artt. 172, comma 3, e 179 CCII, che impongono il pagamento delle sole prestazioni che intervengono dopo l'apertura della procedura, con cristallizzazione del credito maturato relativamente alle prestazioni già rese .
Dovremo attendere le prime pronunce della giurisprudenza per avere un quadro più definito della situazione, fermo restando che un intervento chiarificatore del legislatore sarebbe più che opportuno.

La disciplina dei rapporti di lavoro

E veniamo al punto di maggiore delicatezza, vale a dire alla disamina delle disposizioni in materia del diritto del lavoro.
Il legislatore interviene in modo importante in questo settore, anche con riferimento all'amministrazione straordinaria, sino al punto da doversi chiedere se le norme speciali, portate dalle disposizioni sia nell'amministrazione straordinaria comune sia in quella speciale, possano oggi convivere con quanto previsto dal legislatore all'art. 368 CCII.
Si potrebbe quasi dire, guardando queste norme con gli occhi del concorsualista, che il legislatore non abbia tenuto nella dovuta considerazione né la natura né le finalità proprie dell'amministrazione straordinaria.
Proviamo ad andare per ordine.
Necessario punto di partenza non può che essere la piana constatazione che, anche nell'amministrazione straordinaria, il presupposto oggettivo per l'avvio della procedura è rappresentato dallo stato d'insolvenza del debitore o, se si preferisce visto l'argomento, del datore di lavoro .
Una volta riscontrate le concrete prospettive di risanamento dell'impresa, e con la formale apertura della procedura (effetto che nella L. Marzano si verifica in via diretta, senza il filtro della c.d. fase di osservazione), l'imprenditore viene spossessato completamente dei suoi beni e la gestione dell'impresa viene assegnata ad uno o più commissari straordinari .
A questo punto è il commissario straordinario che decide le sorti dell'impresa, sotto la vigilanza del Ministero e, per certi aspetti, del Giudice Delegato.
E’ infatti demandata al commissario straordinario la scelta della tipologia di programma da adottare e la gestione stessa dell’impresa. Questo è il momento cruciale, a mio parere, anche per determinare se ed in quale misura nell'amministrazione straordinaria possano trovare sospensione le garanzie previste dall’art. 2112 c.c., alla luce della Direttiva 2001/23/CE, artt. 3 e 4.
Infatti, nell'ipotesi di adozione di un programma di ristrutturazione, l'obiettivo della procedura è rappresentato dal risanamento in senso soggettivo dell'impresa (salve le ipotesi di mutamento dell'assetto imprenditoriale di riferimento), nell'ottica del ritorno in bonis del medesimo centro di imputazione giuridica sottoposto alla procedura di amministrazione straordinaria. Qualora invece venga adottato un programma di cessione dei beni (o un programma di cessione di beni e contratti), la condizione di spossessamento dell'imprenditore, intervenuta con la nomina dei commissari straordinari, diviene definitiva, posto che il programma tende al risanamento oggettivo dell'impresa nella prospettiva della alienazione a terze parti, così come a terze parti il commissario straordinario dovrà cedere anche tutti gli altri asset non funzionali all'esercizio d'impresa.
E' proprio sulla scorta di questa distinzione che l'amministrazione straordinaria consente la promozione delle azioni revocatorie solo nell'ipotesi di adozione di un programma di cessione dei beni, escludendo invece tali azioni in caso di adozione di un programma di ristrutturazione, posto che gli atti di ripristino della par condicio creditorum non possono, in ultima istanza, tornare a vantaggio del medesimo imprenditore che li ha posti in essere .
Posto quanto sopra, è piuttosto agevole ritenere che anche l'amministrazione straordinaria, quando venga adottato un programma di cessione, debba essere considerata a tutti gli effetti una procedura d'insolvenza aperta in vista della liquidazione dei beni del debitore e svolta sotto il controllo dell'autorità pubblica (tanto per usare la terminologia della Direttiva).
Anche sotto questo ultimo punto è noto infatti che il commissario straordinario è un pubblico ufficiale nello svolgimento delle proprie funzioni e che tutti gli atti di straordinaria amministrazione, e in particolare gli atti di vendita delle imprese in esercizio, devono intervenire previa autorizzazione del Ministero vigilante e previo esperimento di gare ad evidenza pubblica. Anche il Giudice Delegato, pur avendo un ruolo sfumato nella fase conservativa dell'impresa, è comunque depositario di tutte le relazioni periodiche redatte con cadenza trimestrale dal commissario straordinario, e, in qualunque momento, qualora riscontri che la procedura non possa essere utilmente proseguita, può provocare la conversione, anche d'ufficio, della procedura in fallimento (art. 69, D.Lgs n. 270/1999).
Il legislatore della riforma sembra non aver tenuto in alcuna considerazione quanto sopra esposto con riferimento alla natura ed alla finalità della procedura di amministrazione straordinaria, alla luce del programma adottato, ed è intervenuto portando un distinguo fra procedure di a.s. con autorizzazione all'esercizio d'impresa e procedure di a.s. per le quali l'esercizio d'impresa non sia stato autorizzato o sia cessato.
Mi riferisco in particolare a quanto previsto dall'art. 368, comma 4, lett. b) e c), CCII nella parte in cui modifica il comma 4 bis e introduce il comma 5 ter dell'art. 47, L. 29 dicembre 1990, n. 428.
In particolare, l'art. 368 CCII, nel sostituire il comma 4 bis dell'art. 47, L. 29 dicembre 1990, n. 428, ha previsto che in caso di trasferimento di aziende per le quali sia stata disposta l'amministrazione straordinaria, in regime di continuazione o di mancata cessazione dell'impresa, qualora venga raggiunto un accordo con le rappresentanze sindacali, l'art. 2112 c.c., fermo il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro, trova applicazione per quanto attiene alle condizioni di lavoro, nei termini e con le limitazioni previste dall'accordo medesimo.
Oltre alla sostituzione del comma 4 bis dell’art. 47, L. 29 dicembre 1990, n. 428, l'art. 368 CCII produce anche l'introduzione di un nuovo comma 5 ter, a mente del quale, in caso di amministrazione straordinaria aperta pur in mancanza di autorizzazione all'esercizio d'impresa o quando l'attività d'impresa sia cessata, l'accordo sindacale eventualmente raggiunto in sede di consultazione sindacale può prevedere il mantenimento, anche parziale, dell'occupazione, con esclusione dell'applicazione dell'art. 2112 c.c. per i lavoratori il cui rapporto di lavoro continui con l'acquirente dell'azienda e con espressa previsione che il personale eccedentario continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell'alienante.
A mio parere, in queste disposizioni, il legislatore si è superato nell'ignorare non solo natura e finalità della procedura di amministrazione straordinaria, ma proprio la struttura stessa della procedura.
In primo luogo, il legislatore sembra non ricordare che intanto si può parlare di avvio dell'amministrazione straordinaria, in quanto venga autorizzato l'esercizio d'impresa. La legge non contempla alcuna forma di programma adottabile per l'impresa insolvente, che non preveda l'esercizio d'impresa per almeno un anno (per i programmi di cessione) e due anni per i programmi di ristrutturazione (art. 27, D.Lgs. n. 270/1999).
La casistica prevista dal comma 5 ter sopra richiamato è quindi un’ipotesi del tutto residuale che può trovare applicazione solo per società minori del gruppo che non abbiano i requisiti per sostenere un proprio programma in via autonoma, per le quali venga quindi predisposto un programma integrativo a quello della procedura madre, al fine di favorire la gestione unitaria dell'insolvenza. Si pensi, per fare un esempio, alla società immobiliare che detenga la proprietà in cui insiste l'azienda produttiva e si ritenga di adottare un programma unitario al fine di favorire il trasferimento a terzi dell'insieme.
In sostanza, l'esercizio d'impresa rappresenta la caratteristica tipica dell'amministrazione straordinaria, infatti: in tanto il tribunale potrà provvedere ad aprire la procedura, in quanto riscontri le concrete prospettive di risanamento dell'impresa, in forza dell'adozione di uno dei programmi alternativi previsti dall'art. 27, D.lgs. n. 270/1999 (art. 30, D.Lgs. n. 270/1999); in tanto il tribunale potrà astenersi dal non richiedere, anche d'ufficio, in corso di procedura la conversione in fallimento, in quanto constati che l'esercizio d'impresa possa essere utilmente proseguito (art. 69, d.lgs. 270/1999); infine, in tanto il tribunale potrà formalmente revocare l'esercizio d'impresa, in quanto prenda atto della completa esecuzione del programma di cessione adottato, e quindi dell’intervenuta vendita dell’azienda in esercizio.
Quanto sopra rappresentato denuncia la portata dirompente del nuovo testo dell'art. 47, L. 29 dicembre 1990, n. 428 in materia di amministrazione straordinaria.
La domanda che dobbiamo porci è se il legislatore non abbia sull'argomento oltrepassato i limiti della delega o abbia comunque invaso il campo della disciplina dell'amministrazione straordinaria in termini irragionevoli e in piena contraddittorietà con il dichiarato intento di far salve le vigenti disposizioni in materia di amministrazione straordinaria, così come previsto dall'art. 1, comma 2, lett. a) CCII .
Qual è oggi la portata precettiva attuale delle norme portate dall'art. 63, comma 4, D.Lgs. n. 270/1999, ove si prevede che commissario straordinario, acquirente e parti sociali possano perimetrare l'impresa, in sede di accordo ai sensi dell'art. 47, L. 29 dicembre 1990, n. 428, anche in termini di forza lavoro, in sostanziale coerenza al piano industriale della parte acquirente?
E in quale considerazione il legislatore ha tenuto la norma di cui all'ultimo comma dell'art. 56, D. Lgs. n. 270/1999, ove si dà atto che i programmi di cessione contemplati dall'art. 27, D.lgs. n. 270/1999 vengono effettuati "in vista della liquidazione dei beni del cedente", con conseguente possibilità di compressione dei diritti di cui all'art. 2112 c.c. ?
A queste tematiche si aggiunga il fatto che, nell'amministrazione straordinaria, il commissario straordinario non può sciogliersi dai contratti di lavoro subordinato (art. 50, comma 4, lett. a), D.Lgs. n. 270/1999) e che "l'imposizione" di trasferire tutti i rapporti di lavoro all'acquirente comporterebbe una ingessatura della procedura, che inciderebbe sulle concrete possibilità di risanamento dell'impresa con grave pregiudizio per la forza lavoro (almeno per quella potenzialmente ricollocabile), per i creditori (che assisterebbero ad un eccessivo abbattimento del valore dell'impresa per l'incidenza del badwill), per l'economia del Paese (che perderebbe in termini di produzione e dovrebbe sostenere i maggiori oneri per gli ammortizzatori sociali che, in caso di mancata esecuzione del programma e di conversione in fallimento, dovrebbero essere estesi a tutti i lavoratori) e per la tenuta dell'ordine pubblico (sempre messa a dura prova di fronte alle crisi non risolte delle grandi imprese).

In conclusione, a me pare che il legislatore debba tornare sui propri passi e rivedere, per quanto attiene all'amministrazione straordinaria, le disposizioni di cui all’art. 47, L. 29 dicembre 1990, n. 428, in termini coerenti con la natura e con le finalità della procedura, rispettando i principi già previsti dalle disposizioni speciali che disciplinano la materia, in considerazione della tipologia di programma adottato e non in considerazione dell'autorizzazione, o meno, allo svolgimento dell'esercizio d'impresa.
A sostegno di questa conclusione, valgano due ultime considerazioni.
La prima, l'esercizio d'impresa può essere autorizzato anche nella procedura di fallimento (ora liquidazione giudiziale) e non vi è dubbio che, in caso di cessione dell'azienda in esercizio, si possa convenire in sede di consultazione sindacale la compressione dei diritti di cui all’art. 2112 c.c. Lo stesso dovrà prevedersi per l'amministrazione straordinaria che, come abbiamo visto, ha come presupposto l'insolvenza dell'impresa, si svolge sotto l'egida dell'autorità pubblica e, in caso di adozione di un programma di cessione, è finalizzata alla liquidazione dei beni del debitore.
La seconda, anche la Corte di Giustizia dell'Unione Europea , a fronte delle caratteristiche della procedura sopra indicate, ha riconosciuto la possibilità di una parziale disapplicazione delle generali previsioni della direttiva in materia di necessaria continuità dei rapporti di lavoro, al fine di favorire la soluzione della crisi d’impresa. Questi chiarimenti della Corte Europea dovrebbero rimuovere le tematiche che hanno portato il legislatore sulle posizioni rigide (e sbagliate), come oggi disciplinate, in modo del tutto incoerente con le disposizioni tipiche dell'amministrazione straordinaria, dall'art. 368 CCII.

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